Per l'uguaglianza delle opportunità. di Daniele Checchi e Vito Perugine, da La Voce del 24/1/2006
I risultati delle recenti indagini Oecd-Pisa sulle abilità scolastiche degli studenti sono stati ampiamente analizzati e commentati su questo sito. Si tratta di indagini che forniscono informazioni preziose per la valutazione delle politiche scolastiche del nostro paese. In questo intervento proponiamo qualche ulteriore elemento di analisi al fine di verificare il grado di uguaglianza nelle opportunità di accesso alle competenze scolastiche e di valutare il ruolo del sistema di istruzione nei processi di mobilità sociale nel nostro paese. Le circostanze e l’impegno individuale I risultati sono tratti da uno studio recente in cui abbiamo cercato di verificare in che misura le disuguaglianze che si osservano nelle abilità scolastiche degli studenti italiani sono riconducibili a differenze nell’impegno personale piuttosto che a differenze in circostanze che vanno al di là della sfera di responsabilità individuale, quali ad esempio la famiglia o l’area geografica di provenienza. (1) L’idea è che solo le seconde costituiscano disuguaglianze inique, e che quindi solo – o prioritariamente – queste richiedano un intervento compensativo da parte del settore pubblico. Benché la distinzione tra impegno individuale e circostanze esogene sia chiara dal punto di vista concettuale, non è altrettanto facile individuare i criteri con cui rendere operativi tali concetti. Nel nostro lavoro abbiamo considerato la performance scolastica risultante dall’indagine Pisa come misura di successo individuale, e il background familiare (misurato dal grado di istruzione dei genitori) e l’area geografica di residenza quali uniche variabili esogene, implicitamente attribuendo all’impegno e alla responsabilità individuale tutto quello che non è catturato da queste due variabili. Si tratta quindi di una partizione piuttosto "conservatrice": esistono sicuramente altre circostanze esogene che influenzano le abilità scolastiche e che non rientrano nelle nostre variabili di controllo, i risultati della nostra analisi quindi ci permettono solo di individuare la dimensione minima delle disuguaglianze eticamente inaccettabili. I primi risultati dell’analisi sono riportati nella tavola 1: esiste un divario sistematico tra aree geografiche (che persiste attraverso tutte le tipologie familiari), e all’interno di ogni area tra famiglie con diverso retaggio scolastico dei genitori. Uno studente del Centro-Sud ha un divario di abilità acquisite di circa 50 punti (pari a poco più metà dello scarto quadratico medio) rispetto a uno del Nord, e analoga differenza si riscontra tra il figlio di genitori analfabeti e il figlio di un genitore laureato. Cosicché, considerando l’intero territorio nazionale, riscontriamo un divario di oltre uno scarto quadratico medio tra il figlio di un genitore laureato che frequenta una scuola secondaria del Nord e il figlio di un genitore senza titolo di studio che frequenta una scuola secondaria del Centro-Sud. C’è dunque una differenza enorme negli esiti, che può però dipendere da diversi livelli di impegno oppure dalle diverse facilitazioni dovute all’istruzione dei genitori. Per ottenere una scomposizione della disuguaglianza complessiva in base al tipo di fattori da cui dipende, per ciascuna area geografica abbiamo diviso la popolazione in gruppi di individui con lo stesso background familiare; abbiamo poi utilizzato la posizione relativa nella distribuzione delle abilità per il proprio gruppo di appartenenza (il primo 10 per cento, il secondo 10 per cento, eccetera) quale misura indiretta del livello di impegno nel percorso scolastico. Secondo questa ipotesi, ad esempio, due persone collocate sulla posizione mediana dei relativi gruppi di appartenenza hanno esercitato lo stesso grado di impegno: il valore assoluto delle performance potrà essere (e sarà tipicamente) diverso, in ragione del diverso background di partenza. Abbiamo quindi la possibilità di misurare la disuguaglianza secondo due dimensioni: a parità di impegno (colonne delle matrici in tavola 2) la disuguaglianza dipende solo dalle circostanze, ed è quindi una disuguaglianza nelle opportunità. Invece, a parità delle condizioni di partenza (righe delle matrici in tavola 2), la disuguaglianza che si osserva dipende solo dall’impegno individuale e corrisponde quindi al concetto di disuguaglianza negli sforzi individuali. La tavola 2 rivela che, qualunque sia il grado di impegno individuale, qualunque sia la Regione di residenza, avere un genitore più istruito implica un rendimento maggiore nei test di abilità scolastica. Dall’analisi emerge come la disuguaglianza nelle opportunità sia una percentuale modesta della disuguaglianza complessiva negli esiti, ammontando a meno di un decimo della stessa. Tuttavia, incide in modo diversificato a livello territoriale, e anche all’interno della stessa distribuzione. La figura 1 riproduce la misura di disuguaglianza di opportunità per area geografica e collocazione nella distribuzione dei punteggi: si nota come la disuguaglianza delle opportunità sia particolarmente concentrata nelle Regioni centro-meridionali (la percentuale è doppia rispetto al Nord), e all’interno di questa tra gli studenti con bassa performance nei test. Per riassumere, i divari nei rendimenti scolastici in Italia risultano significativi e fortemente dipendenti da fattori esogeni, quali l’area di residenza e il background familiare (che agisce o direttamente oppure indirettamente attraverso la scelta del tipo di scuola frequentata). Nel Centro-Sud, poi, si osserva il peggiore fra i mondi possibili: livello medio di abilità più basso; grado maggiore di disuguaglianza complessiva; percentuale maggiore (doppia) di disuguaglianze eticamente inaccettabili perché dovute alle diversità nei punti di partenza. Gli interventi possibili Sono evidenze robuste da cui è opportuno trarre qualche insegnamento. Ipotizzando che la performance scolastica sia il prodotto inestricabile di diversi fattori - il talento naturale e l’impegno dello studente, la dotazione di risorse economiche e culturali a livello familiare e di territorio circostante - e che vi sia una certa sostituibilità tra questi fattori, l’esistenza di ampi divari riconducibili alle risorse familiari e territoriali suggerisce di concentrarsi sulla distribuzione di quelle risorse che è possibile trasferire. La spesa pubblica in istruzione è certamente la variabile più facile da monitorare e da riequilibrare: si tratta però di farlo non secondo criteri di uniformità, ma seguendo una logica di differenziazione e di compensazione rispetto alle differenze negli altri input di partenza; per esempio puntando sulle fasi (i primissimi anni di istruzione) in cui più alto è il tasso di sostituibilità tra istruzione scolastica e formazione familiare. Da questo punto di vista, i dati delle recenti analisi Mipa-Invalsi costituiscono un utile punto di partenza. (2) Un’altra possibilità è quella di intervenire sulla organizzazione del sistema formativo. Senz’altro la struttura fortemente differenziata della scuola secondaria in Italia non favorisce l’uguaglianza nelle opportunità di accesso. La presenza di percorsi diversi è utile e va anzi rafforzata, a condizione che la scelta dell’uno o dell’altro dipenda dal talento e dall’impegno individuale: in questo caso la scuola assolve la funzione di segnalazione delle competenze e di selezione sociale. Quando invece la scelta è determinata dalla famiglia, come succede in Italia, la differenziazione delle carriere diventa uno strumento per la conservazione della segmentazione sociale esistente. Non si pensi tuttavia a soluzioni facili: il sistema scolastico e le scelte individuali di investimento in istruzione sono situate in contesti sociali e istituzionali ben definiti. Anche qui il confronto territoriale può essere illuminante. Diverse analisi dimostrano che le Regioni meridionali, dove più basso è il tenore medio di vita e più alto è il grado di disuguaglianza nei redditi e nei consumi, sono caratterizzate da una struttura sociale meno mobile, più rigida. Ricorrendo a una metodologia analoga a quella utilizzata per i dati Pisa, nel nostro lavoro abbiamo analizzato i dati dell’indagine Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane al fine di scomporre la disuguaglianza reddituale complessiva nelle due componenti: disuguaglianza di opportunità e disuguaglianza negli sforzi individuali. I risultati sono coerenti con quanto emerso per le abilità scolastiche: nel Centro-Sud, rispetto al Nord, vi è una percentuale doppia di disuguaglianze di reddito attribuibili a differenze nei punti di partenza (anche in questo caso misurati dai background familiari). Inoltre, controllando per il grado di istruzione individuale, al Centro-Sud rimane significativo l’effetto del background familiare, al Nord invece scompare: il ruolo della famiglia, al Sud più che al Nord, non si esaurisce nelle scelte di istruzione, ma esercita un’influenza nella capacità di successo nel mercato del lavoro. Incrociando questi risultati con quelli sulle abilità scolastiche possiamo allora trarre qualche elemento di sintesi. In primo luogo, poiché la scuola costituisce il principale canale per realizzare una società più mobile, un sistema scolastico meno efficace può in parte spiegare una minore uguaglianza delle opportunità nei redditi, ceteris paribus. In secondo luogo, la percezione di un sistema socialmente chiuso può determinare la scelta di un minor impegno scolastico. Se l’accesso alla maggior parte delle carriere avviene sulla base dell’appartenenza sociale oltre che per il possesso formale di un titolo di studio, la auto-selezione, sia in termini di tipologia di scuola sia di impegno, può essere perfettamente razionale: perché investire seriamente in istruzione se poi manca il requisito fondamentale per mettere a frutto professionalmente le competenze acquisite, cioè la posizione familiare? Questa lettura è confermata dai dati territoriali: è infatti a meridione che l’accesso alle posizioni reddituali è più strettamente legato alla posizione familiare ed è a meridione che la performance scolastica è peggiore in media e i divari dovuti ai background familiari sono maggiori. Se questo è il quadro, allora agire sul versante delle politiche scolastiche - riducendo la differenziazione tipologica della scuola secondaria o incrementando la spesa secondo la logica compensativa richiamata in precedenza – è cosa utile, ma sicuramente insufficiente. Senza serie riforme del mercato delle professioni e dell’accesso alle carriere, a diversi livelli, è difficile ipotizzare effetti significativi sui processi di mobilità sociale.
NOTE (1) Checchi D. e Peragine V. (2005) "Regional disparities and equality of opportunity: the case of Italy". IZA Discussion Paper No. 1874. (2) Il testo dello studio Invalsi–Mipa 2005, Aspis III – Linee di ricerca sull’analisi della spesa per l’istruzione – rapporto finale, può essere scaricato dal sito dell’Invalsi: www2.invalsi.it/RN/aspis3/sito/pagine/documentazione.htm
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