Il PAI: nuovo strumento
per l’inclusione scolastica

 Orizzonte scuola 12.5.2014

di Katjuscia Pitino - Con la Nota Ministeriale prot.1551 del 27 giugno 2013 il Miur fornisce indicazioni sul Piano Annuale per l’Inclusività, richiamando nello specifico la Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 e la C.M. n.8 del 2013 prot.561 “Strumenti di interventi per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica”. Indicazioni operative.

Per il tramite della Nota si affinano le caratteristiche salienti del PAI, che le istituzioni scolastiche, come affermato nella C.M. n.8, sono tenute a redigere al termine di ogni anno scolastico, esattamente entro il mese di giugno.

La scuola ha quindi l’onere di proporre il Piano Annuale per l’Inclusività, relazionando proprio sul processo di inclusività agito, sullo stato dell’arte in merito agli interventi inclusivi attivati in itinere e ancor di più presentare una proiezione globale di miglioramento che essa intende realizzare attraverso tutte le specifiche risorse che possiede.

Conseguentemente il PAI è deliberato dal Collegio dei docenti. Il dirigente scolastico ha il compito di individuare le figure strategiche che opereranno all’interno del GLI (Gruppo di lavoro per inclusione), sia per la rilevazione degli alunni con Bisogni Educativi Speciali sia per tutto quanto possa rilevarsi utile ed inclusivo per la scuola. Non v’è dubbio che in questa prospettiva più ampia, il PAI allarghi la cerchia dell’integrazione tradizionale, compiuta dalla singola istituzione scolastica, verso un orizzonte più inclusivo, rinviando, prima di tutto, ad un’analisi dell’effettiva inclusività della scuola. Più volte è stato infatti detto che il termine integrazione ha una valenza più statica, al contrario dell’inclusione che avrebbe in corpore una dinamicità sempre in progressione e cangiante, anche in relazione ai contesti scolastici e alle diverse situazioni emerse.

Ritornando alla Nota 1551, è chiaro che per le scuole, in fase di determinazione del PAI, il suo contenuto può essere di grande aiuto, nelle more di capire come dovrà essere realmente questo documento, visto che in questo primo momento si procederà, come evidenziato, alla “raccolta delle migliori pratiche in ordine alla definizione dei Piani in parola”. La regia e il montaggio del PAI richiedono dunque una attenta analisi poiché il documento attestante il grado di inclusività esperito dalla scuola e la progettualità pensata per l’anno scolastico a venire dovranno essere restituiti ai competenti Uffici Scolastici Regionali nei tempi stabiliti dagli stessi. Nella Nota pure si sottolinea che “il prossimo anno scolastico dovrà essere utilizzato per sperimentare e monitorare procedure, metodologie e pratiche anche organizzative”, in vista di arrivare, attraverso il contributo collettivo di tutte le scuole, alla determinazione di un prototipo ideale di PAI.

Nella Nota sono dunque rintracciabili gli spunti utili per non incappare, in fase di messa a punto del PAI, in errori di mera compilazione delle attività inclusive e per non redigere altresì un documento che sia ad alto contenuto burocratico e privo di interessi qualificati. Il PAI è prima di tutto un documento che informa su i processi di apprendimento individualizzati e personalizzati, sulle metodologie e strategie adottate a garanzia del successo formativo.

Il PAI non è un documento dissociato dal POF, anzi è parte integrate di esso e il Collegio dei docenti, attraverso il POF, non potrà fare a meno di chiarire che il processo di inclusione è esso stesso insito in quella visione antropologica di riferimento che la comunità educante ha scelto come cardine essenziale dell’azione didattico-educativa. Non è quindi ragionevole pensare solo ad un PAI allegato al POF come mero adempimento; al contrario esso dovrebbe svilupparsi come natura sottostante ad ogni azione, emergendo da tutte le iniziative intraprese. Alla base del PAI, il concetto inclusivo da prediligere è quello di Education for all, eliminando ogni automatismo tendente a relegare i soggetti con bisogni educativi speciali entro uno specifico ambito. Ciascuno ha bisogno di essere incluso. L’inclusività è un processo di emergenza, pieno di contingenze che guidano quotidianamente il fare inclusivo della scuola.

Il PAI non può essere definito un volta per tutte, in verità la Nota dice che “esso è prima di tutto un atto interno della scuola autonoma, finalizzato all’auto-conoscenza e alla pianificazione, da sviluppare in un processo responsabile e attivo di crescita e partecipazione”. Sono queste infatti parole che a lungo hanno percorso i binari delle scuole, ma in questo caso, l’autoconoscenza non dovrebbe essere un percorso esperito ante la produzione del PAI? Sarebbe infatti interessante vedere quale sia stato il processo logico-valutativo dell’intera comunità educante nella elaborazione del PAI.

E’ pur vero che se oggi si parla di inclusività, accostando ad essa altri aspetti emersi anche dal dibattito internazionale, per esempio l’approccio mainstreaming che ha affermato una visione dell’integrazione degli alunni con disabilità o con difficoltà volta a toccare trasversalmente, attraverso le politiche sociali, tutti gli ambiti in cui essa si manifesta o gli Special Educational Needs, incorporati e catapultati nel nostro sistema scolastico italiano in forza della Direttiva Ministeriale del 27 dicembre 2012, si deve allora riconoscere alle scuole che la piena attuazione degli scenari inclusivi ha bisogno di tempi di riflessione, di esperienze e di dati oggettivi alla mano.

Appare infatti del tutto inutile e ripetitivo formulare un PAI che non attesti eventi reali, accaduti nelle prassi quotidiana. Come dire non c’è bisogno solo delle parole ma anche dei fatti. In questo caso potrebbe risultare interessante partire dall’Index per l’Inclusione proposto nel 2000 dagli studiosi Tony Booth e Mel Ainscow, la cui edizione italiana è stata curata da Fabio Dovigo e Dario Janes, ed è proprio in questa che si legge un aspetto determinate ossia che “la prospettiva del lavoro si è spostata con il tempo dall’integrazione individuale allo sviluppo dell’educazione inclusiva nella scuola”, lasciando intendere che l’inclusione deve sovrastare tutte le attività della scuola, rendendo pienamente consapevoli gli operatori che sono necessarie le capacità e gli interventi di tutti, affinché ogni alunno trovi situazioni congeniali alla sua natura fisica, psico-sociale ed esistenziale. In questo senso l’Index potrebbe essere lo strumento ante PAI perché con la sua struttura di domande che coinvolgono l’intera comunità educante, esse “costituiscono fondamentalmente il punto di partenza per avviare un’estesa raccolta di dati dentro e fuori. Solo conoscendo a fondo la situazione della scuola e il punto di vista dei diversi stakeholder è possibile infatti avviare quel profondo processo di rinnovamento dell’organizzazione scolastica”. Quale migliore occasione quindi per interrogarsi e analizzare le situazioni della realtà scolastica in cui si agisce, ovviamente sempre nell’ottica dell’inclusione. L’Index indaga sulle politiche, sulle pratiche e culture, punti focali per avviare una progettazione inclusiva generata proprio dalla partecipazione di tutti. Ed il PAI, se non è azzardato, sarebbe quindi anche l’elemento attestante i risultati ottenuti da questa indagine esplorativa sui i diversi livelli di inclusività. Dario Janes, nell’edizione italiana dell’Index, scrive “La progettazione inclusiva investe infatti profondamente tutta la scuola, e non può essere semplicemente messa a margine come una piccola attività aggiuntiva (accanto alla commissione gite, quella per gli acquisti, ecc.). È necessario piuttosto che il lavoro sull’inclusione venga assunto come l’avvio di un periodo di sperimentazione che coinvolge tutto l’istituto, e che può portare nel corso dell’anno a una discussione e modificazione del POF, con l’obiettivo di giungere a una graduale armonizzazione dei due strumenti”. Alle scuole l’onere di scegliere il processo migliore che deve portare alla estrinsecazione del PAI e soprattutto di uno strumento che sia espressione di una inclusività non solo sedicente ma concreta.

Altro aspetto essenziale su cui è importante soffermarsi è il punto della Nota 1551 nella parte in cui si dice che “resta fermo che il PAI non sostituisce le richieste di organico di sostegno delle scuole, che dovranno avvenire secondo le modalità definite da ciascun Ambito Territoriale”; tale assunto è contrastante con quanto affermato nella C.M. n.8 del 2013, in essa infatti si legge che “il Piano sarà quindi discusso e deliberato in Collegio dei Docenti e inviato ai competenti Uffici degli UUSSRR, nonché ai GLIP e al GLIR, per la richiesta di organico di sostegno, e alle altre istituzioni territoriali come proposta di assegnazione delle risorse di competenza, considerando anche gli Accordi di Programma in vigore o altre specifiche intese sull'integrazione scolastica sottoscritte con gli Enti Locali. A seguito di ciò, gli Uffici Scolastici regionali assegnano alle singole scuole globalmente le risorse di sostegno secondo quanto stabilito dall’ art 19 comma 11 della Legge n. 111/2011”. Una simile precisazione avviene alla distanza di oltre tre mesi dalla suddetta Circolare, chiarendo così che il PAI non è uno strumento propedeutico alla determinazione degli organici di sostegno delle scuole ma che invero potrebbe anche apparire come un controllo indiretto delle effettive necessità emergenti dalla scuola.

Intanto per le scuole la fase di deliberazione del PAI sta giungendo al capolinea, stante che il termine fissato dalla Circolare n.8 del 2013 scade nel mese di giugno di ogni anno, vedremo più avanti cosa uscirà fuori da tutte queste buone pratiche inclusive.

Nota Ministeriale prot.1551 del 27 giugno 2013