«A rischio il 70 per cento delle scuole. Mai fatte le prove di emergenza»
Il Ministro Moratti: «Ringrazio soccoritori e maestre»

di Flavia Amabile da La Stampa del 2 Novembre 2002

ROMA - Esercitazioni per i casi di emergenza? Alzi la mano chi ha mai seguito una simile lezione a scuola o ha un figlio che l´ha seguita. Eppure, lo prevede la legge: per la precisione, il decreto legislativo 626/94, il decreto interministeriale 10/3/98 e quello del ministero dell'Interno 26/8/92.
E allora il Codacons, l´associazione dei consumatori, ha chiesto al ministro per l´Istruzione Letizia Moratti di «diramare entro 15 giorni una direttiva che imponga di eseguire nelle scuole le esercitazioni previste dalla legge mirate a far apprendere a docenti e alunni le misure da adottare in casi d'emergenza, come terremoti e incendi, in modo tale che chiunque si trovi all'interno di un istituto scolastico sappia far fronte a situazioni critiche».
La seconda domanda che milioni di italiani all´indomani della disgrazia di San Giuliano di Puglia si pongono è: quanto sono sicure le scuole italiane? Si scopre così che il Codacons aveva lanciato non molto tempo fa una campagna dell'associazione per la sicurezza delle scuole proprio dalla zona della tragedia. Era emerso che «il 70% degli istituti scolastici italiani non sono sicuri e rappresentano un potenziale rischio per la salute degli alunni».
Altro dato emerso: «Il 27% delle scuole ha bisogno di interventi di manutenzione straordinaria urgente». E poi mancano il piano di emergenza, delle squadre e del responsabile, un sistema organizzato delle vie di fuga e della segnaletica, controlli da parte delle Asl, sale per la medicazione e cassette di pronto soccorso, la manutenzione degli impianti termici è irregolare, vetri e vetrate non sono anti-schegge, gli impianti elettrici e i parafulmini non sono a norma e sono sprovvisti di certificazione. Oggi, all´indomani della disgrazia, si scopre che non solo il Codacons, anche Legambiente aveva effettuato un´indagine sulle scuole. Si chiama «Ecosistema scuola» e raccoglie dati su 81 capoluoghi di provincia italiani. Risulta che una scuola su quattro (il 26,49%) sorge in zone a rischio sismico, oltre un quarto ha bisogno di urgenti interventi di manutenzione straordinaria. Un analogo rapporto era stato realizzato dalla Uil-Scuola: 15 edifici scolastici su 100 non erano a norma, standard di sicurezza aggiornati a 27 anni fa, l´Anagrafe dell´edilizia prevista dalla legge del `96 mai istituita.
Tutti i rapporti erano stati presentati molto tempo prima del crollo della scuola del piccolo paese molisano ma erano rimasti inascoltati. «La scuola italiana è in lutto», ha affermato ieri il ministro Moratti invitando tutto il mondo della scuola a raccogliersi in silenzio e a ricordare gli alunni e le insegnanti morti. Il ministro ha voluto «ringraziare i soccorritori e le generose maestre che hanno fatto coraggio ai bambini nei momenti più difficili tra la vita e la morte».
Una giornata di lutto nazionale in tutte le scuole d'Italia, lunedì - ha risposto al ministro Moratti Telefono Azzurro, l´associazione di difesa dei bambini - Poi, per l'intera settimana, lezioni sulle catastrofi naturali e la sicurezza nei luoghi pubblici, alla presenza di esperti. In realtà, nonostante appaia assurdo in queste ore, la scuola di San Giuliano di Puglia non era fra le scuole che sorgono in una zona a rischio sismico, dunque al momento della sua costruzione o della ristrutturazione non andavano adottate le tecniche anti-sismiche. Verrebbe spontaneo prendersela con chi redige queste mappe, ma la realtà è un´altra. Il paese «si trova in una zona sismica dal punto di vista geodinamico, ma non avendo subito nel passato grandi terremoti, non era stato classificata tale secondo le norme varate dopo il terremoto dell'Irpinia del 1980», spiega Enzo Boschi, presidente dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
La realtà, dunque, è che va aggiornata la legge di classificazione sismica, una legge obsoleta» secondo Boschi. La proposta di aggiornamento è pronta dal `98 ma è finora rimasta «lettera morta» soprattutto a causa dell´inerzia delle regioni.
«Come scienziati - ricorda Boschi - noi abbiamo migliorato le conoscenze. Abbiamo analizzato i nuovi dati disponibili, abbiamo concluso che la zona del Molise colpita ieri dal terremoto è sismica e abbiamo proposto quindi che venga classificata di seconda categoria, cioè pericolosità medio-alta. Dati che poi abbiamo inviato a chi, a livello centrale e regionale, ha il compito di aggiornare la legge sulla classificazione sismica, obbligando a costruire secondo criteri più rigidi. Ma a tutt'oggi la legge non è stata aggiornata». La stessa sorte ha subito la legge «per la messa in sicurezza degli edifici scolastici» del 1990 e aveva come «termine ultimo» per essere applicata il 1993. Poi questo termine ultimo è slittato di fronte all´immensità delle opere da compiere per mettere in regola tutti gli edifici scolastici italiani. Di rinvio in rinvio l´ultima scadenza concessa era per il 2004, undici anni dopo la prima scadenza.
Le colpe vanno ricercate nella scarsità dei fondi messi a disposizione per la ristrutturazione. Fondi che nella prossima finanziaria saranno ulteriormente tagliati, accusano gli assessori provinciali alla Pubblica Istruzione delle province sarde. Lunedì, per protestare contro una situazione ormai «insostenibile» i quattro assessori restituiranno le chiavi di tutti gli istituti superiori dell´isola al rappresentante del governo alla Regione Sardegna.
 
 

SEQUESTRATI PROGETTI E LICENZE
Indagini sulle «aule di carta»
Il tetto era troppo pesante. Sott´accusa il restauro in cemento armato.
La soletta ha ceduto subito dopo il primo boato. I lavori erano stati finiti tre mesi fa

dall'inviato a SAN GIULIANO DI PUGLIA

FATALITÀ. Ma in quanti modi si legge, fatalità? E quanti significati ha? Colpa di nessuno o colpa di tutti, che poi vuol dire la stessa cosa. Un terremoto, certo, è una fatalità, una terribile, maledetta fatalità. Ma se crolla una costruzione di cartapesta, non lo è più, e questa semplice, rassegnata spiegazione non ha un sapore né un suono accettabili. Il dottor Agostino Perna alla fatalità non sembra crederci. Ne diffida non soltanto perché così gli impone il suo dovere ma anche per semplice buon senso. E così, lui che è sostituto preocuratore della repubblica a Larino, ha aperto un´indagine e mandato i carabinieri a raccogliere tutte le carte, piani, progetti, disegni che riguardano l´ampliamento di quella grande tomba che si chiamava scuola «Francesco Jovine». Il corpo originale era stato sopraelevato e la copertura, in cemento armato, alla prima scossa è venuta giù come una pressa. E sotto c´erano tutti quei bambini. E questo, forse, si può chiamare fatalità, perché se l'orologio della morte avesse segnato un´altra ora, questa strage di innocenti sarebbe stata evitata. Ma al dottor Perna preme conoscere i come, i perché, i se e i ma: troppe cose non quadrano, anche se Matteo Pilla, assessore al Territorio, allargando le braccia dice di non poter dire nulla, «soltanto che c´era stato un regolare collaudo». Ma che quella scuola avesse una struttura fragile, insomma una specie di gigante dai piedi d´argilla, lo sapevano in molti e c´era anche chi lo aveva sottolineato, purtroppo senza trovare ascolto. Ora che la penombra abbraccia il palazzetto dello sport dove hanno allineato le 26 piccole bare bianche (le vittime comprese le due anziane e la maestra sono 29) ancora aperte con quei bambini coperti di fiori, i pupazzi accanto, e vegliate da gente che ormai ha solo lacrime, Francesco De Lisio, 35 anni, dice: «I lavori erano terminati neppure tre mesi fa. Era stata costruita quella struttura in cemento armato ma pesava troppo e quella sotto che la sosteneva era troppo fragile». Lui è muratore, di certe cose, forse, se ne intende. Dentro una bara c´è Melissa, sua nipote, aveva 9 anni, frequentava la quarta. Lui era lì a vegliarla, con suo padre, Giuseppe, 72 anni, e la madre Mascia, 68, quando la scossa delle 16,09 ha rinnovato il panico, nessuno poteva esser certo che il palazzetto avrebbe retto. Ma ha retto. «Se avessero fatto quella scuola come la palestra. I ragazzi avrebbero dovuto inaugurarla a giorni. Ecco com´è la loro festa». La scuola è un incubo che nessuno riuscirà a cancellare. Era stata costruita nel 1953, forse un po´ al risparmio: poco cemento e tanti mattoni forati. Ma non c´era mai stato motivo di allarme. Poi la ristrutturazione, il rifacimento dei solai, che avrebbe dovuto togliere all'istituto quell'aria ormai sfilacciata e renderlo più confortevole. Ma ora dubbi non ne hanno molti coloro che hanno lavorato fino a quando sono calate le tenebre, e hanno recuperato Carmela Ciniglio, la maestra, l´ultima vittima. I mattoni forati, sollecitati dalla scossa, non hanno retto il peso del cemento. Tutta qui la tragicità del banale. «Quarant´anni della mia vita, ho passato in quella scuola. Tutti, li conosco tutti i bambini e i ragazzi di San Giuliano». Era stato il bidello e ora i ricordi lo aggrediscono tutti insieme. Ha i capelli bianchi, i modi raffinati e parla degli altri due terremoti, «secoli fa, nel Seicento». Forse era il solo a saperlo. «Terremoti? Ho 73 anni, è la prima volta», dice Michele Borrelli. Suo figlio Antonio è il sindaco e ora lo chiama con voce dolente: «Papà, dobbiamo andare laggiù». Laggiù, in una bara bianca, c´è Antonella. «Mi scusi, devo andare», dice il vecchio, che poi si volta e ripete: «Non era mai successo». Le due scosse, ieri, hanno colto di sorpresa, tutti, anche se gli esperti lo avevano detto che il fenomeno regalerà chissà quante repliche. «D´intensità minore, riteniamo», ha precisato Enzo Boschi, presidente dell´Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia. «Le ringhiere in ferro dei terrazzi parevano fruste impazzite», ha raccontato Elisabetta Piqué, inviata su questa tragedia degli innocenti da «La Nacion» di Buenos Aires. E c´è Sefan De Mistura, commessario straordinario per la Croce Rossa Italiana. I suoi occhi azzurri hanno visto tutti gli scempi del mondo, il Libano rovente e i profughi del Kosovo. «Ma qui è diverso, qui ci sono i bambini e quando i bambini sono coinvolti, anche gli adulti diventano più fragili. E allora dobbiamo cercare di far qualcosa di realmente utile per riuscire a far affrontare la realtà a queste persone». Parla in tono pacato, le tenebre ormai hanno avvolto tutto, ai parenti è stato detto che possono tornare all´interno del palazzetto. Spiega De Mistura: «E' un lavoro per fasi, dapprima si segue l´attesa della gente, poi c'è il silenzio, perchè in quel certo momento non esistono parole. Bisogna riuscire a sorreggerli quando ne hanno più bisogno. E quello è il momento. Ho istruito cinque dei miei, anche un abbraccio è importante». C'era anche lui, insieme con quelli che tentavano di recuperare il corpo della maestra. «La scossa ci ha respinto, eravamo a due metri, era fatta. Ci riproveremo, naturalmente». Sono stati di parola. Ora il Paese è deserto, c'è la tendopoli, laggiù nel campo sportivo, e la gente si avvia rassegnata, una coperta sulle spalle, gli occhi oramai asciutti. I soccorsi sono stati tempestivi, spiega il viceprefetto Piero Ucci, coordinatore della sala operativa di Campobasso dell'unità di crisi. Qual è stato il problema maggiore? «Non ce ne sono stati. Al massimo dopo 3 quarti d'ora uomini e mezzi erano a San Giuliano». E qual è, ora, il problema più grande? «Sistemare la tendopoli». Rimane quella domanda: fatalità. Ma in quanti modi si legge, fatalità?