Riforma della secondaria superiore: verso il disastro. di Paola Blondi da Educazione & Scuola di venerdì 24 dicembre 2004
Il 12 ottobre 2004 le agenzie stampa hanno diffuso il comunicato in cui il ministro Moratti preannunciava la prossima uscita del decreto sulla secondaria superiore. “Si sta concludendo una fase preparatoria – diceva – e inizierà alla fine di novembre un percorso di consultazione molto ampio con tutto il mondo della scuola”. Incredibile e infatti non vero. Nella conferenza stampa del 23 novembre il ministro ha dichiarato che per la scuola secondaria superiore non c’era ancora nulla di definito: “tutto ciò che è uscito sono solo bozze, ipotesi e proposte, non tutte peraltro arrivate sul mio tavolo. Non c’è ancora nulla di deciso”. Prendiamo atto. Però qualcosa è accaduto in questi mesi. E a metà dicembre spunta tra le fughe di notizie uno schema di decreto sul secondo ciclo. Ci avviamo a piccoli passi verso un grande disastro di merito e di metodo. Vediamo perché.
La riforma è in ritardo, anzi in ritardissimo I tempi della delega per l’emanazione dei decreti (ventiquattro mesi) avrebbe dovuto scadere a metà aprile 2005: saremmo quindi in grave ritardo perché il processo normativo è ancora assai carente. Ci sono voluti venti mesi per delineare il quadro attuativo del primo ciclo di istruzione registrando – sotto gli occhi di tutti - dissensi profondi e confusione. Ancora vergine è la scuola secondaria superiore: c’è un intoppo sui primi due decreti, quello del diritto-dovere e quello dell’alternanza scuola-lavoro, indispensabili – il primo soprattutto -per mettere mano al sistema dei licei, ponendo le condizioni per l’altro sistema. Per come è congegnata la legge 53 è impossibile disaggregare in due distinti decreti: unitariamente occorre delineare la materia “istruzione” dei licei e fornire i livelli essenziali per il pezzo di scuola che liceo non è. E in particolare non si può partire senza chiarire quelli che una volta si chiamavano obbligo scolastico e obbligo formativo. E ora la domanda: perché siamo in tanto ritardo se gli schemi dei due decreti sono stati approvati dal Consiglio dei ministri fin dal 21 maggio 2004? La procedura vuole che i testi siano trasmessi alla Conferenza unificata (30 giorni per esprimere un parere e l’intesa dovuta) e quindi alle Commissioni parlamentari (sessanta giorni per il parere). Considerando la pausa estiva, il tutto avrebbe dovuto concludersi in ottobre e ciò spiega l’ottimismo del ministro nel comunicato del giorno 12. Due giorni dopo il fattaccio, di cui diremo a breve; per fortuna, a dare ossigeno alla macchina riforma è arrivata la proroga di sei mesi. Il decreto 9 novembre 2004 n. 266 ha differito i termini per l’esercizio delle deleghe legislative, ragion per cui quella per la scuola scade a metà ottobre 2005.
Il fattaccio: non c’è intesa con Regioni ed Enti locali, ma si va avanti I decreti, se dimentichiamo il disastro della legge 53, possono essere valutati con qualche benevolenza: l’impostazione dell’alternanza è accettabile, il diritto-dovere in prima attuazione (tanto basta per giungere a una nuova legislatura che ci auguriamo rompa la rotta della riforma) dispone per tutti la frequenza del primo biennio secondario superiore, finendo per ripristinare un prolungamento dell’obbligo. La Conferenza unificata il 29 luglio 2004 si è riunita, ma ha rinviato la discussione a causa dell’assenza per protesta dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani). Se ne è riparlato il 23 settembre; la Conferenza ha sollevato quattro questioni sul decreto del diritto-dovere: – il Piano finanziario è giudicato insufficiente per gli oneri “derivanti dall’applicazione delle norme sul diritto allo studio ai 125.000 nuovi studenti contabilizzati dal Miur”; – è opportuna un’intesa su tutto il provvedimento e non solo sugli articoli 4, 5 e 6; – occorre capire “quale sia l’ente locale, Comune o Provincia, a cui saranno attribuite le competenze relative all’estensione del diritto-dovere, rimanendo indeterminato se l’obbligo si completa oltre la scuola secondaria di primo grado, quindi la competenza sia della Provincia, o in quanto scuola dell’obbligo la competenza sia comunale. Si tratta di questioni che richiedono un immediato chiarimento, dovendo l’ente locale competente programmare e stabilire già da ora attività quali appalti e servizi per far fronte a quanto previsto dai due decreti in corso di elaborazione”; – l’anagrafe nazionale degli studenti deve essere rispettosa e coerente con quanto già realizzato a livello territoriale regionale. Il Miur deve aver presupposto una soluzione del dissidio, da cui l’ottimismo del ministro. Invece il 14 ottobre 2004 la Conferenza si è espressa, il fronte regionale si è rotto sul parere, ma non sulle materie d’intesa: – hanno espresso parere negativo le Regioni Basilicata, Campania, Emilia–Romagna, Friuli Venezia Giulia, Marche, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Provincia di Bolzano; – hanno valutato parzialmente positive le risposte ministeriali e hanno espresso parere favorevole le Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria, Veneto, Abruzzo, Molise, Lazio, Calabria, Puglia e Sicilia, pur confermando le perplessità sulle risorse finanziarie; – in riferimento agli articoli 4, 5 e 6, per i quali è prevista l’intesa, all’unanimità “la Conferenza esprime la mancata intesa”; – ANCI e UPI (Unione Province Italiane) hanno espresso parere negativo. Il Consiglio dei ministri dell’11 novembre 2004 ha preso atto della mancata intesa, ma ha ritenuto di proseguire, inviando i testi al Parlamento. Il perché lo spiega il presidente Asciutti alla commissione del Senato, nella seduta del 30 novembre 2004. Il governo “ha ritenuto opportuno proseguire l’iter del provvedimento, in ciò avvalendosi della procedura prevista dall’articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 281 del 1997. Quest’ultimo stabilisce infatti che quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni, il Consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata”. Non sta a noi valutare la legittimità della scelta; piuttosto mettiamo a fuoco alcune preoccupazioni per una riforma che: – tende a sottovalutare l’importanza delle risorse finanziarie; – non ha come metodo il dialogo e il confronto; – è confusa nelle disposizioni; – è unilaterale nelle decisioni anche in materie in cui è d’obbligo l’intesa con gli enti territoriali; con queste premesse la riforma del secondo ciclo è un terreno minato. Non a caso il senatore Asciutti rivolge “un caloroso invito ad entrambe le parti, Governo e Regioni, affinché siano esperiti tutti i possibili margini di trattativa, tenendo presente che dall'impegno finanziario in favore della scuola e della formazione in generale si misura la centralità di dette tematiche rispetto all'azione di Governo. Si augura pertanto che possa essere individuata una soluzione idonea affinché il decreto attuativo in questione non resti privo dell'indispensabile supporto delle Regioni, che ne sono le protagoniste principali”. Non sono parole di cortesia o di diplomazia: per far marciare la riforma è indispensabile l’esercizio attivo delle competenze costituzionali delle Regioni in materia di istruzione/formazione (il pezzo di scuola che non è liceo) e di programmazione dell’intero secondo ciclo.
Si scommette su una vecchia intesa Ciò che al momento salva capra e cavoli è la sperimentazione siglata dalle Regioni nel 2003: nella stesura, che oggi circola del decreto sul secondo ciclo, tale Accordo non a caso è allegato all’atto. Ma se il governo tira troppo la corda, ci si chiede perché le Regioni dovrebbero mantenere l’impegno siglato peraltro “nelle more dell’emanazione del decreto sul diritto-dovere”, quello che potrebbe essere varato senza intesa. Il disegno governativo è spiegato dal senatore Asciutti: è prevista “una graduale attuazione del diritto-dovere che verrà completata con l’emanazione dei restanti decreti legislativi previsti dalla legge-delega, ed in particolare di quello inerente il secondo ciclo di istruzione e di istruzione e formazione professionale”. In prima attuazione si prevede che “l’iscrizione e la frequenza gratuita riguardi i primi due anni degli istituti secondari superiori e dei percorsi sperimentali di istruzione professionale, sulla base di quanto previsto nell’accordo sottoscritto in sede di Conferenza unificata il 19 giugno 2003”. E se le cose si mettessero male, torna buono l’obbligo formativo del precedente governo: “in attesa della completa attuazione del diritto-dovere, continuerà ad applicarsi l’articolo 68, comma 4, della legge n. 144 del 1999”.
Quel che già è certo: il disastro della legge 53 Nulla è deciso, dice il ministro, e non mancano problemi. Ma non tutto è oscuro, la legge 53 delinea da tempo l’assetto del nuovo ordinamento: il secondo ciclo è costituito dal sistema dei licei e dal sistema dell'istruzione e della formazione professionale. Dei licei sappiano quanti sono (otto in tutto) e quali: artistico, classico, economico, linguistico, musicale e coreutico, scientifico, tecnologico, delle scienze umane. Solo tre licei (artistico, economico e tecnologico) si articolano in indirizzi per corrispondere ai diversi fabbisogni formativi. Conosciamo anche la durata e l’articolazione degli studi liceali: un quinquennio, sviluppato in due cicli biennali e in un quinto anno di completamento e approfondimento. Del sistema di istruzione e formazione professionale (di competenza regionale, ferma restando la competenza dello Stato sui livelli essenziali di prestazione) la legge 53 definisce l’articolazione in “percorsi” ai quali conseguono titoli e qualifiche professionali di differente livello, valevoli su tutto il territorio nazionale. Per quanto sia consacrata la pari dignità dei due sistemi e sia prevista la possibilità di passaggio all’interno dei sistemi e tra essi, la legge 53 è chiara su ciò che attende i nostri giovani: una scelta tra il liceo e i percorsi nell’ultimo anno della secondaria di primo grado, più o meno a 13 anni. Come oggi, sostiene il Miur: formalmente ha ragione, l’iscrizione alla secondaria superiore avviene in terza media. Peccato che oggi si scelga tra comparti di un unico sistema, mentre domani l’orientamento sarà davvero impegnativo. O forse no?
Le voci sul decreto: una scuola tutta liceo Nulla è deciso, ha affermato il ministro il 23 novembre. Eppure a metà dicembre circola uno schema di decreto con le rettifiche concordate con il ministro in data 10 novembre. Si tratta di una fuga di notizie, ma la storia di questa riforma ci ha insegnato che, se hanno poco valore le stesure delle commissioni consulenti, viceversa sono in qualche modo fondati i documenti che, come in questo caso, il ministro ha visto. Se così è, la riforma cambia rotta su un punto essenziale. Leggiamo: “Nell’anno scolastico 2006-07 gli istituti di istruzione secondaria superiore, ad eccezione degli istituti professionali di Stato, assumono la denominazione di “licei” e realizzano i percorsi del sistema dei licei. Dall’anno scolastico 2006/07, con decreto e d’intesa con la Conferenza unificata, gli istituti professionali di Stato sono trasferiti gradualmente alle Regioni, sentite le organizzazioni sindacali di categoria. Sono trasferiti alle Regioni i beni, le risorse e il personale”. La notizia, se confermata, è eclatante: mette fine alla diatriba sulla sorte degli istituti tecnici. Praticamente tutto un liceo, come nella riforma Berlinguer. Ma questa volta non è questione di nomi, ma di sostanza vera e propria, perché i licei – lo dice la legge 53 – sono aprofessionali e propedeutici all’università. Nel sistema di istruzione/formazione resta dunque ben poco: la formazione professionale già regionale, l’istruzione professionale oggi statale, i percorsi integrati sperimentali che, dice il decreto, andranno potenziati.
Due interpretazioni maliziose e amare La notizia sorprende tutti e quindi legittima uno sforzo di interpretazione. Vengono in mente due ipotesi. – La bozza si attiene per il momento a una interpretazione secca della legge 53 che parla in effetti di istruzione professionale e formazione professionale; era stato il ministro, più volte, a spiegarci che l’aggettivo “professionale” non andava inteso in senso burocratico, bensì a significare qualunque credito formativo “professionalizzante” alla fine dei curricoli, come è oggi anche l’istruzione tecnica; ciò aveva determinato la diatriba con Confindustria e questa bozza di decreto potrebbe servire a riallacciare un dialogo a partire da una concessa appartenenza dell’istruzione tecnica (tutta) al sistema dei licei; resta da vedere se Confindustria approva una tanto diffusa licealizzazione; crediamo di no, ma valutiamo che la bozza possa essere letta come un segno di resa o comunque di patteggiamento; in questo caso il testo del decreto che oggi conosciamo è uno strumento di dialogo e nulla davvero è deciso. – Il documento potrebbe essere un segnale di intimidazione per le Regioni che non hanno siglato l’intesa; sarebbe a dire che, se le posizioni restassero sostenute, il governo potrebbe regionalizzare solo l’istruzione professionale; sia chiaro, questo comparto, nel sistema scolastico attuale, ha svolto un ruolo fondamentale per l’utenza in maggiore difficoltà, ha avuto la forza di rinnovarsi con curricoli sinergici al mondo del lavoro, ha espresso una classe docente in grado di affrontare problemi quali l’abbandono, il disagio giovanile; ciò detto, assegnare alle Regioni la sola istruzione professionale, in aggiunta all’attuale formazione professionale, significa porre condizioni non ottimali per la costruzione del sistema di istruzione/formazione; significa trasferire beni e personale senza adeguate risorse finanziarie. E la nostra malizia va anche oltre: la fuga di notizie avviene proprio a ridosso delle iscrizioni, cosicché la tendenza, già dello scorso anno, di utenza in fuga dall’istruzione professionale, interpretata come incerta e “non scuola”, potrebbe confermarsi a tal punto da svuotare ciò che deve essere trasferito. Le ipotesi si concludono con una considerazione amara: l’ultimo dei pensieri del Miur è la scuola, gli insegnanti, i giovani. E questo vale a maggior ragione se le nostre supposizioni fossero troppo maliziose e quindi la bozza di decreto fosse vera. Allora saremmo davvero di fronte a un disastro colossale per la formazione dei ragazzi, per l’economia del Paese, per la parità delle opportunità, per una giustizia sociale. Una scuola tutta liceo, forse addirittura con latino e filosofia in tutti gli indirizzi come dicono gli OSA (obiettivi specifici di apprendimento) oggi in circolazione, comunque sicuramente propedeutica all’università, senza possibilità di conseguire un diploma, è un’impostazione d’élite che contrasta con una ormai conseguita piena scolarità, con un diritto all’istruzione che possa essere nei fatti garantito a tutti, con una società che ha bisogno di aggregazione e non di separazione, con un’economia che punta per lo sviluppo sulle risorse umane e la loro formazione.
Le non novità dell’orario nel sistema dei licei Se la stesura che circola è attendibile, l’orario non è quello ridotto che tutti si aspettavano. Nel gioco dei poteri – non certo è stata consultata la scuola – qualcuno si è opposto all’impostazione economica del Miur, cosicché le ore sono più o meno quelle di prima, se non fosse per la presenza di frequenze facoltative, quindi non curricolari. Nello specifico, le ore curricolari sono 990 annue (30 settimanali) nei due bienni, 891 annue (27 settimanali) nel quinto anno. Si aggiungono 99 ore annue (3 settimanali) facoltative e opzionali. Nel quinto anno ci sono 99 ore opzionali obbligatorie destinate ad approfondimenti disciplinari. I licei articolati in indirizzi organizzano, in aggiunta, attività e insegnamenti opzionali obbligatori di indirizzo per ulteriori 99 ore annue. Riepiloghiamo.
Le novità dei licei plurindirizzo: l’impostazione è scomposta Dopo un lungo balletto di notizie, l’attuale stesura del decreto presenta novità sul fronte degli indirizzi dei licei. Una buona: il biennio è comune. L’articolazione nel triennio presenta un’impostazione incredibilmente scomposta tra i tre licei, tanto da rinnovare il sospetto che la stesura oggi circolante non possa essere quella definitiva. Il liceo artistico è sostanzialmente quello di prima, concede qualcosa alla moda multimediale, introduce l’ambiente e si articola in tre indirizzi: – arti figurative; – architettura, design, ambiente; – audiovisivo, multimedia, scenografia. Il liceo economico si stringe in due soli indirizzi, in una natura davvero liceale che spazza via tutta la tradizione dell’istruzione tecnica: – economico-aziendale: competenze organizzative, amministrative e gestionali mirate su specifici settori quali i servizi, il turismo e le produzioni agro-alimentari; – economico-istituzionale: competenze economico-giuridico-istituzionali anche nelle dimensioni europea e internazionale. Mentre il secondo indirizzo è coerente all’impostazione propedeutica all’università, il primo indirizzo è a dir poco confuso: presuppone la formazione di competenze (organizzative, amministrative, gestionali) che astrattamente possano finalizzarsi a settori economici quali il mondo immenso dei servizi e i settori specifici del turismo e dell’agro-alimentare. Stupisce peraltro che la generalizzazione abbia travolto sperimentazioni nuove quali l’indirizzo turistico. Lo smarrimento cresce quando si legge come si articola il liceo tecnologico. Gli indirizzi sono addirittura sette e le dizioni sono quelle dell’istruzione tecnica e anche professionale (per l’indirizzo della moda). Eppure sappiamo – lo dispone la legge 53 – che anche questo è un liceo aprofessionale, propedeutico all’università, senza il diploma alla fine del quinquennio, dove si insegnerà forse latino e filosofia. L’articolazione è straordinariamente diversa da quella del liceo economico (perché?) e gli indirizzi nominalmente mirano a uno specifico di competenze: – meccanico; – elettrico ed elettronico; – informatico o della comunicazione; – chimico e biochimico; – sistema moda; – agrario; – costruzioni e territorio. L’impostazione è davvero troppo scomposta: la stesura del decreto, almeno per questo liceo, parrebbe niente più che una riapertura di dialogo con Confindustria.
Il sistema di istruzione e formazione professionale Per questo sistema il decreto determina i livelli essenziali delle prestazioni, ovvero: – un orario complessivo annuale obbligatorio di almeno 990 ore (30 settimanali); – percorsi di durata triennale che si concludono con il conseguimento di una qualifica professionale; – percorsi di durata quadriennale che si concludono con il conseguimento di un diploma professionale; – percorsi riferiti a figure di differente livello, relative ad aree professionali definite mediante intese in sede di Conferenza unificata; tali figure possono articolarsi in specifici profili professionali sulla base dei fabbisogni del territorio; – standard minimi formativi (competenze linguistiche con riferimento alla lingua italiana e alla lingua inglese; competenze matematiche, scientifiche, tecnologiche; storico-sociali ed economiche; competenze professionali); – interventi di orientamento e tutoraggio; – personale docente in possesso di abilitazione all’insegnamento o esperti in possesso di documentata esperienza maturata per almeno cinque anni nel settore professionale. Sull’attuazione del diritto-dovere lo schema di decreto è alquanto vago, l’articolo 27 è appena abbozzato. Leggiamo che nell’anno scolastico 2005/06 il diritto-dovere riguarda i primi tre anni degli istituti di istruzione secondaria superiore (quindi gli istituti professionali nel segmento di qualifica) e i percorsi sperimentali realizzati sulla base dell’accordo del 19 giugno 2003. Dall’anno scolastico 2006/07 i percorsi sperimentali vengono gradualmente potenziati e ampliati, sulla base di intese in Conferenza unificata o con ciascuna Regione. La sperimentazione cessa, sulla base di apposite intese, a seguito della completa attuazione del diritto-dovere e a condizione che venga pienamente assicurato agli studenti l’accesso a entrambi i sistemi del secondo ciclo, a loro libera scelta.
Prova generale degli OSA del liceo tecnologico Nulla è ancora definito, dice il ministro. Intanto però è iniziato il balletto delle voci e delle carte provvisorie, quelle che servono come prova generale per saggiare le reazioni. Dopo lo schema del decreto sul secondo ciclo e l’assenza, in esso, di qualunque precisazione di discipline e obiettivi specifici di apprendimento, ecco il 3 dicembre 2004 comparire una pubblicazione ufficiosa degli OSA del liceo più in discussione, quello tecnologico. Il taglio astratto e classicista è più che evidente. Alcune discipline sono comuni a tutti gli anni: religione; italiano e conoscenza del mondo classico (possibile la separazione in due discipline); lingua straniera 1 (inglese); lingua straniera 2; storia; filosofia; matematica; informatica; scienze motorie e sportive; aspetti e caratteri generali della tecnica (non costituisce disciplina autonoma ma va distribuita sulle discipline scientifiche). Alcune discipline riguardano i primi quattro anni: fisica e chimica; biologia e scienze della terra; disegno; musica. Nominalmente le discipline del quinto anno parrebbero insistere su una maggiore specializzazione, disaggregando in specifiche identità formative le scienze degli anni precedenti. E’ introdotta anche l’arte e sono previsti approfondimenti disciplinari: fisica; chimica; biologia; scienze della terra; musica, arte e immagine; approfondimenti disciplinari, progetti interdisciplinari. Le discipline sono davvero tante, essenzialmente umanistiche e scientifiche, con la proposizione della filosofia e una conoscenza del mondo classico che potrebbe essere latino. Sarebbero cancellati l’insegnamento della geografia e di diritto ed economia. E’ inoltre evidente un ridimensionamento delle materie tecniche. A che cosa mai servirà un liceo siffatto? E se è importante che tutti i giovani si avvicinino alla filosofia e conoscano il mondo classico, discipline scolastiche che fatalmente saranno “storia della filosofia” ed “erudizione classica” (se non proprio “latino”) non costituiranno inevitabilmente un fattore di selezione dell’utenza? I giovani, che non possono/vogliono affrontare studi astratti (una cattiva cosa per tutti, a dire il vero) e non possono permettersi a 13 anni di programmare un proseguimento all’università, saranno parimenti garantiti nei percorsi di istruzione/formazione? Per quanto le Regioni volessero costruire un secondo sistema qualitativo e concorrenziale con i licei, le condizioni oggi delineate dallo Stato non minacciano nei fatti qualunque seria prospettiva? Ecco il disastro cui è destinata la scuola italiana. |