Portfolio: uno strumento per valorizzare l'identità personale di Aluisi Tosolini, da Pavone Risorse del 15/8/2005
In questi giorni sono in Friuli, nella mia casa natia. A sera spesso apro la finestra dell’ultimo piano e guardo fuori, verso la pianura. Oggi il cielo non è terso e sulla sinistra, verso la Slovenia, si rincorrono nubi minacciose che sanno più di autunno che di ferragosto. Appena oltre le fronde dei primi alberi si staglia un lungo caseggiato di mattoni rossi. E’ la " Scuola elementare Giuseppe Ellero", dal nome di un sacerdote poeta che scriveva, se non ricordo male, sia in friulano che in italiano.Io a scuola non ci volevo andare. Di questo ho memoria certa. E piangevo come una vite tagliata durante le ore di lezione. La maestra Rina, che Dio l’abbia in gloria, era spesso costretta a far chiamare mio fratello maggiore perché mi consolasse. Non parlavo italiano, mi rifiutavo di scrivere e, quando iniziai a farlo, si capì subito che nessuno sarebbe mai riuscito a farmi migliorare la calligrafia da gallina. I miei disegni erano poi di una povertà assoluta e tali sarebbero rimasti per sempre: senza prospettiva alcuna, bislacchi, da bambino di tre anni. Alle medie, avendo un’unica insufficienza grave, in disegno appunto, capii che forse era meglio andare sull’astratto ed usare la spatola. Il professore, genio della didattica, intuì che non era in caso di insistere e da lì in poi un bel sei in pagella campeggiò per tutta la mia carriera scolastica alla voce "Disegno". Per prendermi in giro un mio educatore delle scuole superiori mi regalò, il giorno del matrimonio, un mio "quadro" di allora: al solo vederlo c’era da vergognarsi. L’ho fatto sparire immediatamente dalla mia vista. Perché, si dirà, tutti questi inutili ricordi da vecchio? Il motivo è semplice: mi sono tornati alla memoria in questi giorni leggendo prima la pronuncia del Garante sulla Privacy sul portfolio ( Portfolio: garanzie nei processi formativi degli alunni - 26 luglio 2005 - G.U. 8 agosto 2005, n. 183) e poi l’intervento dello stesso Garante sui sacchi dell’immondizia (commentata proprio il giorno di Ferragosto da Francesco Merlo su La repubblica del 15 agosto 2005).Leggendo l’intervento del Garante mi sono molto rallegrato del fatto che la maestra Rina non fosse tenuta a compilare il mio portfolio personale. Se per caso lo avesse fatto sarei rovinato! La mia storia, il mio passato, mi avrebbe perseguitato non poco nei vari cambi di insegnanti e scuole. Allora non usavano ancora, ma di certo se un insegnante in vena introspettiva avesse chiesto lumi sul mio conto a psicologici ed affini e questi avessero buttato un occhio al mio portfolio sarei stato rovinato. L’interpretazione dei miei disegni, unita alla lettura di brevi testi scarabocchiati in cui sostenevo l’inutilità della scuola e la necessità per me di dedicarmi al lavoro dei campi mi avrebbe certo gettato in una brutta luce davanti ai nuovi docenti. In sostanza il mio passato avrebbe rischiato di uccidere la piantina che a fatica, e in mezzo a mille contraddizioni, stava cercando la sua strada verso il futuro. E che, alla fine, l’ha anche trovata. Se sia quella giusta non so, ma ormai è fatta.
Il dibattito sul portfolio Non sono un grande esperto di valutazione. Così, per capirci qualcosa, mi faccio aiutare. Nel caso specifico da Paola Plessi, autrice del volume "Teorie della valutazione e modelli operativi" (La scuola ed.) e docente a Scienze della Formazione all’Università Cattolica di Piacenza.Mesi fa, durante un seminario di studio che ha aperto una interessante ricerca dell’IRRE della Valle d’Aosta sulla riforma scolastica, Paola Plessi ha così riassunto il senso del portfolio:
Ho riportato questa lunga citazione perché mi pare che essa contenga elementi di grande interesse proprio in merito alla pronuncia del Garante. L’elemento fondamentale mi pare essere proprio la soggettività del portfolio. Detto altrimenti: il portfolio è e deve restare di proprietà dello studente che lo utilizza se, come e quando ne ha voglia. E’ frutto di una relazione comunicativa in cui è il soggetto – studente ad avere l’ultima parola sul suo uso. Del resto proprio in questo, come scrive Bianca Maria Varisco, sta la personalizzazione del processo di insegnamento/apprendimento. Si tratta cioè di uno strumento didattico che si gioca nella didassi quotidiana della vita in classe. E la lettura di Paola Plessi mi pare essere in piena sintonia con le richieste del Garante della Privacy.
Certificare gli apprendimenti e le competenze Altra cosa, ovviamente, è certificare competenze ed apprendimenti. E non è detto che il portfolio, così come pensato e richiesto dalla riforma avviata con la legge 53/2003, sia lo strumento più adatto per certificare apprendimenti e competenze. E infatti la bozza del decreto di riforma del secondo ciclo parla, per il settore istruzione e formazione professionale, di un " 'libretto formativo del cittadino' di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276." (art. 21) su cui registrare le competenze acquisite dal soggetto in formazione. Del resto è proprio nel settore della formazione professionale che il nodo della certificazione delle competenze ha portato diverse regioni a mettere a punto strumenti efficaci di comunicazione tra sistemi formativi e lavorativi. Il libretto formativo, che nella sostanza costituisce il bilancio delle competenze di un soggetto, risponde proprio a questa esigenza. Ma anche in questo caso il libretto rimane di proprietà del soggetto che decide se e come utilizzarlo. In questo caso, tuttavia, le competenze sono certificate come acquisite a partire da un complesso e condiviso sistema di certificazione delle stesse. Una cosa molto diversa rispetto al portfolio di cui si narra a partire dalla legge 53/2003. Insomma, ancora una volta siamo di fronte al rischio di utilizzare ottimi strumenti in contesti diversi da quelli propri con la conseguenza di creare non poca confusione e di vanificare le stessa positività dello strumento.
Grazie maestra Rina! Ecco allora perché il mio sguardo di questi giorni alla scuola Giuseppe Ellero è pieno non solo di velata nostalgia ma anche, e soprattutto, di gratitudine. Avessi dovuto portarmi appresso il fardello del mio passato mi sarei spesso sentito imbrigliato in una gabbia che, con la scusa di personalizzare il mio percorso, mi avrebbe esposto al rischio di non poter più controllare e negoziare la mia stessa identità. Anche scegliendo di mettere un punto per ripartire da capo, lasciandomi alle spalle ciò che era stato. Certo, molti esperti di valutazione avranno ottime ragioni e profondi argomenti per sostenere che le mie annotazioni sono vane e fallaci. Io però sono davvero contento di avere al mio seguito alcun portfolio. Solo un curriculum vitae, che però io stesso compilo, e spesso, anzi, ne ho a disposizione diversi (da ultimo quello di formato europeo) e li gioco a seconda dell’interlocutore e del tipo della relazione che si instaura. Ovviamente chiunque può andare su google e cercare di sapere molto di me. Ma è altra cosa. Nel gioco delle identità, nel teatro quotidiano delle rappresentazioni, mi piace pensare che io abbia ancora un ruolo, seppure piccolo, nel continuo ridefinirsi e definirsi che riguarda tutti.
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