IL PORTFOLIO,

LE OPPORTUNITÀ TEORICHE E I LIMITI PRATICI

di Gianluca Bocchinfuso

 

Il Portfolio delle competenze individuali è una delle novità della Riforma Moratti che più sta facendo discutere.

L’espressione Portfolio formativo progressivo è di M. Pellerey: lo definisce un nuovo strumento di valutazione delle competenze, sottolineandone sia l’aspetto educativo che valutativo.

È una raccolta sistematica di lavori realizzati da un soggetto in formazione distribuiti nel tempo che permette di capire il livello di competenza raggiunto. È un elemento di «authentic assesment», non limitato e statico come i tests o le interrogazioni, che dà strumenti di autovalutazione da utilizzare anche nel corso del processo di acquisizione delle competenze. Può contenere le seguenti tipologie di materiali: relazioni scritte, schede di registrazione di osservazioni sistematiche, schede e questionari di autovalutazione, progetti definiti e realizzati, disegni e grafici, lavori di gruppo ed individuali, registrazioni sonore di presentazioni pubbliche e discussioni in piccolo gruppo, riprese video. Le principali finalità del Portfolio progressivo formativo sono: avere a disposizione materiali provenienti da diverse esperienze e prestazioni; motivare l'insegnamento e l'apprendimento; valutare in termini di competenze; permettere analisi ed interpretazione formativa e sommativa.

Nelle Indicazioni nazionali per i Piani di studio personalizzati nella scuola primaria, nelle Raccomandazioni per l’attuazione delle indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia, nelle Indicazioni nazionali per i piani personalizzati nella Scuola secondaria di primo grado, redatte dall’attuale Ministero, si sottolineano alcune premesse. Gli obiettivi specifici di apprendimento diventano obiettivi formativi quando sono adattati al bambino, al gruppo, alla scuola, all’ambiente. Uno o più obiettivi formativi costituiscono le unità di apprendimento individuali o di gruppo. L’insieme delle unità di apprendimento costituisce il Piano di Studio personalizzato di ciascuno allievo che resta a disposizione delle famiglie e da cui si ricava la documentazione utile per la compilazione del Portfolio delle competenze individuali.

Nelle Indicazioni nazionali della scuola primaria e secondaria di primo grado, si legge che il Portfolio «comprende una sezione dedicata alla valutazione e un’altra riservata all’orientamento». Entrambe s’intrecciano in continuazione, perché «l’unica valutazione positiva per lo studente di qualsiasi età è quella che contribuisce a comprendere l’ampiezza e la profondità delle sue competenze e, attraverso questa conoscenza progressiva e sistematica, a fargli scoprire ed apprezzare sempre meglio le capacità potenziali personali, non pienamente mobilitate, ma indispensabili per avvalorare e decidere un proprio futuro progetto esistenziale». A cosa serve: «seleziona in modo accurato materiali prodotti dall’allievo individualmente o in gruppo, capaci di descrivere le più spiccate competenze del soggetto; prove scolastiche significative relative alla padronanza degli obiettivi specifici di apprendimento e contestualizzate alle circostanze; osservazioni dei docenti e della famiglia sui metodi di apprendimento del preadolescente, con la rilevazione delle sue caratteristiche originali nelle diverse esperienze formative affrontate; commenti su lavori personali ed elaborati significativi, sia scelti dall’allievo sia indicati dalla famiglia e dalla scuola, ritenuti esemplificativi delle sue capacità e aspirazioni personali; indicazioni che emergono dall’osservazione sistematica, dai colloqui insegnanti-genitori, da colloqui con lo studente a anche da questionari o test in ordine alle personali attitudini e agli interessi più manifesti».

Il Portfolio, nelle intenzioni del Ministero, dovrebbe migliorare le pratiche di insegnamento; dovrebbe stimolare lo studente all’autovalutazione e alla conoscenza di sé in vista di un personale progetto di vita; corresponsabilizzare i genitori nei processi educativi. Questo strumento, che di fatto è un “dossier”, segue il bambino sin dalla scuola dell’infanzia e lo accompagna in tutto il suo percorso scolastico adolescenziale fino alla maturità. È una sorta di memoria del percorso effettuato nei cicli della sua vita scolastica, in quanto raccoglie tutte le prove che il ragazzo compie durante il suo lavoro e, da questo punto di vista, mirerebbe a valorizzare le energie positive di ognuno.

Questa finalità di documentare la crescita dello studente, nell’ottica sia del suo sapere che del suo sapere-fare, pone la questione della valutazione che registra due livelli: valutazione interna e valutazione esterna. La prima, riguarda l’ambito scolastico vero e proprio, legato all’istituto, alla classe e ai docenti. È una valutazione che tende ad analizzare percorsi, lavori, materiali “ad uso interno”, per riuscire a capire i progressi e i miglioramenti della vita scolastica dello studente. La seconda, è esterna, cioè si apre al mondo extrascolastico: il Portfolio documenta per “il mondo esterno” attitudini, capacità, metodo dello studente, certificando tutte le sue abilità e il suo percorso formativo individuale.

Una prima perplessità, tra gli operatori della scuola, riguarda il rischio che il Portfolio, così inteso, possa diventare uno strumento non totalmente realizzabile sulla base delle dichiarazioni di principio: il rischio principale è che possa diventare la fotografia di una somma confusa di prove scritte ed annotazioni difficili da classificare (anche in maniera selettiva) e disorganiche per quanto riguarda l’obiettiva possibilità di ricalcare il processo di insegnamento-apprendimento messo in atto in tutti i gradi scolastici. Ogni scuola, inoltre, a seconda del proprio ordine e grado, deve produrre un autonomo modello di Portfolio che viene gestito dall’insegnante tutor o coordinatore. Anche questo punto pone una riflessione critica: lasciare, in base all’autonomia, alle singole scuole la preparazione del Portfolio pone sin dal principio il problema della diversificazione dello strumento, che rischia di diventare in molte realtà una sommatoria di verifiche e di prove oggettive simili ad un qualunque raccoglitore. Infatti, non tiene conto in alcun modo di quelle scuole disagiate o “di frontiera” che, durante il percorso dello studente, non registrano nessun tipo di interazione comune e costruttiva scuola-famiglia, studente-docente, scuola-territorio. Anche questo aprirebbe una divaricazione sempre più netta tra studenti, a scuola prima e nel mondo del lavoro poi. Inoltre, le Indicazioni non pongono il dubbio che valutazione interna ed esterna possono anche divergere: se ciò dovesse accadere si presenterebbe una palese difficoltà di quantificazione dei risultati, in quanto la prima potrebbe non essere seguita alla stesso modo dalla seconda che cerca, al di là del risultato scolastico vero e proprio, altre risposte che il Portfolio, per forza maggiore, potrebbe tacere.

Se da un lato, quindi, il Portfolio potrebbe essere un’opportunità nel seguire in linea teorica la crescita scolastica dello studente, dall’altro può diventare uno strumento di controllo sulla persona e, poiché le valutazioni riguardano l’età evolutiva, si possono verificare cristallizzazioni univoche che poi, col tempo, non corrispondono più alla realtà. È questo uno dei dubbi più marcati. La scuola riuscirà per tempo a capire i cambiamenti in corso nello studente, ad orientarlo diversamente, a sottolineare/certificare esattamente i propri debiti e crediti senza perdere di vista la sua formazione? Riuscirà lo studente a diventare parte attiva e dinamica di questo strumento, sottolineando nelle scelte le proprie aspirazioni, metodologie, capacità? E la famiglia: che ruolo avrà effettivamente e realisticamente, al di là delle dichiarazioni di principio? Dalle Indicazioni, poi, viene fuori uno strumento che, se non strutturato agilmente e passibile di ripensamenti interni, può diventare limitante per la figura docente, portandolo alla burocratizzazione del suo lavoro: la figura e la formazione dello studente, paradossalmente, potrebbero andare in secondo piano, a vantaggio (negativo) dell’elemento archivistico e compilativo che mummifica il lavoro ed estranea i soggetti che del Portfolio sono gli attori principali.

Il Portfolio, per essere opportunità, deve saldarsi sulla stretta collaborazione tra i docenti che, per i diversi ambiti disciplinari, devono riuscire a raggiungere metodologie coerenti, non omogenee ma convergenti; questi, per evitare che il Portfolio diventi strumento isolato ed individualistico, devono garantire la continua ed attiva dinamica docente-studente-famiglia per creare quel ambito socialmente condiviso che diventi opportunità per lo studente, dentro e soprattutto fuori la scuola; deve evitare di essere il grimaldello per creare percorsi personalizzati in senso stretto che escludano a priori - per tipologia di scuola e lavoro - alcuni studenti rispetto ad altri, facendo già dai primi ordini scolastici, quella selezione pseudoaziendalistica legata a retroterra culturali ormai superati.

Se il Portfolio riuscirà a trasformare alcune opportunità teoriche in esso contenute in opportunità pratiche di insegnamento-apprendimento, potrà diventare un valore aggiunto per studenti e docenti. Ad oggi, la percorribilità coerente ed in linea con la centralità dello studente - che della scuola rimane attore principale - non risulta. E semplicemente perché le risorse che dovrebbero essere messe in campo sono tante, mirate all’intreccio continuo tra didattica, valutazione e orientamento e a quello tra docenti, studenti, famiglia. Un insieme umano che dovrebbe essere coeso e allo stesso tempo dinamico e creativo ma che, nella scuola di oggi, si muove tra le sabbie mobili.