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P a v
o n e R i s o r s e |
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Ma il portfolio della riforma
non è un vero portfolio!
di Sebi Trovato, insegnante di scuola primaria,
da
Pavone Risorse del 20/8/2005
Chiariamo subito che io il portfolio di
Gardner lo uso da anni, non vorrei essere fraintesa per ciò che
scriverò. A me l’idea del portfolio in sé piace: il mio amico Howard,
però, me lo definirebbe piuttosto un processportfolio, perché quello
che strutturo coi miei alunni da almeno quindici ani, ogni anno, è un
portfolio di classe, una documentazione di come l’intelligenza di
ciascuno (distribuita su ogni individuo del gruppo con cui vive e
opera) possa costruire progetti concepiti "in termini di
concettualizzazione, di qualità di presentazione, accuratezza,
originalità ecc…" cui tutta la classe partecipa, ognuno con le sue
possibilità e peculiarità.
Non mi disturba nemmeno troppo il portfolio standard, nel quale,
secondo Gardner, l’individuo raccoglie i propri lavori migliori in
vista di una competizione o esibizione. Ma questo va bene per gli
americani, non per noi. Forse, va bene per gli american: non è detto
del tutto. Nell’ultimo libro di Nick Hornby, Non buttiamoci giù, uno
dei 4 aspiranti suicidi che si ritrovano sul tetto pronti a buttarsi è
un ragazzo americano che consegna le pizze a domicilio la notte di
capodanno a Londra. JJ sostiene che la sua generazione è stata
cresciuta con l’idea che ciascuno farà grandi cose, che se c’è
riuscita Britney Spears questo deve essere un incentivo… è una
generazione tirata su a portfolio standard, direi.
Il problema viene quando l’esibizione va male o si perde la
competizione…cosa facciamo: ci buttiamo tutti dal tetto della Casa dei
suicidi?
Comunque sia, va fatta una precisazione: nelle scuole anglosassoni,
prendiamo l’UK per esempio, i bambini vanno a scuola solo col cestino
del pranzo. Niente zaino, libri, quaderni,astuccio. Se vuoi vedere
qualcosa dei lavori di tuo figlio, devi entrare in classe ed osservare
i meravigliosi display (cartelloni riassuntivi di un percorso
didattico) appesi alle pareti dell’aula, oppure aspettare il colloqui
con i docenti che, per l’appunto, per parlarti del tuo bambino ti
presentano il portfolio, ossia una raccolta di suoi elaborati, robe
che finalmente ti dicono che a scuola fa scuola, perché tu, fino a
quel giorno, non avresti potuto immaginarlo. A loro sì che serve il
portfolio.
Ma noi siamo in Italia: abbiamo i quaderni che vanno a casa, il
diario, i compiti a casa… i genitori vedono quotidianamente (se
vogliono) quel che si fa a scuola. Quindi per noi va cambiato il
concetto di portfolio, ossia, è inutile scimmiottare gli altri Paesi
per uniformarci.
La funzione di questo strumento, secondo me, è soprattutto quelle di
conservare la memoria. Lo stesso Bruner tratta della necessità di
organizzare i contenuti della memoria in modo da poter trovare
facilmente le informazioni registrate. "L’organica sistemazione delle
informazioni riduce la disordinata molteplicità dei dati, inserendoli
in un processo conoscitivo costruito da noi stessi e rende più facile
il recupero di un certo materiale". Una sistematizzazione si rende
necessaria, perché il ricordare spontaneo, senza suggerimenti, risulta
straordinariamente difficile alla memoria umana: non a caso, ognuno di
noi a suo modo, raccoglie le foto in album, o riprende la videocamera,
o registra, o si affida ai diari, per poi riguardare tutto questo
anche a distanza di anni.
Nella scuola, la presenza di differenti intelligenze e stili cognitivi
in un gruppo, reca con sé la difficoltà di organizzare la memoria
collettiva nel rispetto dei singoli criteri di scelta e delle modalità
di apprendimento individuali, ma la costruzione di un portfolio
consente di trovare molteplici risposte alla ricerca dei modi per
conservare le esperienze; permette di fissare il momento dell’emozione
nella fase di apprendimento, ma favorisce anche la memorizzazione dei
concetti scoperti, i risultati più gratificanti per i singoli e per il
gruppo, i passaggi procedurali e le sequenze che la classe desidera in
qualche modo ricordare.
Poiché ogni modalità di rappresentazione è sempre parziale, io uso
costruire il portfolio in un ambiente multimediale, perché così il
bambino è stimolato ad utilizzare diversi tipi di rappresentazione che
possano portare un ricordo a diventare significativo: gli oggetti
costruiti e fotografati nel corso dell’esperienze, la musica, un
montaggio audio o una videoregistrazione favoriscono il ricordo di
momenti emotivamente forti, coinvolgendo non solo la conservazione
delle conoscenze, ma anche la dimensione emotiva.
Ecco, questo è il portfolio che mi piace.
MA. C’è un MA. Questo NON è il portfolio della Legge 53, quello contro
cui si esprime (a ragione) il Garante per la Privacy.
Personalmente come professionista attempata (e dunque di lunga
esperienza), sono contrarissima al portfolio individuale proposto
dalla Legge, molto lontano anche dal porfolio standard di Gardner.
Esso cita "prove scolastiche significative", "osservazioni dei docenti
e della famiglia sui metodi di apprendimento del fanciullo", "commenti
sui lavori personali ed elaborati significativi", "indicazioni che
emergano dall’osservazione sistematica, dai colloqui
insegnanti-genitori, colloqui con lo studente"…
E qui non ci siamo, dice anche il Garante.
Un’altra cosa su cui non ci siamo è che, sempre secondo la L 53 "il
portfolio delle competenze individuali (..) accompagna i fanciulli nel
passaggio alla scuola secondaria" per ben monitorare il passaggio e
gli scambi di informazione.
E’ davvero così utile tutto ciò? E a chi giova?
Forse giova allo studente?
Gardner ci avvisa di un fenomeno particolare: alunni (molto spesso
alunne) estremamente adattabili ed adattati alla scuola, con ottimi
profitti scolastici (leggi: voti altissimi) da adulti non realizzano
altro che lavori impiegatizi di scarsa soddisfazione. Tante attese per
nulla. Gardner sostiene che ben diversa è la storia del genio. Non
parliamo di Mozart come fa l’Autore, per carità, ma stiamo nel campo
della musica italiana. Da giovane ho conosciuto uno dei più noti
bassisti di gruppi musicali italiani ancora in voga oggigiorno: un
vero disastro scolastico, anzi, i genitori benpensanti degli anni ‘70
lo ritenevano un individuo pericoloso da frequentare per le loro
giovani figlie in fiore. Scuola? Abbandonata fin troppo presto:
nessuno sa se lui l’ha bocciata o se lei ha bocciato lui. Ma le loro
storie si sono separate ben presto. Passano gli anni e non lo vedo, ma
ne seguo le orme. E’ un uomo di successo, anche se scriveva camicie
senza la i. Anzi, strano, qualche ragazzo di oggi lo ritiene un padre
spirituale, è ritenuto un saggio, si presta come modello positivo.
Chissà come sarebbe stato il suo portfolio, invece.
E poi ripenso al portfolio secondo Legge 53 che avrei dovuto costruire
per qualche mio alunno "divergente", sai, di quelli che ti fanno
uscire pazza ogni giorno, che ne combinano una più di Bertoldo, che
sono tutti contorti e "fatti su", perché sono ancora bruchi e i
bruchi, si sa, non sono tanto belli da vedere…ma che splendide
farfalle diventano! Perché avrei dovuto documentare la carriera di un
brutto anatroccolo che oggi, lo so, lo seguo da lontano, è uno
splendido cigno, che ha fatto una strabiliante carriera universitaria,
ma che mi ha fatto morire, che gattonava sotto i banchi per non farsi
vedere mentre dava un calcio ad un compagno, che non parlava se non
biascicando e mettendosi le mani davanti alla faccia, che si esprimeva
meravigliosamente col disegno (ma non è diventato un pittore come
avrei dovuto pensare grazie alle intelligenze multiple, e scrivere nel
suo portfolio per l’orientamento se fossi stata un’insegnante
supponente!) e invece la sua scrittura sembrava un geroglifico? Era un
orribile bruco, voleva fare paura a tutti…avremmo dovuto scrivere le
osservazioni su di lui? Orrore! Oggi cosa se ne farebbe? Cosa
penserebbe delle sue osservazioni mirate? Lo avrebbero ammesso
all’università se avessero potute leggerle? E cosa si sarebbe persa la
nostra futura società se lui non avesse potuto avere "un tempo
segreto" per trasformarsi da bruco a farfalla?
Il tempo del bruco, secondo me è un tempo che va tenuto segreto,
esattamente come la farfalla fa: si chiude in un bozzolo e si
trasforma, poi esce più bella che mai. Oppure esce falena, o brutta
farfalla, non importa: il fatto è che nessuna l’ha vista trasformarsi,
non ha lasciato traccia ed ora vola dove vuole e si posa dove vuole,
dimentica del suo passato. Libera.
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