Abrogare o no?
Un falso problema.
di Dedalus, da
ScuolaOggi del 17/6/2005
Il dibattito sull’abrogazione della legge di
riforma Moratti non ci ha mai convinto del tutto né appassionato più
di tanto. Sarà perché abbiamo sin dall’inizio considerato la legge
delega n. 53/2003 una “controriforma” dagli aspetti reazionari e
complessivamente negativi per la scuola pubblica. Controriforma in
senso forte: perché avveniva sulle ceneri della legge quadro di
riordino dei cicli dell’istruzione n. 30/2000, il cui contenuto
radicalmente “riformatore” della scuola di base italiana – condiviso o
meno che fosse - veniva drasticamente bloccato. Di più: controriforma
persino rispetto alla legge di riforma dell’ordinamento della scuola
elementare n. 148/1990 che, con i moduli didattici e la conferma del
tempo pieno, sanciva comunque il primato del gruppo docente rispetto
ad altri modelli didattici e organizzativi (si chiamino essi
insegnante costellato, prevalente o tutor).
Ora il dibattito sull’abrogazione della riforma Moratti è ripreso con
vigore dopo le ultime tornate elettorali (ci riferiamo alle elezioni
amministrative, non certo al referendum). Si è fatta strada l’idea
infatti che il berlusconismo è in crisi e che quindi nel 2006, con la
prevista vittoria del centro sinistra, potrà esserci un cambio di
governo. Ipotesi auspicabile ma non certo “scontata”, se consideriamo
la persistente tendenza alla divisione e l’irrefrenabile cupio
dissolvi che pervade lo schieramento del centro sinistra. Si pensi
alle recenti vicende interne alla Margherita ma anche alla dialettica
interna o tra i vari partiti dell’Unione o alle spinte divaricanti del
centro da una parte e della sinistra-sinistra dall’altra. Di questo
passo, con queste pulsioni e questo tasso di conflittualità interno
alla coalizione, abbiamo forti dubbi che si possa arrivare davvero a
battere il centro destra e quindi ad un cambio di maggioranza di
governo e di programmi politici, scuola inclusa. Sarà il caso,
quantomeno, di non darlo affatto per “scontato”.
Chi sostiene con forza e determinazione la necessità di “abrogare” la
riforma Moratti lo fa perché teme che, una volta al governo, pezzi
consistenti del centro sinistra non vogliano cambiare rotta, intendano
cioè correggere - al massimo - qualche stortura della legge 53 ma non
metterne in discussione l’impianto di fondo. Preoccupazione legittima
e probabilmente fondata, che non risolve però il problema. Perché il
vero problema – lo abbiamo già detto e lo ripetiamo – è che il centro
sinistra non ha un programma di politica scolastica e, soprattutto,
non ha ancora elaborato una proposta di legge, una propria “riforma
della scuola” da mettere al posto della riforma Moratti. Questo è il
punto, la vera questione irrisolta.
Quando il Polo è andato al governo, come primo atto, ha abrogato la
legge di riordino dei cicli, riforma che era stata approvata ma che
non aveva ancora prodotto effetti, continuando di fatto a sopravvivere
– nella scuola elementare – la legge 148/90. Non si è creato pertanto
alcun vuoto normativo: la Casa delle libertà ha sospeso e messo fuori
gioco subito la legge n. 30 e, mentre rimaneva in vigore la legge 148,
ha proposto ed approvato con l’ampia maggioranza parlamentare di cui
dispone, la legge n. 53.
Allora occorre dire cosa succede, cosa si propone, una volta abrogata
la riforma Moratti (evento, ripetiamo, che riteniamo auspicabile, ma
di per sé non sufficiente). La legge di riordino dei cicli di
Berlinguer, che noi consideravamo una riforma per molti versi
apprezzabile (una scuola di base unitaria) ma per altri incompiuta e
sicuramente indefinita, non è riproponibile (o comunque non viene
riproposta). Ma non dimentichiamo che la stessa legge 148 era invisa a
molti che non hanno mai condiviso la proposta dei moduli didattici.
Qual é allora la proposta di organizzazione della scuola di base?
L’estensione del modello tradizionale del tempo pieno – come modello
unico - sul territorio nazionale e la conferma della scuola media
esistente? Noi riteniamo questa proposta debole, non praticabile e
pedagogicamente arretrata. La diffusione del modello del tempo pieno
sul territorio nazionale non è realistica per più motivi. Non solo la
richiesta di Tempo Pieno è circoscritta ad alcune grandi città
(Milano, Bologna, Torino) e ad alcune regioni e non altrove, ma se
anche avesse una diffusione maggiore non risulterebbe gradita a chi
invece chiede un tempo scuola più ridotto. E’ vero che lo sviluppo del
tempo pieno ha avuto non poche limitazioni (sin dall’approvazione
della legge 148/1990 - v. art. 8 comma 2, ben prima dunque della
Moratti), ma è altrettanto vero che sul territorio nazionale il tempo
modulo è comunque il modello prevalente, largamente maggioritario.
La pura e semplice estensione del tempo pieno a tutta la realtà della
scuola primaria italiana non è stata possibile negli anni ’90 e
difficilmente lo sarebbe ora (senza contare poi il problema, non
irrilevante, dei costi di una simile operazione, in tempi di
recessione economica). Una volta abrogata la legge 53 e i successivi
decreti attuativi, cosa si propone allora, il ripristino della legge
148/90 (moduli e tempo pieno), almeno in via transitoria?
Non solo, ma non ci pare una grande “innovazione didattica” difendere
(battaglia sicuramente legittima e doverosa) e replicare il tempo
pieno e lasciare tutto il resto così com’é (elementare e media
separate o “separate in casa” nei comprensivi, ecc.).
Occorre allora ripartire, come da varie parti è stato detto, dai
contenuti, dagli aspetti che si considerano “qualificanti” ed
essenziali in un modello didattico e organizzativo. Scuolaoggi ha
pubblicato alcuni contributi in questa direzione (v. a questo
proposito l’articolo “Oltre la Moratti: un New Deal per la scuola di
base” di G. Gandola e F. Niccoli o gli interventi di Giancarlo
Cerini).
L’avvio di una mobilitazione per una proposta di legge di iniziativa
popolare - se ha queste caratteristiche (se non ci si limita a dire
dei no, cosa non si vuole o cosa abrogare, ma se si avanzano anche
proposte precise, se si dice cosa si vuole, come alternativa
possibile) – può rappresentare un contributo importante per rilanciare
un dibattito di massa, nelle scuole e tra gli operatori scolastici. In
questo senso un’iniziativa dal basso, che parte direttamente dalla
società civile e dal mondo della scuola, soprattutto in una fase di
difficoltà di rapporti tra i partiti ed il ceto politico di
opposizione, potrebbe costituire uno stimolo di indubbia rilevanza.
L’importante è uscire dalle secche di una contrapposizione sterile e
passare dalla critica (necessaria ma non sufficiente) ad una fase
propositiva. Entrare nel merito, sul piano pedagogico,
didattico-organizzativo ed anche giuridico. Lavorare insomma per
elaborare un’idea di riforma della scuola il più possibile unitaria e
didatticamente innovativa, sul piano dei contenuti e delle forme
organizzative. Sapendo, naturalmente, che per far passare una legge ci
vuole la maggioranza, nel paese e in parlamento. E che una riforma,
per avere possibilità di successo, deve essere non solo “realistica”
ma anche largamente condivisa.