Invalsi
2014 dalla Gilda degli insegnanti di Venezia, 1 maggio 2014
L’INValSI (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema dell'Istruzione) è nato dalla trasformazione del CEDE (Centro Europeo per l’Educazione creato nel 1974) con il DL n. 258/1999. La configurazione e la denominazione attuali (INVALSI Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione) derivano dal riordino del precedente istituto a seguito dell’approvazione del decreto legislativo n. 286 del 19 novembre 2004. Si tratta pertanto di un ente che è frutto di scelte di vari governi di diverso orientamento politico. Le finalità dell’Invalsi, in particolare definite nella gestione Berlinguer, erano di stabilire un sistema di valutazione mediante dati uniformati sui quali promuovere politiche di intervento e di miglioramento degli standard formativi del sistema scolastico italiano. In tutti i paesi europei e nel Nord America esistono enti e istituti che hanno analoghe funzioni ed è pertanto coerente che l’Italia abbia un proprio sistema integrato di valutazione del sistema scolastico; anche per ottemperare agli accordi europei che prevedono PISA (Programme for International Student Assessment), un’indagine internazionale promossa dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per accertare con periodicità triennale i risultati dei sistemi scolastici in un quadro comparato. Nel nostro Paese inoltre pare opportuna l’esistenza di un ente di valutazione degli standard del settore scolastico di fronte alla presenza di numerose scuole private e parificate che offrono “servizi” di bassa qualità e che competono scorrettamente con la scuola statale. Gilda degli Insegnanti ha fin dall’inizio contestato non tanto l’esistenza di una istituzione autonoma di valutazione del sistema scolastico, quanto le modalità di gestione e l’uso spesso strumentale degli esiti dei test e degli strumenti di valutazione proposti/imposti alle scuole e agli insegnanti. Il fatto che tali test siano diventati col tempo prove dell’esame obbligatorie alla fine del percorso della scuola secondaria di I grado (peraltro valutabili in 10 decimi come qualsiasi altra prova) è sempre stato motivo di contestazione da parte dei docenti di questo ordine di scuola: perché pregiudicano percorsi didattici consolidati negli anni, progettati sul principio dell’individualizzazione del percorso didattico e formativo e quindi calibrati sulle necessità educative di alcuni di loro (diversamente abili, stranieri, DSA, disagio sociale). L’intenzione poi di elevare in un futuro non tanto lontano queste modalità di valutazione a prove dell’esame di Stato sostitutive di discipline considerate da un certo punto di vista “oggettive” (Matematica, Lingua, Terza prova) rischia di espropriare gli insegnanti dell’ambito della valutazione didattica e formativa dei loro allievi. Infine non va dimenticato che i test, come tutti gli strumenti di analisi statistica, possono essere curvati per legittimare o delegittimare scelte politiche di fondo nel campo dell’educazione e della formazione. Possono inoltre essere lo strumento più potente per limitare la libertà di insegnamento obbligando i docenti e le scuole a conformarsi agli obiettivi di conoscenza e di competenze decise da un nucleo ristretto di esperti autocrati e autoreferenziali. Ciò appare ancora più sconcertante nel nostro paese a fronte di un istituto nazionale INVALSI privo di risorse sufficienti per operare con adeguata indipendenza e costretto anno dopo anno ad utilizzare il lavoro (gratuito) dei docenti per porre in essere gli strumenti di analisi e valutazione che dovrebbero essere gestiti direttamente e con personale indipendente dallo stesso INVALSI. Nell’attuale clima politico e ideologico in cui una astratta e pericolosa ideologia meritocratica volta ai docenti ha creato una cultura della caccia ai fannulloni, alle inefficienze, agli sprechi addirittura prefigurando per legge quote di docenti “bravi” da contrapporre alla massa di coloro che operano normalmente nelle loro classi, strumenti di valutazione come quelli proposti da INVALSI sono giustamente interpretati da moltissimi insegnanti come potenziali strumenti di controllo finalizzati a premiare i “buoni” e a sanzionare i “cattivi”. Strumenti che portano ad una progressiva deprofessionalizzazione dei docenti costretti a insegnare a fare, somministrare e correggete test organizzati e imposti dall’alto. Il teaching to the test è a nostro avviso una sventura per la scuola italiana e per la professionalità dei docenti. Considerando che negli ultimi anni i docenti sono stati oggetto di campagne politiche e di stampa denigratorie, di un blocco del contratto che dura da cinque anni, del blocco degli scatti di anzianità, sulla cui restituzione continuano a calare colpevoli silenzi del governo e di altre forze sindacali, di un aumento di attività accessorie e burocratiche che nulla hanno a che fare con il lavoro vero dei docenti, ecc., è logico che i test INVALSI siano vissuti come ennesima incombenza burocratica, come un ulteriore lavoro non pagato in cui il ruolo di valutazione dei docenti viene ristretto in ambiti predefiniti, decontestualizzati e con caratteristiche prevalenti di natura impiegatizia. La legge 35/2012 (art. 51, comma 2 del DL 5/2012) – “Decreto semplificazioni”- assegna alle istituzioni scolastiche il compito di partecipare come attività ordinaria di Istituto alle rilevazioni nazionali degli apprendimento degli studenti gestito da INVALSI. Si tratta di un provvedimento gravissimo imposto unilateralmente da governo nel segno di logiche tecnocratiche ed efficientistiche che nulla hanno a che vedere con il miglioramento dell’offerta formativa del settore scolastico e che interpretano la funzione docente come mera mansione esecutiva. ANCHE IN PRESENZA DELLA NUOVA NORMATIVA SULL’INVALSI GILDA DEGLI INSEGNANTI RIBADISCE CHE L’ATTIVITA’ DI TABULAZIONE E CORREZIONE DELLE PROVE INVALSI DEVE ESSERE OGGETTO DI ADEGUATO RICONOSCIMENTO DAL PUNTO DI VISTA CONTRATTUALE. IN PARTICOLARE L’ATTIVITA’ DI CORREZIONE, CHE DOVREBBE PER CORRETTEZZA ESSERE EFFETTUATA DA ESTERNI ALLA SCUOLA, NON TROVA RISCONTRO TRA QUELLE RETRIBUITE DAL CCNL VIGENTE. La nota 2792 del 20/4/2011 stabilisce che “il riconoscimento economico per tali attività potrà essere individuato in sede di contrattazione integrativa di istituto, ex art. 6 e 88 del ccnl”. INVECE NULLA OSTA AL FATTO CHE LE PROVE POSSANO ESSERE SOMMINISTRATE ALL’INTERNO DELL’ORARIO DI SERVIZIO DEI DOCENTI.
GILDA DEGLI INSEGNANTI, ANCHE PER LE ANALISI SUESPOSTE, INVITA PERTANTO I DOCENTI DELLE SCUOLE COINVOLTE A RIFIUTARE DI EROGARE LAVORO AGGIUNTIVO E NON RICONOSCIUTO DAL CCNL DERIVANTE DALL’EROGAZIONE DEI TEST INVALSI.
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