Processo di riforma del sistema di istruzione e formazione europeo di Mariangela Bocca
Scuola e società: un rapporto da rifondare In Italia l’a.s. 2003/04 è stato caratterizzato da un dibattito affollato e spesso confuso sulla riforma della scuola fatta dal MIUR. Per inquadrarlo entro confini più ampi di quelli nazionali è opportunamente arrivato nel marzo 2004 il 33° Convegno nazionale “Quale scuola per l’Europa: cultura, diritti, democrazia” promosso dal CIDI di Genova. Traggo da lì alcune riflessioni sul fatto che dal 2000 tutta l’UE si è impegnata in un programma decennale, “Istruzione e formazione 2010”, per riformulare in dimensione europea un patto fra la nuova scuola e la nuova società contemporanee. Fra la metà degli anni ’80 e la metà dei ’90 Delors e Cresson hanno chiamato l’attuale processo di trasformazione globale “società della conoscenza”: le politiche neoliberiste sono infatti caratterizzate da una svolta linguistica dell’economia, poiché si è andata determinando una centralità crescente dei flussi d’informazione nei processi produttivi e nella creazione di valore; per questo si parla di economia della conoscenza e dell’informazione. Contemporaneamente anche il mondo della scuola si trova di fronte a profondi mutamenti: per citarne solo alcuni, esso accoglie studenti mutati antropologicamente da mass-media, TV e Internet che sono strumenti e veicoli di percezione del mondo; l’esperienza spaziale e temporale connessa ai nuovi mezzi è molto diversa da quella delle generazioni precedenti; le forme della comunicazione sono nuovissime. In questo orizzonte di senso così trasformato la nozione di canone scolastico fissato dai Ministeri nazionali è considerata obsoleta e viene sostituita dal modello di curricolo fondato sulle modalità di funzionamento della mente che apprende e finalizzato allo sviluppo di competenze. Per inciso si ricorda che usare il termine “competenze” implica che esse vengono maturate individualmente, in contesti non solo formali come la scuola, ma anche in altri, non formali, e che questa maturazione si sviluppa, per così dire, dalla culla alla tomba (aspetto questo importante se si pensa alla velocità ed all’imprevedibilità dei cambiamenti nel mondo attuale: saper ricorrere ai saperi formalizzati per riposizionarsi all’occorrenza è fondamentale). Questi sono in estrema sintesi lo sfondo culturale ed il lessico connesso dell’UE. Voglio da ultimo ricordare che la democrazia di cui oggi si discute è intersoggettiva, policentrica e dialogica: tre caratteristiche che devono connotare anche la relazione scuola-società. C’è da chiedersi se oggi da noi la scuola non stia correndo il rischio per legge delega di essere confinata in un ruolo subalterno rispetto ad altri soggetti economici, sociali e politici: sussidiarietà ed integrazione sono aspetti da non perdere nemmeno per un attimo di vista. In questa scheda cerco di sintetizzare l’ottima ricostruzione cronologica del percorso di riforma seguito dall’UE preparata per il convegno del CIDI di Genova da Caterina Gammaldi e da Velia di Pietra.
Lisbona 2000 Il Consiglio Europeo approva un obiettivo da conseguire entro il 2010: ”…L’UE deve diventare l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi posti di lavoro ed una maggiore coesione sociale”. Di questo documento ufficiale UE sulla politica per l’istruzione e la formazione colpisce l’enfasi posta sugli aspetti economici, collegati anche al mondo del lavoro: ma nel convegno di Genova veniva ricordato che, benché l’Europa sia nata come progetto politico e non solo economico, è stata la via degli accordi economici, dalla CECA all’Euro, che ha fatto sempre da battistrada a processi di cooperazione e coesione più ampi e concreti. Nessuno pensa all’Europa come ad un polo esclusivamente economico nel mondo attuale: molti segnali indicano come essa tenda a porsi come polo democratico inclusivo, nel quale possano con-vivere tutte le diversità senza correre il rischio dell’omologazione. Se si vuole andare verso la costruzione di un’UE democraticamente caratterizzata come agorà, cioè come luogo in cui ricomporre gli interessi, allora bisogna pensare le istituzioni come regolatrici di rapporti attivi ed in movimento ed affermare il diritto di tutti alla conoscenza ed alla condivisione degli assi culturali portanti. Per sviluppare le condizioni della cittadinanza democratica attiva, la scuola è centrale perché può contribuire sostanziosamente al miglioramento della qualità della vita, di cui gli aspetti economici sono solo una parte. Nell’anno successivo a Stoccolma il Consiglio Europeo articola l’obiettivo di Lisbona in tre obiettivi strategici: migliorare la qualità e l’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione in Europa; facilitare a tutti l’accesso ai detti sistemi; aprire il sistema di istruzione e formazione al resto del mondo. Ancora nel 2001 vengono indicati cinque principi, tra cui il Long life learning, ai quali ispirarsi nel percorso di riforma; viene altresì adottato il metodo aperto di coordinamento, che consiste nel condividere obiettivi comuni di lungo periodo e nell’incontrarsi periodicamente per monitorare il successo, o meno, dei percorsi che ogni Stato nazionale liberamente ed indipendentemente dagli altri stabilisce di seguire per arrivare agli obiettivi comuni entro i tempi stabiliti (2010 in questo caso). E’ chiaro che questo metodo cerca di superare un’altra questione molto accesa, quella dell’interazione fra diritto nazionale e diritto internazionale, particolarmente spinoso se si parla di formazione, cioè di identità.
Barcellona 2002 Viene indicato un programma di lavoro in cui l’attenzione comincia a spostarsi, sotto la spinta di diverse critiche, dalla prospettiva dell’ “occupabilità” connessa all’istruzione e formazione a quella della “cultura”, mantenendo particolare enfasi sulle capacità di apprendimento permanenti. Nel programma ognuno dei tre obiettivi strategici di Stoccolma viene articolato in tredici obiettivi specifici, che coprono vari tipi e livelli di istruzione e formazione, formali e non formali. Ad esempio: sviluppare le competenze per la società della conoscenza; garantire a tutti l’accesso alle TIC; incoraggiare a intraprendere studi scientifici e tecnici; creare un ambiente aperto per l’apprendimento; accrescere l’attrattiva per lo studio; sostenere la cittadinanza attiva, le pari opportunità e la coesione sociale; aumentare la mobilità e gli scambi; rafforzare la cooperazione europea. I testi completi si possono trovare al sito:
http://europa.eu.int/comm/education/policies/2010/doc/synthesis_efta_eea_fi.pdf/
Bruxelles 2003 Si comincia a lavorare su percorsi parziali, monitorando nel concreto la possibilità di raggiungere gli obiettivi comuni entro il 2010. Si stabiliscono in particolare otto competenze-chiave, con riferimento all’indagine PISA del 2000: comunicare nella lingua madre ed in lingua straniera; matematica di base; scienze e tecnologia; imparare ad imparare; competenze interpersonali, interculturali, sociali e civiche; disponibilità al cambiamento; consapevolezza culturale. Si sta discutendo se introdurne una nona: dimensione europea. Ogni competenza è articolata in uno stesso modo: definizione, conoscenze, abilità e atteggiamenti collegati, per facilitare il confronto fra esiti di paesi diversi sulla base di convenzioni comuni. Voglio sottolineare che non si parla assolutamente più di “profili professionali”, non solo perché oggi il mondo del lavoro chiede flessibilità, versatilità e polifunzionalità per rispondere rapidamente alle oscillazioni del mercato, ma anche perché le competenze di cittadinanza democratica attiva non si esauriscono certo nel campo del mercato del lavoro. In particolare la competenza “Imprenditorialità” (che ho indicato come “disponibilità al cambiamento”) nell’articolazione richiama anche capacità collegate ai progetti di vita di ciascuno.
Qualche considerazione sull’evoluzione del processo di riforma europeo Alcuni concetti della riforma scolastica sono ormai dati per acquisiti: il modello curricolare fondato sull’apprendimento e le competenze per la vita. Si sta facendo strada il principio che nel sistema complesso di istruzione e formazione la scuola non è tanto funzionale al mercato del lavoro, quanto attenta all’evoluzione sociale, di cui il lavoro è solo un aspetto (cultura nuova del lavoro su scala mondiale, piuttosto); per questo si parla di saperi di cittadinanza e di dialogo. La scuola, attraverso le competenze, si apre all’integrazione con i settori informali, cosa che la obbliga a ridefinire i propri ruoli e compiti centralissimi formativi di accompagnamento e valorizzazione dei percorsi scolastici di tutti e di ciascuno. Il diritto di tutti alla conoscenza e alla cultura, alla capacità di elaborare soddisfacenti progetti di vita spinge la scuola a potenziarsi nella direzione dello sviluppo dell’autostima, dell’apprendimento e della metacognizione, della motivazione ad apprendere ed alla legittimazione sociale dei saperi, nella costruzione di percorsi coerenti, verticali, graduali e ricorrenti. D’altro canto però nel convegno di Genova è emerso dalle narrazioni di esperienze di riforma di altre nazioni che in Europa si pensa la via dell’istruzione e formazione in almeno 2 modi: un modello più integrato fra istruzione e formazione ed uno progressivamente più selettivo , che possiamo definire “doppio canale”, malgrado passerelle/scivoli e altri dispositivi consimili. Come si stia orientando il MIUR italiano si evince inequivocabilmente confrontando le bozze dei profili e dei saperi disciplinari dei licei e dei percorsi regionali, per non parlare dell’esclusione dall’accesso all’università per il secondo canale, ecc. La partita dell’orientamento (in particolare nell’ultimo anno della primaria) e della valutazione (tutor e gestione di diversi tipi di portfolio) non è dunque una questione di puro aggiornamento tecnico, ma ha fondamentali implicazioni squisitamente politiche e sociali. |