Dibattito riforma:

ripensare gli Istituti Comprensivi.

di Dedalus, da ScuolaOggi del 26/6/2005

 

Eppur si muove. Si è aperta, a quanto pare, nel fronte di opposizione una discussione seria su un possibile progetto di scuola alternativo alla riforma Moratti. La previsione che nel 2006 sia possibile un cambio di maggioranza e quindi di governo - ipotesi, lo ripetiamo, sicuramente auspicabile, se non vogliamo morire berlusconiani, ma che è bene non dare troppo per scontata – ha rilanciato la discussione sul dopo-Moratti. Dai movimenti di insegnanti e genitori è partita la proposta di una legge di iniziativa di legge popolare sulla scuola. Il dato positivo, che non abbiamo mancato di sottolineare e che valutiamo positivamente, è il fatto che non si parla più soltanto di abrogazione della legge 53 (condizione necessaria ma non sufficiente) ma che ci si propone di entrare nel merito di “che cosa” si vuole mettere al suo posto, al posto dell’attuale politica scolastica del Polo che tanti danni sta arrecando alla scuola pubblica e statale.

Abbozziamo allora qui un possibile contributo a questa discussione, relativamente – in questo caso – alla scuola di base (ex elementare e media). Su un punto specifico, quindi.

 

Come redazione di Scuolaoggi abbiamo sempre pensato che l’idea di una scuola di base continua e unitaria contenuta nelle legge 30/2000 sul riordino dei cicli costituisse la vera “riforma” - nel senso di un cambiamento necessario e radicale – e fosse quindi la soluzione più avanzata ed “europea”. Su questa linea ricordiamo l’articoloDieci punti per un new deal della scuola di basedi G.Gandola e F.Niccoli che riprendeva, per alcuni aspetti, questa proposta.

 

Occorre considerare d’altra parte che la Riforma Berlinguer, legge 30/2000 – prima legge approvata dall’Ulivo sospesa e abrogata dalla Casa delle libertà non appena insediato il governo Berlusconi - aveva incontrato a suo tempo non poche resistenze anche all’interno del fronte di centro sinistra. L’articolazione concreta dei cicli (al di là del “settennio” unitario) era tutt’altro che definita e questo ha contribuito sicuramente a sollevare le perplessità e le riserve incontrate sia nel mondo della scuola che nelle associazioni professionali o nei sindacati.

Se si valuta che la riproposizione di tale modello - considerate le zone d’ombra implicite ed il fatto che non ha a suo tempo riscosso una larga condivisione - non sia ripercorribile, occorre allora proporre qualcosa di diverso e di più “realistico”, individuare cioè un’altra soluzione innovativa in grado di ottenere un più ampio consenso, tra le forze politiche e, soprattutto, nella società civile, tra gli operatori scolastici e i genitori.

Potrebbe allora entrare in campo, quale ipotesi più concreta e pragmatica, più “a portata di mano”, una riconsiderazione ed una riproposizione degli attuali Istituti Comprensivi, riveduti e corretti.

Partiamo da alcune semplici considerazioni.

In primo luogo dal fatto che è pedagogicamente doveroso e necessario superare la separatezza fra i due gradi dell’istruzione (elementare e media), sia in termini di curricolo unitario che sul piano organizzativo. Su questo tema, della continuità della scuola di base (materna-elementare-media), non è il caso di dilungarci: esiste un’ampia e convincente letteratura, come pure molteplici esempi in Europa.

E’ da sottolineare piuttosto il fatto che la Riforma Moratti ha voluto “istituzionalizzare” questa separatezza in maniera esplicita, persino nella denominazione attribuita ai due diversi gradi di istruzione (che vengono definiti non a caso scuola “primaria” e “secondaria di primo grado”). La legge 53/2003 butta a mare l’esperienza degli attuali IC che nel testo vengono praticamente ignorati, come pure si ignora o si trascura completamente il fatto che essi costituiscono pressoché la meta degli istituti scolastici di base sul territorio nazionale. E infatti, conseguentemente, gli IC sono stati quasi abbandonati a se stessi, non più supportati come nei primi anni di vita, dall’attuale apparato politico ed amministrativo di governo della scuola.

La situazione attuale è francamente assurda. La Riforma Moratti non ha smantellato i comprensivi ma li ha lasciati in mezzo al guado, senza alcuna prospettiva strategica, come puro fatto “quantitativo”, residuale, in un panorama variegato e diseguale ove convivono, gli uni accanto agli altri, circoli didattici (con soli plessi di scuola primaria e talora scuola dell’infanzia annessa), scuole secondarie di secondo grado (magari tre scuole medie insieme) e istituti comprensivi.

 

Ripensiamo allora gli IC. Quali i limiti più evidenti nell’esperienza di questi istituti? Se da un lato – come punto di forza e aspetto positivo – gli IC hanno messo in comunicazione fra loro i diversi gradi di scuola questo è avvenuto solo in parte, con troppi vincoli e difficoltà. Gli IC hanno potuto sfruttare solo parzialmente le potenzialità di cui erano dotati e per diverse ragioni.

Innanzi tutto per la complessità di gestione e le difficoltà organizzative riscontrate in vari casi. Su questo piano i dirigenti scolastici non sono stati supportati e coadiuvati da figure di staff di direzione (docenti con esonero) in misura adeguata.

L’aspetto organizzativo e dimensionale ha preso, in generale, il sopravvento sui contenuti sperimentali e pedagogici. In alcuni casi, specie nelle grandi città, si è trattato di pure aggregazioni quantitative, sommatorie di istituti che tenevano in scarsa considerazione il riferimento ad un “ambito territoriale” preciso (comunità, zona, quartiere, continuità di rapporti e raccordo fra scuole, ecc.).

In troppi casi l’IC è risultato il prodotto di aggregazioni di troppe scuole o di plessi diversi con un numero eccessivo di alunni. Si pensi che in una città come Milano (ma non solo) vi sono IC che raggiungono i 1200 alunni, quando lo stesso regolamento sul dimensionamento indicava un numero minimo di 500 ed un massimo di 900 alunni per istituto autonomo. (Si veda a questo proposito e su questi temi “Dove vanno i Comprensivi?” di A.Acquati, G.Gandola e L.Leoni).

 

Il numero degli alunni, le dimensioni degli IC, rappresentano una variabile assolutamente decisiva per poter garantire il corretto funzionamento degli stessi. Non si può pensare a realtà dalle dimensioni più simili ad unità sanitarie locali o a hard discount che ad istituti scolastici all’interno dei quali devono svolgersi proficue relazioni educative. A noi sembra che il numero ottimale sia di 500-600 alunni in tutto (com’era in diversi istituti comprensivi “sperimentali” della prima fase). In ogni caso un numero di alunni che si aggiri e non superi, se non in casi del tutto eccezionali, i 700.
C’è poi il problema degli organici docenti, attualmente “separati in casa” (organico elementare e organico scuola media, rigidamente distinti) e inadeguati.

 

Un’ipotesi di riforma della scuola di base potrebbe dunque ripartire da lì: ripensare il modello degli IC, generalizzarli, renderli obbligatori sul territorio nazionale, superando l’attuale situazione di stallo e di forte disomogeneità. Rendere insomma "più comprensivi” i comprensivi, ridare loro senso e dignità pedagogica, garantendo alcune essenziali condizioni di funzionamento.

Innanzi tutto una gestione adeguata con l’affiancamento di alcune figure di staff al dirigente scolastico (esonero docente vicario o semiesoneri, come supporto al ds ed al collegio, nei suoi differenti gradi di scuola, materna, elementare a media), a seconda della complessità dell’istituto.

 

Un organico veramente “funzionale”, nel senso di un organico “arricchito” e non decurtato o impoverito (questo è, nella sostanza, il nodo di fondo) e verticale. Il che vuol dire assegnare alle scuole i docenti necessari per la realizzazione dei progetti educativi integrati e del POF, ma anche il personale ATA (amministrativi, collaboratori scolastici) indispensabile per il funzionamento.

Garantire il “tempo scuola necessario”, non solo per la copertura dell’orario classe ma anche per assicurare momenti effettivi di compresenza dei docenti, indispensabili per attuare classi aperte, gruppi di alunni, attività laboratoriali, ecc.

 

Per quanto riguarda l’orario scolastico si potrebbe ipotizzare un orario a tempo pieno (nella scuola materna e in buona parte nella elementare) soprattutto nei primi anni, con una possibile e progressiva riduzione negli anni terminali della scuola elementare e nella scuola media (ipotesi avanzata ad es. da Giancarlo Cerini).

A questo proposito i dati di alcune ricerche effettuate sia nella Regione Lombardia che in Emilia Romagna evidenziano il fatto che molti alunni iscritti al tempo pieno nella scuola elementare scelgono poi il tempo normale alla scuola media. Questa circostanza può dipendere da diversi motivi (il fatto che, almeno in Lombardia, le classi di tempo prolungato alle medie non sono state autorizzate in misura proporzionale alle richieste; il fatto che agli occhi dei genitori il tempo prolungato della SM appare talvolta un modello residuale, di ripiego, poco attraente sul piano pedagogico; la maggiore età ed autonomia degli alunni, ecc.) Sta di fatto che questo è un dato reale sul quale ragionare.

Se è vero che c’è uno scarto, un netto calo - nella domanda di tempo scuola da parte delle famiglie - nel passaggio tra elementare e media (tempo pieno e tempo normale) si potrebbe prevedere allora un orario-alunni ridotto (massimo 38 ore settimanali, un pomeriggio libero…) negli anni terminali della SE, con recupero delle ore-docenti da riutilizzare in altrettante ore di compresenza in altre classi.

 

Sempre per quanto riguarda l’organizzazione didattica e la gestione degli organici si può prevedere di rendere stabili e di estendere le esperienze già avviate di “utilizzo integrato” del personale docente assegnato all’istituto, quali ad es. gli interventi di alcuni docenti di scuola media (in particolare L2, ed. motoria, ed. musicale, ed. tecnica, ecc.) nelle classi di SE, come pure è possibile pensare ad un “anno di saldatura”, di “transizione” nel quale interagiscono i docenti dei due gradi di scuola.

 

Insomma, rendere veramente gli IC una “risorsa” da intendere e gestire in maniera unitaria, sfruttando a pieno le potenzialità insite nel Regolamento sull'autonomia (autonomia didattica e organizzativa, flessibilità oraria, modalità di utilizzo degli organici, ecc.).

La “via italiana” alla nuova scuola di base potrebbe in questo senso essere l’estensione degli attuali IC.

 

E’ interessante ricordare tra l’altro che nella fase preparatoria della legge 53/2003 il Gruppo di lavoro coordinato dal prof. Bertagna nel documento conclusivo presentato poi agli Stati generali nel dicembre 2001 (vedi in particolare le "Raccomandazioni al Ministro") non solo proponeva di "collegare in un percorso, continuo e progressivo, la scuola elementare e la scuola media" (un "biennio di transizione" che comprendeva l'ultimo anno di S.E. e il primo anno di S.M.), ma addirittura, in questa prospettiva, raccomandava "lo sviluppo ulteriore del modello dei comprensivi", una loro diffusione e generalizzazione. Com'è noto, non è andata così: questa ipotesi è stata poi drasticamente bloccata dagli esiti oscurantisti della legge di riforma Moratti, che ha preso tutt’altra direzione.

Nel frattempo anche il prof. Bertagna cambiava idea: ad un convegno milanese dell'Anci sul primo decreto attuativo della legge 53/2003 e sui modelli organizzativi tacciava praticamente di "statalismo" la posizione dell'Anci, favorevole al riconoscimento e alla generalizzazione delle scuole comprensive ("Qui si rimpiange lo statalismo: ma perché mai lo Stato dovrebbe imporre questa scelta unica per tutti? Non sopporto e non reggo questo statalismo…").

Al di là delle mirabolanti evoluzioni o involuzioni del prof. Bertagna, che ci interessano fino a un certo punto, è importante rilevare invece il fatto che i comprensivi hanno riscosso il consenso esplicito di molti enti locali, Comuni in primis, in quanto considerati – soprattutto nei centri minori (ma non solo) – entità che meglio corrispondono, per le loro caratteristiche di unitarietà, alle esigenze del territorio.

Perché allora non approfondire e riprendere una simile proposta, diversa dal riordino dei cicli ma che - nella sostanza - ne preserverebbe i punti di forza e i princìpi ispiratori?

 

 

Dedalus

 

Nota. Gli articoli citati, come pure diversi interventi di Giancarlo Cerini sul tempo pieno o il tempo scuola si trovano nell’archivio di ScuolaOggi. (Basta digitare i cognomi degli autori o i titoli in “Cerca in ScuolaOggi”).