Premesse
A – Sulla
evoluzione dei rapporti formazione/lavoro e scuola/società
Il sistema
formativo IERI
era funzionale ad una organizzazione della società e del
lavoro per certi versi molto rigida.
Istruzione
elementare corta obbligatoria |
Perché
“tutti” sapessero leggere scrivere e far di conto |
Istruzione
classica |
Per i
“liberi professionisti”, i quadri intellettuali |
Istruzione
tecnica |
Per i quadri
tecnici intermedi |
Addestramento, poi formazione professionale |
Per i quadri
operativi con alcune specializzazioni |
Nessuna
formazione/preparazione |
Per la
manovalanza senza alcuna specializzazione |
Il sistema
formativo OGGI
in una società ad alto sviluppo, con una organizzazione del
lavoro estremamente variegata e flessibile, in cui la
distinzione tra lavoro intellettuale e manuale si fa sempre
meno marcata, deve essere più ampia (raggiungere veramente
tutti, non uno di meno) e flessibile (permettere a tutti la
possibilità di adattamenti/cambiamenti continui quali indotti
dai processi lavorativi e dalla organizzazione del lavoro.
Istruzione di base:
un primo ciclo medio/lungo |
Perché tutti abbiamo le
conoscenze/competenze di base per ulteriori sviluppi
specialistici ma aperti al cambiamento continuo sul lavoro
e alle interazioni con altre conoscenze/competenze |
Istruzione secondaria forte,
integrata, articolata e flessibile |
Percorsi integrati da realizzare in
campus territoriali ampi in cui interagiscano istituti
scolastici autonomi pubblici statali e istituzioni
formative pubbliche regionali, anche con soluzioni di
alternanza |
Istruzione terziaria: università e
formazione tecnica superiore… |
………… |
Istruzione continua… |
………… |
B. – Sulle
innovazioni costituzionali e sulle implicazioni
tecnico/istituzionali
Il novellato
Titolo V della Costituzione
affida allo
Stato
* la
legislazione
esclusiva
in materia di
- norme generali
sull’istruzione
- determinazione
dei Livelli Essenziali delle Prestazioni relativi a tutti i
percorsi di istruzione e formazione, degli Standard Minimi
Formativi, del Profilo Educativo, Culturale e Professionale di
Uscita degli studenti, dei Profili Professionali dei docenti.
affida alle
Regioni
* la
legislazione concorrente
su tutta l’istruzione (primo e secondo ciclo)
Di fatto le
Regioni hanno competenza nella organizzazione scolastica e
nella gestione degli istituti scolastici e di formazione,
salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche.
Si veda anche la
sentenza 13/04 della Corte Costituzionale in ordine al ricorso
della Regione Emilia Romagna sulla legittimità dell’articolo
22 della legge 448/01, finanziaria 02, sentenza che tra
l’altro così recita: “Nel complesso intrecciarsi in una stessa
materia di norme generali, principî fondamentali, leggi
regionali e determinazioni autonome delle istituzioni
scolastiche, si può assumere per certo che il prescritto
ambito di legislazione regionale sta proprio nella
programmazione delle rete scolastica. E’ infatti implausibile
che il legislatore costituzionale abbia voluto spogliare le
Regioni di una funzione che era già ad esse conferita nella
forma della competenza delegata dall’art. 138 del decreto
legislativo n. 112 del 1998” Ne deriva che le Regioni, nel
proprio ambito territoriale e nel rispetto della continuità
del servizio di istruzione sono tenute ad attribuire a propri
organi la definizione delle dotazioni organiche del personale
docente delle istituzioni scolastiche.
In tale
direzione si muove anche la modifica (ancora formalmente non
perfetta) apportata recentemente dal Parlamento all’articolo
Cos. 117.
Va anche
ricordata la sentenza 34/05 della Corte Costituzionale con cui
sono respinte tutte le eccezioni avanzate dal Governo contro
la legge della Regione Emilia-Romagna 12/03. Nella sentenza si
legge in conclusione: “Sicché, proprio alla luce del fatto che
già la normativa antecedente alla riforma del Titolo V
prevedeva la competenza regionale in materia di
dimensionamento delle istituzioni scolastiche, e quindi
postulava la competenza sulla programmazione scolastica di cui
all’art. 138 del d.lgs. n. 112 del 1998, è da escludersi che
il legislatore costituzionale del 2001 «abbia voluto spogliare
le Regioni di una funzione che era già ad esse conferita»
(così ancora la sentenza n. 13 del 2004)”.
Va anche
considerato che la Regione Toscana ha approvato il 3 gennaio
2005 la legge con cui determina le condizioni per la gestione
del personale scolastico.
* la
legislazione esclusiva
sulla istruzione e formazione professionale.
LE CRITICITà
La legge ’53
recepisce il Titolo V, ma ne fa una lettura particolare;
infatti:
* istituisce un
primo ciclo
ottonale di competenza pubblica statale
* e istituisce
un
secondo
ciclo
così ripartito:
- il
sistema dei
licei
quinquennale di competenza pubblica statale;
- il
sistema
della istruzione e formazione
professionale
quadriennale di competenza pubblica regionale.
In una
ripartizione così concepita ha prevalso l’ottica del
vecchio MPI (l’ispirazione è stata la Costituzione del
’47) più che quella del nuovo MIUR (la disattenzione
verso la Costituzione del 2001). Il che ha condotto ad una
deriva “stravagante”, tutta amministrativista, se non
statalista, del precetto costituzionale originale. Di fatto è
stata replicata l’ottica della Costituzione del ’47, in cui
“l’istruzione artigiana e professionale” era affidata alle
Regioni, stante il fatto che l’istruzione “generalista” era
affidata alla competenza dello Stato.
Pertanto, quando
nella legge 53 si individuano ben otto licei – e con il dlgs
si sono moltiplicati gli indirizzi – è evidente che allo Stato
viene attribuita una fetta enorme dell’intero secondo ciclo,
per cui non si comprende che cosa potrà essere assegnato alle
Regioni. La pari dignità, di cui alla stessa legge 53, diventa
così una sorta di ectoplasma!
Un’altra
“lettura” particolare della nuova Costituzione operata dalla
legge 53 è stata quella di istituire l’età della scelta dello
studente tra i due sistemi alla conclusione del primo ciclo.
Il precetto
costituzionale che doveva innovare profondamente tutto il
nostro sistema di istruzione è stato tradotto con una attività
legislativa ordinaria, per di più sottratta al Parlamento,
condotta da un’amministrazione che ha operato guardando al
passato, a difesa dei suoi tradizionali “gioielli” più che al
futuro, innovando sulla via indicata dal Titolo V.
L’estrema
licealizzazione operata dalla bozza del dlgs provoca due
fenomeni strettamente interagenti:
- un
afflusso
sempre più massiccio
degli studenti ai licei, stante la fragilità dell’offerta
professionale sia sotto il profilo
contenutistico
(non sono chiari gli SMF, gli OSA, i percorsi e gli sbocchi)
che sotto quello
istituzionale
organizzativo
(che fanno/faranno le Regioni in ordine alla “loro”
legislazione concorrente?);
- una
offerta
formativa estremamente generica e frammentaria
avanzata dai licei che di fatto non preparano né per gli
ulteriori
studi
universitari
(data la frammentazione dei percorsi e la genericità dei
titoli di studio) né per
l’accesso al
lavoro
(titoli non qualificanti).
Dai quadri
orario appare: una riduzione delle ore obbligatorie; un
aumento del numero delle discipline spesso generiche,
accompagnato da frammentazioni di indirizzo ed orarie che di
fatto rendono gli insegnamenti scarsamente formativi sia sotto
il profilo liceale tradizionale che sotto quello
professionalizzante.
A mio giudizio
sarebbe opportuno:
- in prima
istanza, restringere l’area dei licei. Ma occorrerebbe
emendare l’articolo 2, comma 1, punto g della legge 53!!!
- oppure, in
seconda istanza, caratterizzare meglio
- sotto il
profilo liceale tout court il
classico
e lo
scientifico,
i cui percorsi anche pre-professionalizzanti sarebbero
sostenuti da attività di alternanza;
- sotto il
profilo pre-professionalizzante e professionalizzante (in
ordine alle ai contenuti, alle competenze, ai titoli finali
che permettano anche l’accesso al mondo del lavoro) i licei
economico,
tecnologico,
linguistico,
- sottolineare
meglio gli sbocchi di ulteriori approfondimenti e/o di accesso
al lavoro dei licei
artistico,
musicale
e coreutico
e delle
scienze sociali.
Da tale seconda
istanza rimarrebbe pur sempre ben poco alla formazione
regionale. E alle Regioni non resterebbe che dar vita a
percorsi che sarebbero doppioni dei licei!
Un’altra strada
percorribile potrebbe essere quella di un incremento dei
percorsi integrati triennali
post scuola media tra istituzioni scolastiche autonome
(pubbliche statali) e istituzioni formative (pubbliche
regionali), di cui all’Accordo quadro Stato-Regioni del giugno
2003. Va sottolineata l’iniziativa, di cui al recente accordo
Miur, MPLS, Regione Liguria, di avviare un quarto anno
consentendo ai giovani il conseguimento del diploma
professionale e l’accesso ai corsi IFTS e all’anno integrativo
propedeutico per l’Università.
Si tratta di
iniziative che permettono di attivare interazioni tra istituti
secondari comprensivi orizzontali in un’ottica di campus,
la quale comporterebbe una aggregazione assolutamente nuova e
originale tra scuole e istituzioni formative, che sarebbero
anche in grado di interagire meglio in quella attività di
programmazione educativa sul territorio che il dlgs 112/98 ha
assegnato agli Enti Locali.
Sembra che i
nodi siano tutti venuti al pettine!
Il fatto è che
gli estensori della legge 53 “hanno avuto paura” dello
sconcerto emergente circa il “pericolo” che gli IT e gli IP
“finissero” alle Regioni ed hanno implementato a dismisura
l’area dei licei. Tant’è vero che nel dlgs non si legge che
gli IT e gli IP “passano” alle Regioni, ed il silenzio è più
eloquente della parola scritta, per cui studenti e insegnanti,
come è noto, stanno “scappando” tutti dagli IT e dagli IP!
Va allora detto
che, se alle Regioni spetterà tutta l’organizzazione
e la
gestione
delle istituzioni scolastiche e formative (assetto
ordinamentale), si abbia allora il coraggio di emendare la
legge 53 e affidare con decreti mirati la grande maggioranza
degli IT e degli IP alle Regioni anche in ordine alle
competenze sui curricoli (aspetti operativi).
Il nodo è tutto
qui! Il Titolo V affida alle Regioni la grossa partita
dell’istruzione e formazione professionale. Ma la legge 53 di
fatto “non ha voluto” applicare il Titolo V.
Si ha veramente paura delle Regioni? Forse siamo tutti un po’
responsabili di questa “non scelta”! Con una mano abbiamo
lanciato il sasso (Titolo V), con l’altra l’abbiamo ripreso
(la paura delle Regioni!)
E i nostri
giovani saranno sempre meno preparati, il mondo del lavoro e
l’Europa aspetteranno ancora!
UNA
CONSIDERAZIONE SUL BIENNIO
L’ipotesi di un
biennio obbligatorio nel sistema dei licei in modo da fare
uscire gli studenti non a 14 (o 13 anni, considerando sia gli
anticipi che le iscrizioni di gennaio) ma a 16 (o a 15)
sarebbe percorribile, in quanto nel Titolo V non c’è scritto
che la scelta deve essere precoce (la scelta è stata della
Moratti!), ma…
…di questa
ipotesi non capisco fino in fondo l’utilità né l’opportunità!
Mi sembra una linea di difesa, non di attacco! Sarebbe una
sorta di rinvio della questione di fondo! Avrebbe senso solo
se il percorso regionale è e resterà quello che si delinea con
la bozza attuale di dlgs, con la quale, ovviamente, i percorsi
regionali sarebbero soltanto da evitare!
Il problema, a
mio avviso, è questo: se alle Regioni viene assegnato un
percorso “serio” e se le Regioni sono in grado di gestirlo, la
pari dignità sarebbe garantita comunque e gli studenti
potrebbero conseguire e consolidare le loro conoscenze e
competenze di base in ambedue i percorsi.
Ed ancora! Se i
licei sono quelli delineati dal dlgs, quali vantaggi
trarrebbero gli studenti da un biennio generico e
impasticciato, per di più culturalmente e educativamente assai
debole? |