Centro Studi Gilda

 

Gli Organi Collegiali  oggi e domani.

Alcune riflessioni.

 di Serafina Gnech, dal Centro Studi della Gilda  17/1/2005

 

Il testo unificato sugli OOCC predisposto dall’Onorevole Giovanna Bianchi Clerici e adottato dalla VII Commissione della Camera (15/12/04), si presenta come un testo relativamente innocente. Abbandonata la tentazione dell’assemblearismo esasperato, come quella del dirigismo, esso sembra dettato dalla volontà politica di aggiungere un altro tassello al disegno globale di riforma, piuttosto che dalla preoccupazione di rendere efficacemente operativa quell’autonomia additata dai più come unica panacea dei mali della scuola.

Innocente, dicevamo. Ma non troppo.  Esaminiamolo in alcuni suoi punti essenziali, seguendo la traccia di alcuni enunciati.

 

 

·         La nuova proposta non prende atto del fallimento degli organi collegiali e ripropone  il modello esistente della “commistione partecipativa”

Nulla appare cambiato nella concezione del governo della scuola. Il modello in vigore dal 1974, che vede la presenza di genitori e studenti negli organi della scuola con potere decisionale  - si parla in questo caso di “partecipazione organica” - non viene messo in discussione.

Si consideri che questo modello, adottato  dapprima con grande entusiasmo, ha gradualmente mostrato i suoi limiti, producendo una disaffezione che è da tempo sotto gli occhi di tutti.

Sorretto dall’imperante ideologia partecipativa post sessantottina, esso è sopravissuto anche in forte odore di incostituzionalità, poiché un’amministrazione pubblica, responsabile cioè di fronte a tutti i cittadini, conferendo la titolarità dei suoi organi ad una parte di essi – per lo più, nello specifico, contro-interessata – cessa  di fatto di operare nell’interesse di tutti. E perde così il suo carattere pubblico.

Questa ‘lettura’  della Costituzione (1) non conduce all’estromissione dalla scuola di genitori e studenti, ma alla loro riconduzione ad un ruolo di partecipazione non organica, non interna cioè agli organi di governo. Genitori e studenti con organi propri,  con rappresentanti propri eletti che cessino di operare come singoli (in nome di chi? e di che cosa? e per rispondere a chi? e di che cosa?) e che si facciano responsabilmente  portavoce dei loro punti di vista e delle loro esigenze.

Esigenze e punti di vista che potrebbero essere ‘portati’ all’amministrazione tramite la figura di un garante – delle famiglie, degli allievi  - consultato dall’organo dell’amministrazione laddove e allorquando si delineano decisioni per le quali risulta  necessaria  la consultazione.

Questo passaggio opererebbe quella distinzione dei ruoli e delle responsabilità che risulta necessaria in ogni amministrazione che voglia essere, come si suol dire ora, “efficace ed efficiente”.

Se questo pare ovvio ai più anche a fronte della farsa che vede in campo a parità di titolo chi ha specifiche competenze e chi non le ha (si pensi al rito annuale della scelta dei libri di testo), c’è da chiedersi perché non appaia altrettanto ovvio ai legislatori attuali, ormai lontani dagli epigoni del sessantotto.

Due sono, a nostro avviso, le ragioni.

La prima si può ravvisare nel passaggio che la riforma del Titolo V della Costituzione pare giustificare a molti: ci riferiamo a quello dalla cosiddetta “cittadinanza statalista” alla “cittadinanza societaria”, il cui fine ultimo sarebbe la trasformazione dello Stato in “organismo al servizio delle autonomie dei soggetti sociali, individuali e collettivi” dei quali vengono riconosciuti i diritti originari (2).  La seconda sta nella trasformazione della natura della scuola. In passato si considerava che la scuola avesse il compito primario di istruire e che l’educazione-formazione passasse attraverso la trasmissione delle conoscenze.  Ora si delinea, sia pure in modo ancora sfumato, una sorta di dicotomia: da un lato sta la formazione-educazione (vedi le Educazioni alla convivenza civile introdotte dalla riforma nella scuola secondaria di 1° grado), che resta in carico ai docenti, chiamati non tanto a trasmettere conoscenze specifiche quanto a sistematizzare la mole d’informazioni che proviene dall’extra-scuola, dall’altro stanno le conoscenze specifiche  – soprattutto professionalizzanti – affidate… a non docenti  all’interno della scuola stessa!

Il primo processo – il riconoscimento, in primis, dei diritti dei “composti sociali” (“rappresentati dal lavoro, dalla famiglia, dalla con-fessione religiosa nelle diverse comunità ecclesiali, dalla libera associazione in gruppi, dal gruppo assistenziale, dalla cooperazione comunitaria e della mutualità, dai partiti politici, dalle autonomie locali,… dalla comunità scolastica composta da allievi, genitori, docenti…”) (3) sfocia nella esaltazione della presenza organica nella scuola della cosiddetta utenza.  Cosa che avviene nel testo unificato conferendo al genitore, che manterrà la presidenza del Consiglio d’Istituto denominato Consiglio della scuola, poteri maggiori di quelli detenuti in passato: il presidente-genitore “convoca il Consiglio e ne fissa l’ordine del giorno”.

Il secondo conduce alla presenza organica  (con potere di voto e diritto, dunque, decisionale)  all’interno del Collegio di non docenti – appunto - liberi professionisti, dipendenti dalle industrie o da altre amministrazioni: i cosiddetti esperti introdotti dalla Legge 53 di riforma della scuola. 

 

 

·         La nuova proposta amplia le competenze del Consiglio, sovrapponendole a quelle del Collegio e creando i presupposti per un contenzioso senza fine

Questa  la definizione delle attribuzioni che la proposta unificata avanza rispettivamente per il Consiglio della scuola ed il Collegio dei Docenti:

“Il Consiglio della scuola  ha compiti di indirizzo e programmazione delle attività dell’istituzione scolastica, nel rispetto delle scelte didattiche definite dal Collegio dei docenti e nei limiti delle disponibilità di bilancio”;

“Il Collegio dei docenti ha compiti di indirizzo, programmazione, coordinamento e monitoraggio delle attività didattiche ed educative. Esso provvede, in particolare, alla elaborazione, secondo i principi di cui all’art. 1, comma 5, del piano dell’offerta formativa, comprensivo delle attività educative e didattiche, sia obbligatorie che facoltative-opzionali, sulla base dell’orario per esse previsto dalle norme emanate in attuazione della legge 28 marzo 2003, n° 53”.

Si può notare facilmente come vengano attribuiti al Consiglio compiti più estesi di quelli che aveva in passato o che venivano previsti in precedenti proposte di legge. Esso assume infatti compiti di indirizzo e di programmazione delle attività dell’istituzione: compiti analoghi a quelli che il Collegio assume per le attività didattiche ed educative. Di quali attività si dovrebbe occupare il Consiglio, considerato che tutte le attività dovrebbero - in una scuola - avere finalità didattiche ed educative? C’è materia per cominciare fin d’ora a discutere; ci sono i presupposti per una progressiva erosione – o, se preferiamo – un ‘congelamento’ del Collegio.  

 

 

·         La nuova proposta enfatizza l’aspetto gestionale-amministrativo e marginalizza la didattica e la docenza

Il Dpr. 275 del 1999, ovvero il Regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, emanato in applicazione della Legge Bassanini, potenzia il livello di scuola, conferendole autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo.  Autonomia didattica, in primis, cosa che inevitabilmente chiama in campo i docenti, le loro competenze specifiche, la loro progettualità.

Vulnus della scuola autonoma è il Piano dell’offerta formativa, elaborato dal Collegio dei docenti “tenuto conto delle proposte e dei pareri formulati dagli organismi e dalle associazioni anche  di fatto dei genitori e, per le scuole secondarie superiori, degli studenti”  (art. 3, comma 3).

Dal decreto si evincono due fatti: primo che l’autonomia delle scuole è soprattutto autonomia didattica, secondo che la presenza di genitori e studenti è vista soprattutto come presenza organizzata in organismi ed associazioni autonome, nella logica partecipativa non organica  alla quale facevamo riferimento prima (ripetiamo: genitori e studenti si esprimono all’interno di organismi loro, eleggono loro rappresentanti, si pongono in relazione con gli organismi di governo dell’amministrazione).

Poco chiaro risulta, partendo dai presupposti legislativi a cui abbiamo fatto cenno, come il Consiglio di Scuola possa prevedere una presenza docente percentualmente più bassa dell’attuale, la pariteticità dei docenti con i genitori (4/4) o con genitori-studenti nella scuola secondaria di 2° grado (4/ 2+2). Ancor meno chiare appaiono le motivazioni che inducono non tanto a fare del direttore dei servizi generali e amministrativi un membro di diritto, quanto a conferirgli diritto di voto per tutte le delibere, fatta eccezione per quelle relative al bilancio e al conto consuntivo.

Gli obiettivi indicati dalla Bassanini indicherebbero la via di una valorizzazione della docenza e della didattica, con una autonomia organizzativa posta ad ancella. Sembra invece quest’ultima a godere della priorità con una soluzione peraltro pasticciata, poiché appare poco probabile che l’efficienza posa trarre giovamento dalla valorizzazione di un membro (genitore-presidente che, come dicevamo, convoca il Consiglio e decide l’ordine del giorno) necessariamente non esperto o, comunque, non inserito nelle problematiche dell’Amministrazione.

Né si considera che questo maldestro tentativo di rafforzare la funzione amministrativo-gestionale del Consiglio debba essere bilanciato da un maggiore peso della docenza all’interno del Collegio, per il quale urge pensare ad un docente  Preside elettivo, che colmi l’inevitabile vuoto creato dallo spostamento della dirigenza sul versante  gestionale (cosa che renderebbe peraltro possibile la figura del dirigente territoriale). 

 

 

·         La nuova proposta  mortifica la funzione valutatrice docente e formalizza definitivamente la scomparsa della valutazione degli allievi come  “cosa pubblica”

Il testo unificato contempla la sparizione del Consiglio di classe. Al suo posto devono essere previsti “organi di valutazione collegiale degli alunni” strutturati “secondo modalità organizzative coerenti con i percorsi formativi degli alunni… indicate dal regolamento della scuola”.

Tutto ciò è evidentemente coerente con la personalizzazione dei percorsi: poiché ogni allievo ha un proprio percorso, determinato dalle scelte che opera nell’ambito del ventaglio delle attività facoltative-opzionali, nonché dagli itinerari che egli segue all’interno del sistema d’istruzione e d’istruzione formazione, il Consiglio di classe non ha molto semplicemente più ragione di essere.

Questo passaggio è ben lungi dall’essere puramente formale.  La presenza di un organo definito centralmente era coerente con la natura “pubblica” della scuola e con la concezione del docente come mandatario di una funzione “pubblica”. In altre parole: il docente valutava in nome e per conto dello Stato secondo modalità definite a livello centrale. Ed i risultati dovevano essere resi pubblici. Analogamente lo studente rendeva conto al mondo esterno del lavoro svolto o non svolto.  E, nel confronto, valutava anche  se stesso. Questo era il senso della pubblicazione dei tabelloni dei voti. Senso che si è andato appannando dal momento in cui i tabelloni hanno iniziato a comunicare valutazioni non reali (6 che nascondono in realtà dei 5, dei 4, dei 3), e  in cui si è gradualmente insinuata l’idea che la valutazione non sia  “cosa pubblica”  ma “cosa privata”.

Questo passaggio – dalla valutazione come “cosa pubblica” alla valutazione come “cosa privata”,  di fatto già avvenuto - sarà completato dal passaggio verso organi (?) di valutazione diversi da scuola a scuola,  e diversificati nelle loro componenti.

Se la definizione degli organi valutativi non avverrà a livello centrale e non contemplerà che alla valutazione siano deputati unicamente i docenti (e, mai, i non-docenti esterni) la mortificazione della funzione docente – e con essa della natura pubblica della scuola – sarà totale e  irreversibile a breve.

Né si può pensare che questa funzione venga recuperata dal novello Invalsi che avvierà in modo sistematico la valutazione su tutte le scuole del sistema paritario. Si tratterà infatti di una valutazione burocratica,  estranea ai docenti, e mirante unicamente ad attestare il raggiungimento di livelli minimi. L’impatto che essa avrà non sarà tanto sui singoli  (il singolo si può confrontare solo altro con altro singolo a lui “omogeneo” e vicino) quanto sulle scuole, come ci dimostra l’esperienza anglosassone.

 

 

·         La nuova proposta conferisce maggiore autonomia professionale alle scuole pubbliche private che alle scuole pubbliche statali

Poiché la nuova proposta rientra fra le norme generali sull’istruzione (sulle quali lo Stato ha la legislazione esclusiva – art. 117 della Costituzione riformata), essa si intende valida per tutte le istituzioni scolastiche, ivi comprese quelle che, a seguito della riforma, dovessero definitivamente passare alle regioni. Essa è inoltre vincolante per le scuole pubbliche statali e le scuole pubbliche private.

Si rileva però una differenza significativa: mentre nelle scuole pubbliche statali o regionali il presidente del Consiglio di Scuola è un genitore, nelle scuole pubbliche private il presidente è il rappresentante dell’ente gestore o persona dal medesimo delegata.

Ora, le conseguenze di una scelta legislativa abbastanza ovvia nelle motivazioni (si  può forse pensare di imporre ad una scuola privata un presidente esterno?) vanno capite nelle loro conseguenze. 

Già nell’ambito di un’indagine sulla sperimentazione della riforma condotta da Professione Docente  (www.professionedocente.it - allegato al n° di settembre 2003) sia nelle scuole pubbliche statali che nelle scuole pubbliche private, avevamo avuto modo di notare come la funzione docente mantenesse più spessore  e maggiore autonomia professionale nella scuola pubblica privata che in quella pubblica statale. La linea di tendenza che  fa dei docenti della scuola statale i precettori al servizio delle famiglie, si spezza quando si passa alla scuola privata. La scuola privata chiede infatti ai genitori, che hanno liberamente operato una scelta di campo iniziale, di accettare il progetto che la scuola propone e di concorrere alla realizzazione di esso. Non sono quindi i genitori che dicono ai docenti  che cosa fare (come sta avvenendo nella scuola pubblica), ma i docenti che dicono ai genitori come porsi per attuare il progetto educativo inizialmente accettato.

Questa divergenza tenderà ad accentuarsi nel momento in cui la scuola pubblica  si porrà ancor maggiormente in condizione di ancella dell’utenza  (pensiamo a quello che succederà quando i genitori cominceranno a partecipare concretamente alla stesura del portfolio), mentre la scuola privata conserverà e rafforzerà la propria autonomia progettuale.

 

 

·         La nuova proposta accentua la logica attuale, estendendo il modello della ‘commistione partecipativa’ anche agli organismi di valutazione

Come abbiamo rilevato all’inizio,  il vero punto di criticità  degli attuali OOCC, per nulla smentito dalla proposta ora in discussione, consiste nel fatto che gli organi di governo hanno al loro interno dei contro-interessati: famiglie e studenti che hanno interessi corporativi che possono confliggere con l’interesse pubblico. L’interesse dell’allievo e quasi sempre anche della famiglia, ad esempio, è quello di portare a casa il diploma, ovvero il cosiddetto pezzo di carta, per quanto svalutato esso possa essere; l’interesse della società è – o dovrebbe essere – quello di dare diplomi che certifichino una preparazione reale. Nel conflitto di interessi prevale – stante l’equilibrio attuale ed ancor più quello futuro – la tendenza a dare soddisfazione immediata. Cosa che conduce ad una scuola che si pone già a monte nelle condizioni di dare questa soddisfazione, con conseguente inevitabile parametrazione della richiesta sui livelli bassi o bassissimi o, addirittura, come sta avvenendo, modificazione della richiesta stessa: da richiesta di appropriazione di contenuti culturali a richiesta di  acquisizione di una generale strumentazione personale, atta da un lato a permettere la sopravvivenza in una società complessa, e dall’altro a favorire l’adesione al modello culturale dominante.

Un modello partecipativo che si rileva primariamente inefficiente, appare – ad un’analisi più attenta – decisamente dannoso e tale da alterare definitivamente la natura della scuola.

Ora, lo stesso modello in cui interessati e contro-interessati convivono, viene applicato anche agli organismi di valutazione dei docenti e della scuola. Facciamo riferimento al Comitato per la valutazione del servizio dei docenti  (il vecchio Comitato di valutazione eletto da tutti i docenti, quindi anche da color che devono essere giudicati e che eleggono così i loro giudici) e al nuovo Nucleo di valutazione del funzionamento dell’Istituto chiamato a valutare l’efficacia e l’efficienza del servizio e di cui fanno parte il dirigente scolastico che lo presiede, un genitore ed un docente.

Dunque: i docenti giudicano – sia pure per via indiretta se stessi; il dirigente valuta l’andamento della scuola di cui è responsabile.

Davvero si può pensare che la valutazione sia possibile senza un organismo tecnico-professionale indipendente?

E davvero si può pensare che tutto questo  possa essere innocente? Tradursi cioè soltanto in un teatrino burocratico in cui tutt’al più ci sarà una gran perdita di tempo per mettere a posto le cose?

La valutazione burocratica della scuola – in particolare se esercitata dal dirigente - non potrà non avere conseguenze sulla natura della docenza, non potrà cioè non orientare  principalmente verso l’appeal dei servizi ed il successo formativo formale.

Non potrà cioè, ancora una volta, non alterare la natura, il senso e le finalità della scuola.

E la mortificazione della funzione docente andrà di pari passo.

 

1.      Si veda: Carlo Marzuoli, Istruzione e servizio pubblico, Il Mulino, Bologna 2003

2.      Giuseppe Bertagna, L’autonomia delle scuole tra educazione, cultura e società, in “L’autonomia delle scuole”, La Scuola, Brescia 1997, pag. 243

3.      Ibidem, pag. 238