Stipendi italiani più bassi d’Europa,
Alessandro Ameli
Gli stipendi dei lavoratori dipendenti italiani (pubblici e non) sono i più bassi d’Europa, è quanto sostiene il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi. Seppure con qualche differenza percentuale nel confronto con Francia, Regno Unito e Germania siamo indietro di molti punti. I lavoratori italiani, a parità di condizioni, guadagnano fino al 40% in meno. Questa depressa condizione reddituale colpisce maggiormente i giovani, sui quali pesano anche gli oneri “della discontinuità lavorativa”, cioè per essi ai redditi bassi si sommano gli effetti della precarietà e della flessibilità. Secondo Draghi i bassi salari e la percezione dei lavoratori di assenza di crescita delle loro retribuzioni hanno influito sui consumi delle famiglie, consumi diminuiti negli ultimi sei anni. Se quanto afferma il Governatore è vero, e non abbiamo motivo di dubitarne, è necessario avviare una analisi attenta di quanto è accaduto nella politica dei redditi in Italia dagli anni ’90 in poi ed individuare le responsabilità. Se è giusto ciò che dice Draghi allora il contenimento salariale di cui politici e sindacalisti si vantano sempre è stato un colossale errore? Perché tenere ancora in piedi l’accordo sul costo del lavoro del ’93 se porta danni all’economia complessiva del Paese anziché benefici? E se come dice Draghi “occorre che il reddito torni a crescere in modo stabile” allora sarà necessario ritornare ad introdurre alcuni automatismi retributivi? E se Draghi ha ragione allora le risorse economiche che negli altri Paesi europei sono state investite sui lavoratori in Italia dove sono finite? E’ chiaro che il sindacato non può più eludere su questi temi e più in generale sulle future politiche dei redditi un dibattito interno ed un confronto esterno con i lavoratori. Ciò che più conta però è un chiaro e definitivo “riorientamento” del sindacato al suo compito istituzionale attraverso il recupero di una forte autonomia dalla politica.
Il Segretario
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