Gli istituti professionali: una risorsa
Negli
istituti professionali è vietato andare a scuola impreparati, è gravissimo
distrarsi, o tirare a campare. Parlo degli insegnanti, naturalmente.
I
colleghi nuovi e i supplenti si aggirano con aria di sconsolata superiorità: ma
qui è come essere alle elementari! e credono di saperne anche troppo della loro
disciplina per quello che è il livello degli scolari.
Invece
è vero il contrario:
Qui devi conoscere la
materia abbastanza bene da sapere a che cosa puoi rinunciare; devi essere abbastanza
innamorato della tua disciplina da non esserne più geloso, da non avere più
cotte per nessun argomento, da non avere nostalgie o infatuazioni dell’ultima
ora.
Quando
nei primi giorni di settembre ci diamo alla lettura delle schede che arrivano
dalla scuola media, siamo agghiacciati dalla tragica somiglianza di quei
profili: non ha raggiunto…..., da quel consiglio finale, quella pacca sulle
spalle: si consiglia un istituto professionale (prima della riforma Berlinguer:
un corso professionale; e dalla Moratti in poi? )
E
qui comincia la nostra scommessa. La programmazione dell’attività didattica,
giusto per chiarirci le idee, per mettere a punto gli strumenti, ma sapendo già
di non doverci affezionare troppo a nessun progetto, a nessuna idea brillante:
qui si naviga a vista, si sta attenti ad ogni segnale, si è disponibili a
rimettersi in gioco ogni mattina.
Perché
da noi vengono ragazzi che sono analfabeti funzionali, ragazzi che odiano o
credono di odiare la scuola, ragazzi difficili o con famiglie difficili,
ragazzi in gamba, ma che non lo sanno, ragazzi annoiati, che hanno già sentito
parlare di tutto: dalle frazioni alla persecuzione degli ebrei alla gobba
di Leopardi, tutto per loro è già consumato. Ma come si consuma un film di cui
hai sentito tanto parlare che alla fine rinunci a vederlo di persona.
Allora
la prima cosa da fare, quella più urgente, è cercare di guarirli dal mal di
scuola: dai troppi anni trascorsi a pensare di essere inadeguati, a far finta
di saper leggere, a convincersi che non gliene frega niente.
Ma
non si pensi che gli istituti professionali siano un luogo di assistenza
sociale, un posteggio per disadattati, da badare e da tenere occupati perché
tutto è meglio della strada.
Anzi:
qui si pretende il massimo, si punta in alto, con gentilezza e pazienza, ma
anche con la determinazione di chi sa che per molti ragazzi questa è l’ultima
occasione di appropriarsi di una cultura disinteressata e non solo utile.
Io
insegno italiano e storia al biennio; l’attuale seconda l’anno scorso ci ha
fatto impazzire: sembrava che niente con loro funzionasse. Quante volte abbiamo
creduto che il nostro lavoro fosse inutile, e che forte la tentazione di
pensare che si stavano sprecando soldi ed energie!
E
sono gli stessi ragazzi che questa mattina hanno lavorato sull’Infinito del
Leopardi e hanno ragionato sull’alternarsi dei dimostrativi questo e quello ,
sul ritmo "largo e lento", sulla semantizzazione del significante; e
avrebbero potuto farlo anche senza il testo, perché alcune poesie le hanno
imparate a memoria: ragazzi, gli dico, le poesie sono le uniche opere d’arte
che si possono possedere senza essere miliardari, dovreste ringraziarmi: loro
non ringraziano, anzi mugugnano, ma le imparano.
In
prima invece abbiamo ragionato su quanto siano preziosi il modo congiuntivo e
il modo condizionale, senza i quali sarebbe impossibile esprimere tutto il
mondo della soggettività, delle teorie, delle ipotesi; hanno letto a coppie
(credo sia una risorsa straordinaria l’insegnamento tra pari,) la novella di
Orkény "Il diritto di restare in piedi"; hanno formulato le regole
del periodo ipotetico.
E
così passo dall’odiarli, quando non studiano, quando sembra che niente li scuota,
niente gli interessi, (perle ai porci! gli urlo) al sentirmi miracolata quando
mi danno retta, quando capiscono (quella luce che si accende nei loro
occhi!), quando mi onorano del loro affetto e della loro fiducia.
Sono
laureata in lettere classiche e abilitata in greco e latino: perché insegno nei
professionali da 25 anni?
Perché
questa mi sembra davvero scuola pubblica, scuola che onestamente,
caparbiamente, prova ad essere di tutti, e spesso ci riesce; perché qui molti
colleghi hanno maturato capacità didattiche straordinarie, e sono in grado ad
esempio di impegnare gli alunni di una stessa classe parte in una attività di
recupero e parte in lavori di approfondimento, in modo da non mortificare né
chi è in difficoltà né chi già possiede buoni strumenti di apprendimento;
perché qui c’è un capitale di esperienza organizzativa e una rete di rapporti,
con il territorio e con le imprese, costruiti in più di un decennio di stages e
di scambi formativi con esperti e tecnici delle aziende di settore.
Il
ministro Moratti si prepara a scardinare l’istruzione professionale, mi dicono:
per risparmiare.
Curioso,
che si cominci a risparmiare sprecando un capitale.
Maura Bergami, Insegnante -
Bologna