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Welfare da sfigati
Doveva scuotere le coscienze degli ex bamboccioni, che all’anagrafe
delle new entry nel ceto politico dirigente vanno oggi classificati come
sfigati. Lo scivolone lessicale sarebbe il meno. Il vice è giovane, si
farà. Lì per lì, l’entusiasmo gli ha preso la mano. Ha fatto lo sgamato
con lessico giovanile, da bancarella dell’usato (anzi dell’usurato). Il
termine è sul mercato dai primissimi anni Ottanta: “(…) penso m’abbia
abbandonato sul serio, sfigato io che non lo voglio capire” (P. V.
Tondelli, Altri libertini, 1980). Un anagramma ci dà la chiave del riuso
loffio (Michel Martone: Che lento mimar!). La sostanza del discorso
viceministeriale sarebbe, invece, sensata per molti (Serra compreso:
“credo che Martone alludesse a un'altra verità, tutt'altro che
reazionaria: tra un "dottore" dequalificato e mal pagato e un artigiano
che sa il fatto suo, chi se la passa meglio?”, la Repubblica, 25/01/12).
Solo la forma farebbe acqua. E invece calza come un guanto, sul
riduzionismo ideologico. Quanto lo sfigato è uno su cui pesa, in
partenza e in viaggio, la sfiga (socialmente intesa), quanto è un
incapace a prescindere? Nell’ottica d’un welfare nemmeno più
conservatore, ma in prospettiva residuale, istruzione compresa, dovrà
valere la seconda ipotesi. A prescindere appunto dalla complessità del
dato sociale – appiattito in chiave etico-volontaristica.
Se di lapsus si è trattato, ha
fatto balenare l’ideologia oltre il vello d’oro della tecnica al governo
(dei tecnici appunto). Meno accorto dei professori di lungo corso,
tirandosela un tantino nella camicia con cui è venuto al mondo (che lo
preserva dalla sfiga), il professorino ha zippato in una battuta
clamorosa un’intera visione del mondo (il suo). La stessa che nei
discorsi – in genere meglio calcolati dei suoi colleghi – mette in
risalto l’aplomb di camicie più eleganti, però di stoffa non diversa.
Professori anche noi – ma nati
senza camicia, ancorché non descamisados – non riusciamo mai a segare
con cuore leggero gli sfigati che ci capitano davanti. Sarà perché in
essi vediamo nostri simili.
Arlekin
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