[Chissà che ne pensa Berlinguer? n.d.w.]
Il vero errore é il modello-azienda.
di Dedalus, da
ScuolaOggi del 29/5/2005
“Il vero errore é l’azienda come modello”:
così titolava un’intervista ad un
medico del Policlinico, pubblicata recentemente sulle pagine milanesi
di Repubblica. “E’ stato un errore
considerare gli ospedali come aziende”
sosteneva in buona sostanza il medico. Analoga riflessione
andrebbe fatta o riavviata a proposito della scuola e delle sue
prospettive.
L’idea di riproporre nella scuola pubblica un’idea di gestione e
meccanismi tipici del mondo aziendale si conferma infatti sempre più
“fuori luogo”. A partire dalla dirigenza scolastica. Ci riferiamo, in
questo caso, soprattutto all’A.N.P. (Associazione Nazionale Presidi,
il sindacato di categoria dei dirigenti scolastici), non a caso
“affiliato” alla Confederazione Italiana Dirigenti e Alte
Professionalità, il cui sito si intitola significativamente “il
portale del management”.
La tesi del “preside-manager” si sta
rivelando per quel che è: un’illusione ottica, una svista madornale.
Non solo i dirigenti scolastici non sono neanche lontanamente
assimilabili ai dirigenti di impresa, ma soprattutto è la scuola nel
suo complesso che non ha modalità di funzionamento, processi
decisionali, culture e modelli organizzativi paragonabili a quelli
aziendali.
Luciano Benadusi, nella presentazione di un libro di Roberto Serpieri
(*), scrive che la critica a queste teorie
“rivendica la specificità del contesto
organizzativo della scuola, irriducibile a trattamenti manageriali
derivanti per imitazione dal mondo aziendale; un’opinione, questa,
espressa anche da uno dei più noti esperti internazionali di
management (Charles Handy) a seguito di una sua indagine empirica
sulla cultura organizzativa delle scuole”.
Troppe le anomalie del “management scolastico”. Per fare qualche
esempio concreto delle contraddizioni implicite in questa formulazione
e della distanza siderale fra scuola e azienda, si pensi al fatto che
le istituzioni scolastiche non hanno alcuna effettiva “autonomia
finanziaria”. Non solo non hanno un proprio budget definito in origine
(dotazione ordinaria delle scuole) ma addirittura si trovano nella
strana condizione di dover effettuare la propria pianificazione delle
attività (Programma annuale) senza avere preliminarmente certezza di
finanziamenti, che arrivano, se arrivano, dopo. Lo rileva perfino la
Corte dei Conti che -a questo proposito- arriva addirittura a parlare
di fenomeno della “programmazione
invertita”, determinato dalla
mancata disponibilità di adeguate risorse e di tempi certi:
“L’incertezza sull’entità effettiva delle
risorse assume un ruolo determinante in tal senso, impedendo una
programmazione consapevole ed ingessando la gestione delle
medesime..”. E ancora: “Oltre alla mancanza di certezza in ordine
all’entità delle assegnazioni sulle quali contare al momento della
predisposizione del programma, una ulteriore penalizzazione deriva
dalla ritardata effettiva disponibilità delle medesime, con
conseguenze sulla realizzazione dei Progetti.”
(Corte dei conti, deliberazione del 23.6.2004). Parlare di
management in queste condizioni è quanto meno azzardato: ve
l’immaginate un’azienda che funziona in questo modo?
Per non parlare dei problemi della sicurezza delle scuole e della L.626,
nel cui campo il dirigente scolastico viene addirittura equiparato al
“datore di lavoro”. Definizione del tutto impropria, essendo il capo
d’istituto un “datore di lavoro” assolutamente atipico, visto
che non ha la gestione diretta del personale, non è proprietario degli
edifici scolastici, né é dotato di strumenti e risorse adeguate per
intervenire direttamente sulle strutture. Anomalia, questa, gravida di
rischi – data la situazione degli istituti scolastici - e di
pericolose zone d’ombra per quanto riguarda competenze e
responsabilità.
Ma soprattutto si pensi al fatto che il risultato dei processi di
insegnamento/apprendimento e delle attività educative di
socializzazione non è misurabile con parametri simili a quelli con cui
si misurano i risultati d’impresa (il volume di affari, le vendite dei
prodotti, i margini di profitto). La valutazione del servizio
scolastico, della qualità del “prodotto” dell’istruzione è sicuramente
questione più complessa e difficile, entrando in gioco fattori e
variabili del tutto diverse.
Il sistema delle relazioni di un’istituzione scolastica, sia interne
(docenti, non docenti, alunni) che esterne (enti locali, realtà
territoriali, ecc.), come pure il rapporto con l’utenza (genitori), é
ben diverso da quello di altri settori del mondo del lavoro. Come pure
diverse sono le condizioni di esercizio di una dirigenza che esplica
la propria azione, pur nella distinzione dei ruoli, accanto ad
organi
collegiali
(collegi, consigli) cui compete larga parte delle decisioni in materia
di organizzazione della didattica e dell’offerta formativa.
Le suggestioni delle sirene del management (e del mercato) hanno
contribuito dunque a produrre nell’immaginario collettivo una visione
discutibile del dirigente scolastico che spesso non ha riscontri nella
realtà effettiva.
Il dirigente scolastico non é assimilabile né al manager né al
dirigente amministrativo (dirigenza statale), in quanto ha
una funzione dirigenziale
assolutamente peculiare, specifica,
propria del sistema di autonomia delle istituzioni scolastiche cui
inerisce (autonomia didattica, organizzativa e di ricerca,
sperimentazione e sviluppo – v. l’art.21 della Legge n.59/1977 e il
DPR n.275/99, Regolamento recante norme in materia di autonomia delle
istituzioni scolastiche).
Più che di management scolastico meglio parlare allora, come fa
Serpieri, di una leadership senza
gerarchia (in senso
burocratico-autoritario), di una
“insightfull cultural leadership”, ovvero
di una leadership “densa” di significati, intesa come
“leadership diffusa che non annulla le diversità
di ruolo tra i capi d’istituto o dirigenti e altre figure di leaders
operanti a più bassi livelli di responsabilità ma si accorda ad
un’idea generale di crescita della professionalità del personale della
scuola e di sviluppo di pratiche collaborative, in contrasto con le
spinte a favore del ritorno della gerarchia”.
Un leader educativo ed organizzativo - nonché rappresentante
dell’istituzione scolastica autonoma e al tempo stesso “funzionario
della Repubblica” - capace dunque di creare cultura collaborativa, con
il compito precipuo di coordinare e valorizzare le risorse umane,
professionali e strumentali (quelle esistenti, non quelle virtuali)
nella scuola-servizio pubblico.
Le logiche manageriali, osserva opportunamente Serpieri, possono
comportare seri rischi di nichilismo
pedagogico e di svalutazione delle
componenti di democratizzazione della vita professionale così come
delle attività di socializzazione, insegnamento, apprendimento,
proprie dell’istituzione scuola.
Uno degli effetti negativi della retorica della managerializzazione
infatti è quello di aver sempre più spostato il baricentro dal piano
educativo e didattico-organizzativo a quello gestionale ed
amministrativo, guardando all’impresa, al “privato” come
riferimento principale,
in mancanza peraltro di alcuni “requisiti” sostanziali (poteri di
intervento, gestione del personale, risorse finanziarie, ecc.).
Finendo quindi per scimmiottare il management aziendale.
Occorrerebbe invece sottrarre definitivamente la scuola pubblica
statale a logiche di mercato, competitive e liberiste, e ricondurla
alla sua funzione primaria, che è quella di fornire istruzione e
formazione alla cittadinanza, di garantire il “diritto alla
prestazione didattica” a tutti gli alunni, italiani o stranieri che
siano (“non uno di meno”,
come diceva l’indovinato slogan di un recente convegno della
Provincia di Milano).
Sgombrato il campo dalle fumisterie e dall’equivoco aziendalista, sarà
il caso di riaprire una discussione e una riflessione seria, ancorata
alla realtà, sui temi della governance
delle istituzioni scolastiche e della specificità del ruolo del
dirigente scolastico, nel difficile crinale tra compiti educativi,
organizzativi e di gestione.
Dedalus
(*) Roberto Serpieri, “Leadership senza
gerarchia. Riflessioni sul management scolastico”, Liguori editore.