Contratto: il silenzio dei docenti.
Quali sono gli obiettivi di un contratto? Quello di aggiornare la busta paga, ovviamente, e questo risulta necessario ed improrogabile alla scadenza, soprattutto quando tutti i meccanismi economici di tipo automatico vengono a cadere, o ad assumere un automatismo che configura degli una tantum piuttosto che una regolare progressione. Ma questa è storia vecchia perché è da lungo tempo che abbiamo sepolto contingenza (1993) e scatti biennali (contratto dei Confederali del 1995). Ma da questa storia vecchia nasce la storia nuova, perché ad ogni nuova tornata ci tastiamo il portafoglio e la domanda “quanto prendiamo di aumento?” risulta d’obbligo. E qui inizia il disorientamento. Perché ci sono le tabelle Aran sull’investimento complessivo, ci sono le cifre al lordo lordo (lordo Tesoro) e quelle semplicemente al lordo (lordo Stato) e poi ci sono le tabelle che estrapolano le cifre individuali… E ci sono ancora gli aumenti riportati dai mass media, che non mancano mai di colorazioni politiche. Quel che sappiamo, in ogni caso, è che quello che ci viene in tasca è sempre, comunque e per definizione, inferiore: inferiore alle tabelle Aran, al lordo Tesoro, al lordo Stato e via dicendo, insomma inferiore a tutto.
Comunque, mai come in questa lunga vicenda contrattuale, le cifre risultano mutevoli. E questo anche a causa di un tortuoso percorso che ha segnato ritocchi verso il basso ad ogni arresto di trattativa.
Nel mese di febbraio 2003 “Professione Docente” riportava delle tabelle che indicavano un aumento lordo medio* in busta paga di 148,30 euro (287.195 lire) di cui 73,40 (142.129 lire) per l’inflazione e 74,92 (145.066 lire) per la RPD, cioè la retribuzione professionale docente, ottenuta con l’ultimo contratto biennale a riconoscimento dell’insegnamento vero e proprio (essa rispondeva alla storica richiesta della Gilda della indennità di funzione docente).
La tabella di cui siamo ora in possesso ridimensiona questo aumento lordo medio* portandolo a 145,50 euro (281.785 lire).
Di primo acchito una differenza, sia pure in difetto, di 2,80 euro può apparire irrilevante, ma la nuova tabella non presenta solo una modifica della cifra ma anche delle voci diverse. Alle due voci precedenti – inflazione e RPD – si sono aggiunte le nuove voci fondo d’istituto ed altre finalità e conglobamento IIS, e questo per rispettivi 15,12 e 8,79 euro.
Glissando sul conglobamento dell’indennità integrativa speciale, positivo anche se avrà effetti solo sulla buonuscita e non sulla pensione, e la cui cifra va messa in realtà in detrazione, si rileva che la voce fondo d’istituto assorbe, nell’ultimo articolato, circa trentamila lire.
Che andranno però al docente… Eh, no! Diciamo: che verranno sottratte al docente per finire nel calderone del fondo d’istituto che a sua volta le restituirà al alcuni docenti in cambio di lavoro aggiuntivo.
E allora la differenza in busta paga non è più di 2,80 euro, ma di 2,80 + 15.12 + 8,79, cioè di circa sessantamila lire.
Contenuto e metodo non hanno bisogno di commenti.
Ma abbisogna di commenti o, in ogni caso, di qualche riflessione, la logica sottesa. Perché i numeri non sono neutri e tanto meno lo è la loro destinazione. Ancor meno lo è un contratto, soprattutto quando viene elaborato da rappresentanti di ambo le parti (dirigenti e docenti – anomalia folle che solo il mondo della scuola registra!).
Sorvolando qui su alcuni punti specifici, l’ultima bozza contrattuale presenta almeno altri tre elementi caratterizzanti, relativi rispettivamente alle funzioni obiettivo (art. 30), alla “valutazione” ed alla “carriera” dei docenti (art. 9) e al ruolo delle RSU nelle scuole autonome (art. 6).
Le funzioni obiettivo, che assumono la denominazione di “funzioni strumentali” (al POF, si intende) cambiano veste. E la nuova veste appare, per molti aspetti, migliore e più adatta alle circostanze, ovvero più adatta alle reali esigenze di funzionamento delle scuole. Si esce infatti dalla logica delle funzioni numericamente predeterminate, da collocare in aree anch’esse pre-determinate, per approdare ad una logica più razionale di funzionalità al POF. Insomma ogni Collegio anziché fare la rincorsa alle funzioni (“ne abbiamo quattro… chi lo fa… altrimenti perdiamo i soldi”, quante volte lo abbiamo sentito?) identifica le funzioni che l’attuazione del POF rende necessarie. Attenzione! Le funzioni, non le persone, che verrebbero invece scelte dal dirigente scolastico “sentito il Collegio dei Docenti”.
Poiché il fatto di sentire il Collegio non costituisce certo vincolo per il dirigente e possiamo solo ringraziare per una cortesia di cui facciamo volentieri a meno (anche perché ci costerebbe un Collegio-finzione in più), appare evidente che l’operazione di accentramento sul dirigente delle scelte relative alla politica scolastica già iniziata dai Confederali esce da ogni finzione (ricordiamo il famoso termine “designare” giuridicamente inesistente con il quale venivano scelte le vecchie FO e che tanti problemi ha creato nei Collegi?), e l’esautorazione del Collegio si avvicina alla sua fase finale.
Ma non è solo la fine di un organismo.
La storia di questi ultimi anni è la storia di un lento, progressivo, scivolamento dei docenti verso la zona d’ombra della scuola.
Chi non ricorda – e diciamolo pure, talvolta con nostalgia – i collegi docenti degli anni ’70 e ‘80? Le battaglie, le discussioni, la presenza… Ancora oggi sono spesso i vecchi che lottano dentro la scuola in prima linea Ma quella di allora era una presenza politica nel senso di allora e la politica, quella politica, non c’è più nemmeno ad altri livelli. Può essere e si capisce.
Ma la voce politica avrebbe dovuto essere sostituita dalla voce professionale, e poteri e spazi nella scuola avrebbero dovuto configurarsi intorno a questa necessità.
Ciò non è avvenuto e anche per precisa volontà delle organizzazioni sindacali tradizionali che, privilegiando la politica sulla politica scolastica, hanno soffocato i docenti a favore di dirigenti (loro creazione), genitori e studenti. Chi voglia ripercorrere i fatti non ha alcuna difficoltà a risalire alle responsabilità: precise, puntuali, incontrovertibili.
E non vale la difesa dietro la foglia di fico dei docenti incapaci di gestire la democrazia: la democrazia abbisogna di luoghi e spazi e modi in cui esprimersi e inevitabilmente soffoca nei collegi faraonici degli istituti comprensivi, soffoca sotto il peso burocratico, soffoca quando chi lavora teme prima di tutto per il proprio posto di lavoro.
Che fare allora? Se rimane prioritario per l’Associazione difendere il peso reale di un Collegio che esiste, e quindi nello specifico, chiedere che le nuove funzioni relative alla didattica siano identificate dal Collegio, tutto questo non può non accompagnarsi ad una più ampia riflessione sulla necessità di trovare luoghi e spazi in cui i docenti possano realmente recuperare il loro potere di voce.
Insomma: l’obiettivo politico che ora l’Associazione sta perseguendo è quello di ridisegnare la mappa dei poteri dei docenti. Primo passo: la creazione di un Consiglio Superiore della Docenza “organismo elettivo che rappresenti e garantisca la funzione docente come funzione pubblica, tuteli la libertà di insegnamento e costituisca l’interlocutore qualificato del governo, del parlamento e delle regioni in ordine alle politiche scolastiche e alle norme di legge che riguardano i docenti, come il loro stato giuridico” (approvato all’Assemblea Nazionale di Fiuggi nel mese di marzo 2003).
Ad esso farà seguito una ridefinizione degli spazi professionali interni alla scuola autonoma.
Perché un fatto è incontrovertibile, data la specificità della professione: una scuola che non assicuri spazio “professionale” al docente, è una scuola che non può garantire nulla sul piano dei risultati.
E a nulla vale la “minaccia” presente nell’ultima bozza contrattuale di legare “carriera” e “valutazione” dei docenti ai risultati degli allievi. Tutti sappiamo che gli sforzi dei docenti non producono sempre dei risultati, o dei risultati commisurati all’impegno, perché quest’ultimo è soltanto uno degli elementi che concorrono al fatto educativo. Molti di noi sanno anche che la politica dei risultati ha condotto in Gran Bretagna alla chiusura di molte scuole (scuole di aree degradate, dove il lavoro dei docenti risultava difficile ed ingrato ed talora minimi o addirittura nulli i risultati) e soprattutto al progressivo decadimento della scuola pubblica (nel senso ormai superato del termine), a favore di una scuola privata che gode sempre dell’enorme vantaggio di poter praticare una selezione in ingresso.
Il silenzio dei docenti costituisce un pericoloso vuoto per le forze politiche del paese. E non sono soltanto gli organismi di gestione ad esserne coinvolti. Il tumore è in metastasi ed ingloba ormai - per una precisa volontà politica sostanzialmente convergente - lo stesso modo di essere docente. Tutti gli ambiti professionalmente specifici sono stati lentamente erosi: dall’ambito della didattica (sempre più regolata e funzionale ad altro) a quello della valutazione (che diviene, con la recente legge di riforma della scuola, regolata dall’alto nelle sue scadenze e modalità).
Ed un’ulteriore erosione viene operata in questa bozza contrattuale in cui si prevede che alle RSU d’istituto venga sottratta la contrattazione relativa al fondo d’istituto.
Lungi da noi il difendere l’istituto delle RSU, che tanta conflittualità ha introdotto delle scuole, ma è semmai verso altri e più ampi livelli di contrattazione e soprattutto di rappresentatività che ci si dovrebbe orientare e non certo verso il potere unico del dirigente di scuola.
E ancora: non è certo per retaggio sessantottino che siamo condotti ad avversare l’operazione ad anelli collegati realizzata da questo contratto: incremento del fondo d’istituto e dei poteri decisionali del dirigente ed esautorazione del Collegio e delle RSU.
Quello che chiediamo è che si realizzi una divisione chiara di ruoli, di compiti e di responsabilità: e che in questa operazione resti ai docenti ciò che a loro compete: la responsabilità del processo educativo. Con l’identificazione di quelle figure che in esso possono assumere un ruolo più visibile dentro la scuola. E questo comprende – e lo diciamo senza alcun timore – anche un’operazione di contenimento della presenza pervasiva delle famiglie che la recente legge di riforma, ed ancor più le prime sperimentazioni alle elementari, sembrano legittimare.
Non a caso l’Assemblea Nazionale della Gilda tenutasi a Fiuggi nel mese di maggio scorso ha formalmente richiesto che “a difesa della libertà di insegnamento e del carattere “pubblico” della scuola di tutti il ruolo fondamentale della famiglia resti nei confini propri, di collaborazione con i docenti e con la scuola, ma non abbia alcuna incidenza nelle scelte didattiche e culturali”.
L’uscita dei docenti dalla zona d’ombra in sono stati confinati è essenziale per la buona salute della scuola. Lo è soprattutto per raggiungere quei risultati di rendimento che vengono tanto mitizzati dalle forze politiche.
Ma non sarà comunque un contratto che segnerà questo passaggio.
E nel caso specifico e contingente potrebbe essere rischioso vedere l’ordito senza la trama o la trama senza l’ordito: perché molti sono gli aspetti da valutare e – come ci dimostra la storia della scuola nell’ultimo decennio - è poi sempre l’azione politica quella che lascia i segni nel tempo.
* per ottenere il netto si detrae un 30-35%. Quando si parla di stipendio medio si fa generalmente riferimento ad un docente di scuola media con 15 anni di anzianità.
Serafina Gnech 03-05-2003