Il portfolio.

di Antonio Gasperi, dalla Gilda di Venezia 4/12/2004

 

L'intervento del collega Giorgio Ragazzini dal titolo "Il portfolio: un nuovo tentativo di imporre ai docenti italiani una pedagogia e una didattica di Stato" datato 29 settembre 2004, ha suscitato in me alcune riflessioni.


Insegno dagli anni '90 (iscritto Gilda dal '98), perciò non ho una memoria storica diretta sulla scuola precedente alla "didattica per obiettivi". Non posso che concordare sulla mostruosità delle regole dettate dai buro-pedagogisti, tuttavia…

Tuttavia non posso pensare che nel nostro mestiere la questione "per chi insegnare" non sia altrettanto importante della questione "cosa insegnare": in altre parole, non posso ignorare che - rispetto a programmi di insegnamento teoricamente sempre più mastodontici, per il na-turale accrescimento del sapere, anche nelle discipline classiche - abbiamo di fronte persone sempre più imbevute di mode consumistiche e ideologie falso-permissiviste, bombardate da messaggi mediatici a sfondo sessuale e allevate all'idea che per sapere basta vedere.

Perciò anche la pedagogia ha dovuto rivedere il principio vagamente cibernetico della pro-grammazione totale (vedi "macchina" di Skinner) per fare i conti con la non linearità dei pro-cessi di insegnamento ed apprendimento e l'ineliminabile soggettività di ogni valutazione: in questo modo un pedagogista con un minimo di serietà professionale dovrebbe riconoscere - ol-tre alla centralità dello studente - la centralità dell'insegnante, unico responsabile della qualità del proprio lavoro. È una prospettiva co-evolutiva nella quale "il rapporto educativo, in termini generali, viene inteso come una coeducazione di soggetti diversi (i bambini e gli adulti educa-tori) che si adattano attivamente gli uni agli altri" (Berlini, Canevaro, Potenziali individuali di appredimento).

Se questo è vero a me sembra che il vero problema dell'insegnante del 2000 è quello di essere lasciato solo ad affrontare un mandato educativo , di cui la stessa società globalizzata ha perso il senso.


A mio parere la lobby sindacal-universitaria che vuole imporre la cosiddetta pedagogia di Stato è in realtà guidata da una dinamica intrinseca di potere che implica da un lato l'egemonia poli-tica ed organizzativa sulle scuole autonome e dall'altro la gestione esclusiva del business cultu-rale. Da quel che vedo, ciò ha a tanto a che fare con un disegno di impiegatizzazione dei do-centi, quanto gli stessi sono disposti a cedere fette di responsabilità professionale (prima che di libertà di insegnamento, come ho scritto i Professione Docente di marzo 2004). In questo mi pare che l'unica forma di rivendicazione che attualmente gli insegnanti adottano sia una sorta di "resistenza passiva" all'introduzione delle novità didattiche, siano esse "buone" o "cattive". Questa reazione è spesso di tipo inerziale, ad esempio nel caso degli esami di Stato: alcune voci, per la verità poche, avevano sostenuto la potenziale ricaduta positiva sulla didattica della commissione interna, per il miglioramento della collegialità nella valutazione, i possibili percorsi interdisciplinari, la minor aleatorietà del giudizio, ecc.
Cosa è rimasto di tutto ciò a distanza di tre anni? Come aveva previsto il sottoscritto sulle co-lonne di Professione Docente del maggio 2002, solo un veloce decadimento della qualità com-plessiva degli apprendimenti ed ora la Gilda chiede di tornare alle commissioni esterne.

Se è questa la realtà della nostra categoria, ha ancora senso parlare di autonomia professiona-le? Purtroppo anche nel nostro sindacato la svolta di Cattolica, con la bocciatura del codice eti-co, ha rappresentato la presa d'atto che un discorso sull'insegnante di qualità non può più usci-re dalla ristretta élite di una piccola associazione professionale.


Paradossalmente il portfolio è una proposta assolutamente neutra dal punto di vista delle op-zioni pedagogiche: in altre parole è una "scatola vuota", una raccolta di documenti nemmeno tanto ingombrante se li si seleziona accortamente (la "pagella", un paio di "relazioni", even-tualmente un questionario di autovalutazione, si veda il mio "Il portfolio del 'successo'" nel sito del Centro Studi da novembre ’03). Dico questo provocatoriamente, per invitare a considerarlo come un semplice "raccoglitore" delle "cose" che già si fanno a livello collegiale. Ho partecipato all'inchiesta a suo tempo organizzata da Renza Bertuzzi sulla sperimentazione del portfolio e ho potuto visionare i semplicissimi materiali "sperimentati" da almeno una decina d'anni in una scuola media della mia città gestita da suore.

Non posso quindi che concordare nella denuncia del danno provocato dalla linea dello scontro frontale sulla riforma portata avanti dalla Gilda nazionale: d'altronde provate a pensarvi che fine (politica) farebbe un sindacato che dichiara la sua disponibilità alla sperimentazione del portfolio, specialmente un sindacato i cui iscritti non riescono a capire quale grave danno pro-fessionale provochi un continuo cedimento sul piano della responsabilità educativa!


A mio parere un atto di coraggio sul codice etico proporrebbe la Gilda come interlocutore serio di questo e soprattutto di un nuovo governo forse meno orientato verso l'asservimento della scuola alla vecchia ideologia mercantilista e ad una nuova e più temibile ideologia familistica. E questo proprio perché - come sottolinea il collega Giorgio Ragazzini - "si è andato elaborando, àuspici Bertagna e Maragliano una convergenza di fondo tra berlingueriani e morattiani, che prova la sostanziale continuità e omogeneita ideologica dei due schieramenti in campo". Infatti una presa di posizione del nostro sindacato nel senso della responsabilità professionale do-vrebbe essere letta dall'attuale opposizione non tanto come un cedimento alla maggioranza di centro-destra, ma come l'accreditamento di un serio soggetto politico che vuole collaborare nel tentativo di risolvere la situazione di grave crisi nella quale versa il sistema scolastico italiano.


Mestre, 4 dic. 04

Antonio Gasperi