Il paradosso della devolution nella scuola
di Daniele Checchi, www.lavoce.info del 05-12-2002
La proposta di devolution presentata recentemente in Parlamento dal Ministro Bossi prevede (vedi Bordignon-Pisauro), tra le altre cose, che la competenza in materia scolastica divenga esclusiva da parte dei governi regionali (1).
Ricordiamo innanzitutto che alcune competenze sono già state attribuite alle Regioni (per esempio la fissazione del calendario scolastico) così come altre competenze sono da sem-pre state esercitate dagli enti locali (le Province hanno la competenza degli edifici per la scuola media superiore). In molti casi non esiste però una ratio precisa nella ripartizione degli ambiti, che non sia di tipo storico.
Nell’attuale progetto di devolution il passaggio delle competenze può significare che le Regioni acquisiscano autonomia nella determinazione:
A differenza del caso delle elementari il divario regionale per la scuola media è più ridotto: nel 1962 il valore minimo del rapporto studenti/insegnanti si registra in Umbria (8,6) e quello massimo in Friuli (13,3); vent’anni dopo il minimo si verifica in Calabria (9,1) e il massimo in Piemonte e nel Lazio (10,3). La strategia di allargamento della scuola media sembra essere stata quella della creazione di scuole più capienti, come indicato dalla dimensione media delle scuole in compresenza di un calo della dimensione media delle classi.
Scuole di serie A e B
Se il progetto di devolution dell’attuale Governo procederà,
ci si potrà attendere un‘inversione di tendenza nel processo di
convergenza degli standard scolastici. Il rischio è che le Regioni
con minori disponibilità di risorse siano costrette ad aumentare
le dimensioni delle classi e/o a sfoltire il numero degli insegnanti, peggiorando
lo standard di fornitura del servizio scolastico. A fronte di titoli di
studio formalmente identici (licenza della scuola media inferiore) corrispon-derebbe
quindi un livello di acquisizione di competenze molto disomogeneo.
Le conseguenze potrebbero essere molto gravi nel medio-lungo periodo.
Si può dimostrare che anche nel caso italiano (così come già ampiamente documentato per gli Stati Uniti, Svezia e Gran Bretagna) una riduzione nel numero degli insegnanti produce una ri-duzione nella prosecuzione scolastica degli individui. Poiché inoltre l’elemento di gran lunga più incisivo sulla carriera scolastica individuale è l’istruzione dei genitori, rischia di prendere il via una spirale perversa da cui l’Italia sembrava essersi progressivamente emancipata. Scarse risorse pubbliche disponibili per l’istruzione (nella forma di pluriclassi, edifici inadeguati, clas-si con doppi e tripli turni – realtà ancora diffusa in alcune aree del Mezzogiorno) contribuiscono a ridurre la scolarità in un‘intera generazione.
Un meccanismo concorrenziale funziona se…
L’idea che la devolution applicata al problema dell’istruzione possa
"…realizzare il massimo di libertà di insegnamento e, in ultima
analisi, [di] accelerare il processo di modernizzazione del paese di cui
l’istruzione e la formazione sono pilastri fondamentali" sembra sinceramente
non fondata sulla base dei risultati resi noti dalla letteratura di economia
dell’istruzione. L’aumento della libertà di scelta degli individui
produce effetti positivi sull’apprendimento individuale e sulla gestione
più efficiente delle risorse solo quando la popolazione residente
può avvalersi di una ampia varietà di scelta tra offerte
formative disponibili ( il meccanismo che può produrre questo risultato
è la concorrenza tra le scuole nel tentativo di attrarre il maggior
numero di studenti, e questo è tanto più efficace quanto
più i finanziamenti seguono gli studenti (per cui la scuola che
riesce ad attrarre più studenti ottiene maggiori fondi). Questo
peraltro è il principio che ispira il meccanismo di finanziamento
delle università italiane, attraverso il Fondo di riequilibrio.
Ma tutto ciò non ha senso quando si vogliano applicare questi principi alla scuola dell’obbligo, sia pure nella sua doppia articolazione della secondaria proposta dal Ministro Moratti. Innanzi-tutto il concetto di istruzione obbligatoria vincola l’ente pubblico alla fornitura del servizio con modalità fruibili localmente dall’utente (per cui non si possono chiudere le scuole come si fa con gli ospedali, in quanto i bambini non sono accorpabili come i degenti ospedalieri). Ma al di là di questo, un meccanismo concorrenziale può operare solo se la popolazione è territorial-mente mobile, cioè è disposta a cambiare regione di residenza alla luce della diversa qualità del servizio scolastico offerto. In assenza di questo meccanismo, non esiste nessun sistema di punizione delle Regioni inefficienti nel fornire istruzione di buona qualità ai propri cittadini.
(1) Si legge infatti nella Relazione che accompagna il Disegno di legge costituzionale (vedi disegno legge): "In materia di istruzione e formazione, la legislazione statale dovrà definire esclusivamente le norme generali quali: l’ordine degli studi, gli standard di insegnamento, le condizioni per il conseguimento e la parificazione dei titoli di studio. Le Regioni dovranno, inve-ce, curare l’organizzazione scolastica, strutturare l’offerta dei programmi educativi, garantire la gestione degli istituti scolastici. L’obiettivo della riforma è quello di realizzare il massimo di li-bertà di insegnamento e, in ultima analisi, di accelerare il processo di modernizzazione del paese di cui l’istruzione e la formazione sono pilastri fondamentali".
(2) Si veda per esempio Minter-Hoxby, C. 2000c. Does Competition Among Public Schools Be-nefit Students and Taxpayers?, "American Economic Review", 90(5), pp 1209-1238.
Per saperne di più:
G.Brunello-D.Checchi 2002, Qualità delle formazione scolastica,
scelte formative ed esiti sul mercato del lavoro, mimeo 2002. Scaricabile
sul sito Internet: http://www.eco-dip.unimi.it/pag_pers/checchi/Pdf/un8.pdf