DIRIGERE LA SCUOLA DELLA TRANSIZIONE ALLA RIFORMA

Come continuare ad essere un punto di riferimento per docenti e genitori

 

di Antonia Cabrini [1]

 

 

Gestire la fase della transizione verso la riforma ha significato in primo luogo, nelle vesti di dirigente, interrogarmi sul come fosse possibile continuare ad esercitare una leadership educativa in un momento in cui non era per nulla chiaro il quadro di riferimento pedagogico e normativo.

Era importante riflettere, in primo luogo con i docenti, poi con i genitori, sul significato di alcuni nodi della riforma, ancor prima di analizzarne le implicazioni organizzative.

L’anticipo a due anni e mezzo, piuttosto che a cinque, la riduzione del tempo scuola, il carico contenutistico di molto accresciuto, la possibilità concessa ai genitori di scegliere tra diverse attività opzionali integrative al curricolo, il portfolio delle competenze, la personalizzazione dei percorsi formativi: quale idea di bambino sottendevano?

Il docente tutor, la rottura del team dei docenti che per anni hanno condiviso la responsabilità educativa e didattica, quali conseguenze potevano determinare nelle relazioni tra docenti, tra docenti e famiglie, tra docenti e allievi?

La fase della presentazione della riforma, (nei fatti l’intero anno 2003), ha generato una enorme confusione per tutti i soggetti direttamente e indirettamente coinvolti.

Ha pesato enormemente fuori e dentro le scuole una forte ideologizzazione del dibattito, che ha comportato spesso l’impossibilità di un sereno confronto.

I Dirigenti scolastici, d’altra parte, sono stati sottoposti a notevoli pressioni perché la scuola si allineasse al più presto alle idee della riforma.

Per la prima volta la scuola non è stata in grado di dare risposte chiare, se non certe, ai genitori  chiamati a scegliere un modello scolastico vuoto (gennaio 2004) in attesa dell’approvazione dei necessari decreti.

Solo la professionalità dei docenti e la stima guadagnata da insegnanti e dirigenti nella quotidiana gestione della scuola, hanno evitato che venisse minata a fondo la fiducia dei cittadini nei confronti della scuola pubblica.

La distanza tra le affermazioni di principio e le condizioni poste alle scuole soprattutto in relazione alle risorse umane, ha generato malcontento tra i genitori: valga per tutti l’esempio dell’anticipo per la scuola dell’infanzia, sbandierato dagli organi di propaganda del Ministro, nei fatti reso impossibile dalla mancanza di spazi e di organico docenti.

 

Approvato il DM 59, per la scuola dell’infanzia e per la scuola elementare, la situazione è parsa delinearsi in modo più chiaro; la discussione all’interno della scuola in cui opero, una direzione didattica, è uscita dal generico.

Compito del dirigente è divenuto quello di indirizzare il collegio, attraverso l’analisi della normativa e gli strumenti offerti dall’autonomia, verso scelte condivise che, valorizzando le esperienze in atto, introducesse nuovi elementi di qualità, nel rispetto dei vincoli normativi.

L’eccessiva prescrittività delle Indicazioni Nazionali (ben 634 gli obiettivi specifici inderogabili), soffoca l’autonomia progettuale.

Non è facile, tuttavia, trovare l’energia nel collegio perchè i docenti si riapproprino degli spazi che l’autonomia attribuisce alle scuole in relazione all’organizzazione didattica. Il fatto che la maggior parte dei docenti non si riconosca nei nuovi indirizzi della riforma, avendo per anni investito in diverse ipotesi pedagogiche, non comporta immediatamente che si attivino per approfondire le proprie ragioni e tradurle in proposte didattiche originali.

Lo scampato pericolo circa l’istituzione dal prossimo anno scolastico della figura del tutor, così come la sostanziale conferma dell’organico docenti, sembra aver tranquillizzato i più.

Il rischio che può correre la scuola è quello, non nuovo peraltro, che molti docenti, gattopardescamente, cambino tutto per non cambiare nulla.

Se non compete al ministro dare indicazioni sul modello organizzativo, compete alla scuola definire le modalità attraverso le quali attivare il coordinamento didattico, l’accompagnamento pedagogico, la relazione con la famiglia.

L’aumentata eterogeneità delle classi, determinata anche dall’anticipo, sollecita una attenta riflessione sugli elementi di flessibilità didattica: garantire una reale individualizzazione dei percorsi formativi (continuo a preferire individualizzazione a personalizzazione) significa approfondire l’analisi dei processi di apprendimento e lo studio di metodologie didattiche funzionali alle diverse tipologie di allievi.

L’insistenza sulle attività di laboratorio presente nella riforma, fatta salva l’unità della classe, può indurre i docenti a ripensare il proprio modo di insegnare, facendo dell’allievo un protagonista attivo del proprio processo di crescita e di apprendimento.

 

Ritengo quindi importante incentivare la partecipazione alla formazione avviata dal DM 61 (informatica, inglese, nuovi processi formativi), in quanto una conoscenza più approfondita della legge è un passo, oltre che doveroso, utile per scuotere il collegio da un improduttivo torpore.

Ad oggi gli unici aspetti della riforma sui quali si è avviata una formazione di qualche interesse, riguardano l’inglese e l’informatica, peraltro già da anni oggetto di qualificata e diffusa pratica didattica nelle scuole italiane.

 

 

1] Dirigente scolastico, Opera - MI