Parere del CNPI sulle Indicazioni nazionali
Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca Segreteria del Consiglio Nazionale Pubblica Istruzione
Prot. n. 11674 Roma, 15 luglio 2004
All’On.le MINISTRO - S E D E
Adunanza del 15 luglio 2004IL CONSIGLIO NAZIONALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
E S P R I M E Il proprio parere nei seguenti termini: Il presente contributo si colloca temporalmente tra la avvenuta formalizzazione del Decreto Legislativo 19 febbraio 2004, n. 59 (“Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53”) e l’emanazione del Regolamento ex art. 7 della legge n. 53/2003 in relazione al quale il Ministro ha dichiarato che richiederà il formale parere al Consiglio.
Al riguardo, a parere del Consiglio, il contributo dello stesso dovrà essere reso non solo ai sensi dell’art. 7 della legge 53/2003, ma anche con riferimento al DPR 275/99 (“Regolamento recante norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, ai sensi dell’art. 21, della legge 15 marzo 1997, n. 59”) ai sensi dell’art. 8 (“definizione dei curricoli”) che al comma 1 prevede “Il Ministro della pubblica istruzione, previo parere delle competenti Commissioni parlamentari sulle linee e sugli indirizzi generali, definisce a norma dell’art. 205 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, sentito il Consiglio nazionale della pubblica istruzione .........”
Il CNPI, in continuità e coerenza con le precedenti pronunce, in particolare si richiama quella di propria iniziativa formulata nella seduta del 17 dicembre 2003, ha attivato i competenti Comitati Orizzontali (infanzia, elementare e media) che hanno formulato puntuali osservazioni e contributi.
Detti documenti, integrati dalla presente premessa, fatti propri dal CNPI, costituiscono parte integrante della pronuncia di contributo in relazione all’oggetto.
Il CNPI auspica che il presente documento sia tenuto nel debito conto dal Ministro - Presidente non solo nell’auspicata riformulazione delle “indicazioni nazionali” in sede di predisposizione del regolamento, ma anche per apportare modifiche, correttivi e integrazioni nella attuale fase transitoria avvalendosi di quanto previsto all’art. 1, comma 4, della legge 53/2003 che recita “ulteriori disposizioni, correttive e integrative dei decreti legislativi di cui al presente articolo e all’articolo 4, possono essere adottate, con il rispetto dei medesimi criteri e principi direttivi e con le stesse procedure, entro diciotto mesi dalla data della loro entrata in vigore”; nel caso del Decreto Legislativo 59/2004, quindi, a partire dal 3 marzo, primo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
Il CNPI auspica, altresì, che il Ministro recepisca e colga gli elementi più rilevanti del dibattito in atto e, in particolare, le osservazioni e le richieste di modifica e/o integrazione che nasceranno dalla “scuola reale” in sede di prima applicazione complessiva del provvedimento. In relazione agli elementi di più rilevante criticità, si auspica che venga utilizzato con tempestività il disposto citato dell’art 1 - comma 4 della legge 53/2003 in modo da poter disporre degli adeguamenti necessari già a partire dall’anno scolastico 2005/2006.
Il CNPI rimane in attesa della documentazione che l’amministrazione si era impegnata a trasmettere, con particolare riferimento ai contributi richiesti alle associazioni disciplinari accreditate, in modo da poterli tenere in debito conto sia in sede di predisposizione di eventuali documenti del Consiglio che entrassero nel merito dello specifico disciplinare sia in sede di stesura del futuro parere formale in relazione al regolamento.
Il CNPI evidenzia, inoltre, la oggettiva difficoltà di esprimere contributi e/o pareri in assenza di un quadro complessivo e organico dei provvedimenti attuativi. In particolare ci si riferisce, per quanto attiene il tema in oggetto, all’articolo 7 - lett. b) e c) , all’attuazione dell’art. 5 e alla ridefinizione delle classi di concorso; al riguardo si evidenzia che sono stati previsti nuovi “insegnamenti” senza individuare contestualmente le classi di concorso di riferimento.
In prima istanza il COSMAT ritiene necessario “ripuntualizzare” in maniera esplicita come questo contributo sia teso ad agevolare, come richiesto dal Ministro, la formulazione del previsto Regolamento ai sensi dell’art.7 della L.53/2003, per ”la individuazione del nucleo essenziale dei piani di studio scolastici per la quota nazionale relativamente agli obiettivi specifici di apprendimento, alle discipline e alle attività costituenti la quota nazionale dei piani di studio, agli orari, ai limiti di flessibilità interni nell'organizzazione delle discipline”, la cui bozza di Regolamento dovrà essere sottoposta, ai sensi dell’art.8 D.P.R. 275/99, al parere del C.N.P.I..
Vale altresì la pena ricordare che le materie da regolamentare ai sensi dell’art.7 della L.53 sono, anche se in forma leggermente diversa, indicate nell’art. 8 del DPR 275/99.
Tali considerazioni inducono il COSMAT a ritenere che la scelta del Ministro di allegare le Indicazioni Nazionali al Decreto Legislativo 59/2004 quale assetto pedagogico, didattico e organizzativo di riferimento da adottare in “via transitoria”, non prevista dalla Legge 53/2003, “fino all’emanazione delle norme regolamentari di cui all’art.8 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275 (cfr. D.L.vo 59/2004 art.12 comma2)”, costituisca un’evidente forzatura della normativa vigente e -fatto non scondario- risulti elemento di confusione per le scuole. Tali considerazioni fanno ravvisare al COSMAT l’opportunità di una sospensione delle Indicazioni, in attesa delle norme regolamentari previste dall’art.7 della Legge 53/2003. Quando sopra esplicitato va opportunamente letto alla luce della modifica del Titolo V della Costituzione, che vede l’Autonomia Scolastica assumere valenza costituzionale. Il Costituente, infatti, nell’individuare le materie su cui le Regioni hanno competenza legislativa concorrente (art. 117 comma 3 della Costituzione), inserisce l’inciso: “fatta salva l’autonomia scolastica”. Risulta indispensabile richiamare l’attenzione sullo stretto rapporto tra le competenze dello Stato (Parlamento e Governo), le competenze delle Istituzioni scolastiche autonome e il coinvolgimento del CNPI (espressione del mondo della Scuola, dell’Università e più in generale dei soggetti responsabili della realizzazione dell’offerta formativa e/o interessati ai suoi esiti), nel processo decisionale che porta alla definizione delle materie previste dall’art. 8 del D.P.R. 275/99, analoghe a quelle indicate nell’art. 7 della legge 53/2003. Ciò premesso, e in coerenza con quanto espresso nei precedenti pareri del 11 aprile 2002, 26 giugno 2003, 18 dicembre 2003, il COSMAT intendendo, ancora una volta, contribuire a far crescere la scuola in qualità, ritiene indispensabile che il futuro Regolamento valorizzi le esperienze significative della professionalità docente in tutte le sue articolazioni; sostenga in continuità con il processo di sviluppo che la scuola dell’infanzia ha capitalizzato in questi anni, quel prezioso patrimonio culturale acquisito e che non può essere disperso.
Il COSMAT manifesta preoccupazione riguardo al fatto che, la Commissione che ha prodotto le Indicazioni, non è mai stata ufficializzata, tanto da rendere difficile l’interlocuzione con la stessa del mondo della scuola, della cultura e dei soggetti comunque interessati.
Il metodo adoperato fa registrare una discontinuità negativa rispetto al come si era proceduto, in situazioni analoghe, allorché il Ministro si accingeva ad intervenire sui Programmi nazionali – oggi Indicazioni Nazionali. Si ricorda positivamente come le Commissioni incaricate, di volta in volta con modalità differenziate, si assicurassero il contributo del mondo della scuola e della cultura.
La mancanza di questo coinvolgimento ha fatto sì che le Indicazioni Nazionali dei piani personalizzati, delle attività educative nelle scuole dell’infanzia, non solo non rappresentano, una spinta propulsiva, ma non raccolgono neppure le pregresse e molto significative esperienze della scuola militante, creando quindi una crasi con il principio della Continuità. Principio sulla base del quale, a partire dagli Orientamenti del 69, passando per gli Orientamenti del 91, a seguire con i progetti di Sperimentazioni Nazionali Ascanio e Alice e attraverso la Consultazione Nazionale “Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia“ si è creata, sviluppata e consolidata quella cultura dell’infanzia e della sua scuola che vede l’Italia punto di riferimento per la qualità espressa nell’educazione dei bambini da tre a sei anni.
Di conseguenza il COSMAT non intende muoversi nell’ottica di produrre emendamenti al testo delle Indicazioni, ma vuol richiamare l’attenzione, in continuità con quanto già espresso nei succitati pareri, sulla identità pedagogica, sulla specificità educativa, sui modelli organizzativi di questa scuola e di ciò che dovrà essere, rispetto a queste ottiche, ulteriormente sviluppato.
Identità pedagogica, specificità educativa, modelli organizzativi Entrando nel merito dei “nodi cruciali” si rileva che nelle Indicazioni Nazionali dei piani personalizzati delle attività educative nelle Scuole dell’Infanzia, è evidenziato il ruolo che questa scuola assume rispetto alla maturazione complessiva dei bambini. Benché tale riconoscimento risulti sia nel testo del Decreto Legislativo 59 - si prevede anche per la scuola dell’infanzia la finalità di realizzare il profilo educativo - , sia nella Circolare 29 /2004, questo Comitato stigmatizza che quanto previsto dal Decreto al momento non risulta realizzato.
Il profilo educativo, anche in continuità con gli Orientamenti del 91, dovrà intendersi come riferimento culturale per la scuola chiamata ad assicurare a tutti i bambini “avvertibili e significativi traguardi di sviluppo”.
La prima realizzazione , infatti, del diritto all’educazione inizia dalla scuola dell’infanzia. A tal proposito nell’intento che tutti i bambini possano essere garantiti nell’usufruire di ciò, è necessario che la scuola dell’infanzia sia generalizzata su tutto il territorio nazionale.
Solo la generalizzazione infatti può garantire quanto previsto dall’art. 3 della Costituzione. Risulata però che essa sia ancora genericamente prevista nel piano programmatico e si è in attesa di specifico decreto (vedi decreto legislativo 59/2004, art.2, comma1)e le risorse necessarie non sono ancora debitamente quantificate.
Il COSMAT evidenzia altresì che l’espansione quantitativa del servizio educativo, sino a raggiungere la totale generalizzazione, va comunque accompagnata dalla diffusione di standard qualitativi, come presupposto ed incentivo alla necessaria integrazione dei servizi a diversa gestione.
Gli standard vanno intesi come “sistema di garanzie condivise e pubbliche” atti a sviluppare qualità educativa a cui ispirare i comportamenti amministrativi, di gestione delle risorse, di investimento. Ciò richiede l’adozione di un provvedimento nazionale circa gli standard di qualità che corrispondano ai livelli essenziali delle prestazioni così come previsto all’art.8 del D.P.R.275/99, per le scuole del sistema nazionale di istruzione, dunque anche per la scuola dell’infanzia.
La definizione degli standard risulta altresì punto di riferimento irrinunciabile, anche per poter rendere maggiormente funzionali i modelli organizzativi. L’intreccio tra Riforma degli ordinamenti, che per la scuola dell’infanzia si era già reso indispensabile dall’emanazione degli Orientamenti 91, e Regolamento dell’autonomia, implica certamente una strutturazione più accorta e flessibile dei modelli organizzativi , superando alcune rigidità tipiche dell’attuale funzionamento della scuola dell’infanzia statale. Tale strutturazione, proprio per salvaguardare la specificità e l’identità di questa scuola, non può però esimersi dal tener in corretto equilibrio i diritti dei bambini, i diritti delle famiglie, i diritti degli operatori.
Questi ultimi, è bene ricordare, devono essere regolamentati da accordi contrattuali.
I punti di criticità degli aspetti organizzativi che devono essere affrontati, come già ampiamente segnalato nella Consultazione attivata nel ’99 dal MIUR e richiamati come elementi ineludibili già nel parere reso dal CNPI relativo al D.M.100/2002, sono:
Nei Vincoli Organizzativi inseriti nelle indicazioni Nazionali non vengono descritti i parametri e le condizioni per affrontare in termini di risoluzione qualitativa soddisfacente gli standard di sviluppo e funzionamento del servizio offerto all’utenza della scuola dell’infanzia.
Si fa notare che sia nella determinazione del tempo minimo (875 ore) sia nel tempo massimo (1700 ore) non viene contemplato il tempo della contemporaneità dei docenti . Si ricorda che da sempre “il tempo della compresenza” è stato riconosciuto come elemento che incide sulla qualità del progetto educativo. Inoltre il tempo di funzionamento proposto esclude completamente la possibilità di distinguere tra il tempo del curricolo da garantire a tutti e quello previsto per l’eventuale ampliamento dell’offerta formativa da inserire nel POF.
Per quanto riguarda il profilo del docente di sezione anche con funzioni tutoriali declinato nelle Indicazioni, il Comitato ritiene che queste funzioni, costituiscono la pienezza della funzione docente e sono già oggi espletate collegialmente dalle insegnanti. Comunque ogni modifica del rapporto di lavoro e del profilo professionale si ritiene che debba essere regolamentata contrattualmente e quindi è da ritenersi indifferibile l’apertura del tavolo negoziale come previsto dall’art. 43 del CCNL.
Stessa considerazione vale per il coordinatore dell’equipe pedagogica, che così come viene proposto nelle Indicazioni, non vorremmo fosse vissuta come la vecchia figura della “maestra aggiunta”!
A tal proposito si ritiene che vi siano esperienze significative e consolidate sviluppatesi nella scuola dell’infanzia comunale, alle quali occorre far riferimento per sviluppare un positivo coordinamento pedagogico, anche nell’ottica del sistema scolastico integrato.
Il Comitato, nel richiamare quanto detto nel precedente parere del 18 dicembre 2003 riferendosi in particolare alla valorizzazione e allo sviluppo di una professionalità docente qualificata, ritiene che essa sia ancora da sostenere. Ciò si evince anche dagli esiti della Consultazione “Linee di sviluppo per la scuola dell’infanzia” promossa dal MIUR nel 1999 e attuata in tutte le scuole dell’infanzia e alla quale hanno aderito il 93% delle scuole statali e paritarie. Emerge infatti da quella Consultazione un’immagine della scuola dell’infanzia articolata e caratterizzata da molti aspetti strettamente connessi all’azione professionale quali: la progettazione, l’osservazione, la documentazione, la valutazione, il coordinamento del team, la capacità di organizzare l’ambiente di apprendimento. Sono queste le competenze professionali dalle quali partire per riannodare il legame con la scuola militante che ha sempre dimostrato di apprezzare la valorizzazione del proprio percorso di crescita e di essere disponibile a significativi cambiamenti.
Per queste ragioni esse devono divenire elemento di “contaminazione” diffusa tra tutti gli insegnanti.
Va infatti ricordato che la scuola dell’infanzia ha una storia molto significativa, nello stesso tempo è una scuola molto variegata: vi sono ancora sacche di depressione, ma anche molte realtà di provata eccellenza, connotate in modo molto diverso anche dal punto di vista organizzativo e gestionale: statale, degli enti locali, privata, paritaria.
In questi ultimi anni, la scuola dell’infanzia, ha avuto un grande impulso, specie dagli Orientamenti del ‘91 che rimangono un punto di riferimento importante ed essa viene individuata come il primo momento di introduzione nel mondo dei sistemi simbolici, cui possono accedere tutti i bambini dai tre ai sei anni, ma, con preoccupazione si registra che tutto questo non trova oggi riscontro nelle Indicazioni Nazionali.
In esse, infatti, l’idea di apprendimento, l’idea di contesto educativo, l’idea di condizioni organizzative, l’idea di professionalità docente risultano depauperate del principio della processualità curricolare. Il COSMAT, ritenedo che l’obiettivo strategico per una sempre più elevata qualità della scuola dell’infanzia risulta essere la valorizzazione della professionalità docente ( la quale non può essere affidata solamente alla formazione iniziale, ma deve, invece, poter contare su una formazione in servizio funzionale allo sviluppo complessivo della cultura nella scuola dell’infanzia), indica come punto di riferimento un nuovo modo di fare formazione in servizio, basato sulla riflessione, sull’analisi delle esperienze, sul loro monitoraggio e documentazione al fine di evidenziarne “le buone pratiche” e generalizzarle. Tale metodologia è stata introdotta istituzionalmente nella scuola dell’infanzia attraverso la sperimentazione del progetto nazionale ALICE che, ampiamente condiviso e scientificamente monitorato, resta un’esperienza molto significativa. E’ anche grazie all’idea di formazione veicolata nel progetto ALICE che oggi alcune scuole dell’infanzia sono un vero e proprio laboratorio di ricerca e formazione, indispensabile per una puntuale ridefinizione delle competenze, dei ruoli, della formazione dei diversi operatori. Considerato che la legge 53/2003 propone una laurea specialistica quinquennale per i docenti, in tal senso sarà necessario tener conto di quale profilo professionale occorre alla scuola dell’infanzia e quale formazione iniziale sia necessaria assicurare. Il COSMAT nel ribadire che la qualità’ della scuola ha una leva fondamentale nella professionalità dei docenti, auspica che la formazione iniziale avvenga, nel rispetto e nella valorizzazione delle specificità, salvaguardando elementi di unitarietà.
Individualizzazione e personalizzazione Continuando nell’analisi del documento “Indicazioni nazionali….”, relativamente alla personalizzazione dei piani di studio, si ricorda che già la legge 517/77 introdusse il principio della individualizzazione dell’insegnamento secondo il quale la scuola segue i processi di apprendimento-insegnamento tenendo presenti le specifiche caratteristiche di ciascuno, garantendo a tutti il diritto qualitativo all’istruzione. Ciò anche in riferimento ai soggetti con handicap o in situazione di svantaggio. Tali principi sono stati ulteriormente ribaditi e approfonditi negli Orientamenti 91 che hanno indicato i riferimenti affinchè la scuola dell'infanzia fosse una scuola di tutti e di ciascuno.
L'individualizzazione, sostenuta negli Orientamenti, prevede la diversificazione dei percorsi di apprendimento-insegnamento e consente, attraverso l’uso di strategie didattiche differenziate, a tutti i bambini di raggiungere il massimo delle loro potenzialità e le competenze fondamentali previste dal curricolo.
La personalizzazione che viene descritta nelle Indicazioni Nazionali privilegia comunque l’utilizzo di strategie didattiche differenziate, ma le finalizza nel garantire ad ogni bambino una propria forma di eccellenza cognitiva .
L’enfasi posta dal documento sulla “persona” distoglie l’attenzione da come nel tempo si era posto il rapporto tra i due termini:”individualizzazione” e “personalizzazione”. Entrambi sono legati al contesto-classe-sezione, ma le modalità e gli scopi cui rispondono sono diversi.
In altre parole l’individualizzazione ha lo scopo di far sì che certi traguardi siano raggiunti da tutti, la personalizzazione è finalizzata a far sì che ognuno sviluppi propri personali talenti; nella prima gli obiettivi sono comuni per tutti, nella seconda l’obiettivo è diverso per ciascuno.
L’individualizzazione risponde alla preoccupazione di una compensazione degli interventi finalizzata a garantire a tutti esiti formativi e assume il principio che non tutti i soggetti possono seguire lo stesso ritmo e conquistare nello stesso tempo e allo stesso livello di approfondimento gli apprendimenti ed i concetti. Occorre quindi garantire un percorso di sviluppo scandito in una serie più o meno minuziosa di fasi e tappe, con minori passaggi per alcuni, con molti più passaggi-e molto più dettagliati- per altri.
La personalizzazione risponde alla ricerca del ‘metodo di lavoro’ che più si adatta alle propensioni, alle strategie, alle modalità di elaborazione, agli interessi profondi dei singoli senza preoccuparsi di garantire a “chi ha di meno” il “di più” necessario per assicurare pari opportunità formative .
Senza la consapevolezza del rapporto di implicazione fra diversità e uguaglianza e dell’uguaglianza nella diversità come finalità della scuola, si rischia di trasformarla in un’organizzazione di gruppi stabilmente distinti per interessi, livello di sviluppo, attività, nella direzione della precoce selezione e individuazione di scelte per la vita.
Alla luce di queste considerazioni non si condivide il fatto che, nelle Indicazioni Nazionali, la personalizzazione venga presentata come una risposta data dalla scuola all’individuo. Ciò comporterebbe un insegnamento personalizzato, con una diversificazione dei percorsi e dei risultati e la relativa costruzione di laboratori di recupero e sviluppo, i quali farebbero pensare ad un ritorno alle sezioni speciali.
Se a questo si aggiunge la prescrittività desumibile sia dal titolo “Indicazioni Nazionali per i piani di studio personalizzati” e sia in relazione ai Piani personalizzati, si ravvisa il rischio che si crei una scuola come servizio “alla persona-individuo”, anziché come progetto formativo che, anche attraverso l’integrazione, garantisca a tutti e a ciascuno pari opportunità come previsto dall’art.3 della Costituzione e valorizzato negli Orientamenti.
Il COSMAT ribadisce che ogni processo di sviluppo e innovazione realmente riformatore non debba disperdere il patrimonio culturale delle proprie radici. E’ dunque essenziale partire dalla propria storia per capire dove si sta andando e quale percorso progettuale si intenda attivare, quindi a partire dalla scuola dell’infanzia occorre che vi sia chiarezza di definizione e di contenuti tra i concetti di individualizzazione e di personalizzazione, perché è proprio in questa scuola che si pongono le basi per la formazione della personalità.
Orientamenti 91 e Indicazioni Nazionali Dal confronto tra gli Orientamenti ‘91 e le Indicazioni Nazionali il Comitato evidenzia che:
Più in particolare nelle Indicazioni relative alla scuola dell’infanzia appare evidente un’opera generalizzata di cattura, uso e trasformazione delle espressioni più caratteristiche degli Orientamenti del ’91, ed una loro piegatura ad una logica che sembra però assai diversa rispetto a quella che viene annunciata di continuo lungo le pagine dei vari documenti.
Nel testo viene abbandonata l’idea di ambiente funzionale all’apprendimento, accantonato il contesto, si segnala la centralità del bambino, ma si tratta sempre di un bambino come essenza individuale, senza tener conto che “il bambino” così immaginato non c’è e non cresce fuori dalla relazione, dal contesto, dall’interazione, dal processo di incontro con gli altri e il mondo.
Appare non casuale che, tra le tantissime espressioni riprese alla lettera dal testo del ’91, sia stata tolta, nella premessa, proprio quella che fa riferimento alla ” visione del bambino come soggetto attivo, impegnato in un processo di continua interazione con i pari, gli adulti, la cultura ”
L’incontro dei bambini con i sistemi simbolici e culturali declinato negli Orientamenti del ’91, nei sei Campi di esperienza, segue un percorso che, partendo dall’osservazione delle pratiche spontanee (esplorative, relazionali, cognitive, motorie, comunicative), attiva conoscenze e abilità attraverso la predisposizione di situazioni come sostegno ed orientamento all’agire, al sentire, al pensare del bambino, sviluppa le competenze, sostiene la maturazione dell’identità, promuove la conquista dell’autonomia. Il reale e quotidiano processo di incontro tra bambini, tra bambini e ambiente, tra bambini e mondo delle conoscenze (es: i libri, gli ambienti più formalizzati) è il luogo di scoperta, di messa a fuoco e di sviluppo delle competenze.
Nelle Indicazioni nazionali lo schema è un altro: - l’individuazione degli obiettivi – i processi didattici che attivano gli obiettivi.
In poche parole: negli Orientamenti si manifesta un’attenzione al processo e al contesto, alle pratiche da prefigurare in quanto luoghi reali di sviluppo della relazione e degli apprendimenti, nelle Indicazioni si segnalano in continuazione gli obiettivi e al loro conseguimento si orienta il contesto, la relazione, l’ambiente.
Sfugge quindi la ricchezza cognitiva e sociale che connota il reale processo di conoscenza, e si cerca poi di recuperarla sul piano metodologico e didattico, tralasciando completamente il ruolo che la motivazione-bisogno di apprendere, intrinseca in ogni soggetto, assume nel percorso di conoscenza.
Si ritrovano nelle Indicazioni numerose espressioni già presenti negli Orientamenti, molte considerazioni condivisibili e senza dubbio significative ed importanti, difficilmente però strategiche, perché si tratta sempre di pensieri catturati ed inseriti in una diversa prospettiva.
Così, per esempio, ne “I discorsi e le parole”, la prima esplorazione della lingua scritta non viene colta come pratica spontanea che il bambino realizza in un contesto comunicativo stimolante, e quindi come situazione da cui partire per seguirne e renderne consapevole lo sviluppo, quanto come frutto di un’iniziativa diretta dell’insegnante. Il rischio di un anticipazionismo è molto presente.
Le esperienze educative quotidiane dei bambini non sembrano più essere i luoghi dove avvengono pratiche sociali e cognitive, situazioni all’interno delle quali cogliere i processi per sviluppare competenze, bensì gli obiettivi didattici.
E’ così che il gioco, che negli Orientamenti è luogo principe all’interno del quale il bambino riconosce se stesso nell’interazione con i pari e con gli adulti, incontra il mondo e sviluppa strumenti di ri-conoscimento, nelle Indicazioni diventa un obiettivo didattico, strumento di “cattura di attenzione” piuttosto che esperienza di vita.
In questa logica lineare e progressiva degli obiettivi di conoscenza, sono le abilità (connesse al parlare, all’ascoltare e ad una prima esplorazione della scrittura) a porre le premesse, per esempio, per un rapporto positivo con i libri; e non invece, come si diceva negli Orientamenti, la familiarizzazione con i libri a favorire lo sviluppo dell’interazione tra lingua orale e scritta.
Per attenersi ai testi, l’espressione presente negli Orientamenti del ’91: “la familiarizzazione con i libri favorisce l’interazione tra lingua orale e scritta” è stata sostituita, non casualmente, con “lo sviluppo delle abilità linguistiche pone le premesse per un rapporto positivo con i libri“. Così, per quanto riguarda lo “Spazio, ordine e misura”, si dice che “aver acquisito le prime abilità di raggruppamento e calcolo aiuta a sviluppare le capacità di porre in relazione”.
Appare chiaro che la preoccupazione maggiore che si rileva nelle Indicazioni è quella di fissare ciò che si deve sapere e saper fare, al di là del processo di costruzione di questo sapere e saper fare.
Nella sezione riguardante “Il sé e l’altro” quelle che nel testo del ’91 erano proposte come articolazioni del campo di esperienza: lo sviluppo affettivo, sociale, etico e di un corretto “atteggiamento nei confronti della religiosità e delle religioni e delle scelte dei non credenti…”, qui diventano articolazioni di “piste didattiche”. Questo trasferimento di pensieri ed espressioni riprese quasi letteralmente, ma sotto altro titolo rappresenta forse la “cifra” della diversità tra la cultura educativa veicolata dagli Orientamenti del ’91 e quella presentata nelle Indicazioni.
Non deve sfuggire che nelle note organizzative, riguardanti la costituzione dei gruppi di bambini, si prevede la formazione di “gruppi di livello”. Questa ipotesi organizzativa, unitamente al principio della personalizzazione dei piani di studio, cambia la specifica connotazione propria della scuola dell’infanzia che fino ad oggi ha utilizzato il criterio sia della eterogeneità sia della omogeneità nella composizione delle sezioni, in modo funzionale al progetto educativo attuando così coerenza tra i dichiarati principi di solidarietà, cooperazione, facilitazione di apprendimenti, interazione relazionale e la loro realizzazione nella pratica quotidiana.
Portfolio delle competenze individuali Relativamente al Portfolio delle competenze individuali ( negli Orientamenti 91 e nel Decreto 59, molto più opportunamente si parla di documentazione), che dovrebbe essere uno strumento utile per il docente e per il bambino, si ravvisa il pericolo che diventi un documento burocratico di aggravio per i docenti, di collusione nei rapporti genitori e docenti e di delineazione precoce di tutto il percorso scolastico, piuttosto che uno strumento utile a valorizzare le esperienze di osservazione, documentazione e valutazione per il controllo della qualità di quegli “avvertibili traguardi di sviluppo” che la scuola dell’infanzia è chiamata a garantire a tutti i bambini.
Il Portfolio risulta, a parere del COSMAT, essere uno strumento che ha in sé anche le potenzialità per realizzare costruttivamente il principio della continuità. In questa ottica il lavoro professionale e culturale che sapranno svolgere gli insegnanti ed i dirigenti scolastici sarà determinante per impostare un portfolio significativo per il bambino e rappresentativo del valore della specificità educativa propria della scuola dell’infanzia.
A tal fine, il COSMAT ritiene che, per valorizzare le migliori esperienze maturate in termini di “osservazione, documentazione, autovalutazione e riprogettazione per il miglioramento” e la continuità orizzontale e verticale, sia indispensabile far leva su una mirata formazione dei docenti . Solo se sostenuti in un percorso di formazione in servizio teso a valorizzare le migliori esperienze già in atto e ad arricchire le competenze professionali di ciascuno, sarà possibile evitare che il Portfolio diventi un banale e inutile documento burocratico.
Il CNPI, con la pronuncia del 17 Dicembre 2003 ha tempestivamente definito un articolato contributo sull’allora schema di Decreto Legislativo e sulle Indicazioni Nazionali allegate. Tale documento, sul quale oggi viene richiesto al CNPI un ulteriore contributo in relazione alla definizione del Regolamento di cui all’art.7 della Legge n. 53/2003, non ha avuto, dopo la citata pronuncia e il dibattito che si è sviluppato nel mondo della scuola, modifiche e/o integrazioni.
Il COSE, per quanto di sua competenza, ritiene quindi opportuno richiamare alcuni aspetti fondamentali della precedente pronuncia, integrati con ulteriori osservazioni, nella ferma convinzione, che per l’amministrazione eludere o sottovalutare i problemi e gli orientamenti legati alle migliori esperienze pedagogiche, didattiche e metodologiche, con precisi richiami al principio della continuità, del curricolo, della modularità, della differenziazione ed integrazione, esponga l’attuale processo di riforma ad evidenti deficit di consenso e rischi di insuccesso.
In premessa il COSE sottolinea che nella definizione dello specifico Regolamento di cui all’art.7 della legge 53/2003, occorre tenere presente che le stesse materie indicate dall’art.17, comma 2, della legge 23 Agosto 1988, n.400, richiamata dalla citata legge 53/2003, sono indicate anche nell’art.8 del DPR 275/99. Il previsto Regolamento dovrà quindi definire con chiarezza lo spazio giuridico e operativo dell’autonomia scolastica, evitando conflitti e sovrapposizioni di competenze.
Con la modifica del titolo v della Costituzione l’autonomia scolastica ha assunto valenza costituzionale, dal momento che il Costituente, nell’individuare le materie su cui le Regioni hanno competenza legislativa concorrente, inserisce uno specifico riferimento alla salvaguardia dell’autonomia scolastica. Per tali ragioni il COSE ritiene inoltre che, al di là della volontà espressa dal Ministro, risulti giuridicamente evidente la necessità del coinvolgimento del CNPI nel processo di definizione dei regolamenti di cui all’art.7 della Legge 53/2003, attraverso un parere formale sugli schemi di regolamento predisposti.
Nel merito delle Indicazioni Nazionali il CNPI ha individuato nella pronuncia del 18 Dicembre alcuni nuclei problematici di particolare rilevanza, per i quali il COSE non può che confermare la necessità di approfondimenti, chiarimenti e di significative modifiche e integrazioni. Risulta certamente positivo e condiviso per il COSE il costante richiamo all’autonomia e responsabilità della scuola e dei docenti nel progettare percorsi didattici nei quali gli obiettivi specifici di apprendimento rappresentano la mappa per formulare gli obiettivi formativi.
Il concetto di livelli essenziali di prestazioni da parte delle istituzioni scolastiche, che comprendono una vasta gamma di obiettivi formativi e specifici di apprendimento, genera, però, non poco disorientamento rispetto alla mancata definizione dei livelli essenziali di conoscenze e competenze che ciascun alunno deve raggiungere nei vari passaggi intermedi ed al termine dei cicli, anche ai fini valutativi. Il COSE auspica quindi un intervento specifico in ordine alla definizione dei livelli essenziali di competenza terminale, lasciando la determinazione dei percorsi alla progettazione ed alla pratica educativa e didattica delle istituzioni scolastiche. E’ importante su questo aspetto un chiarimento che possa indicare una relazione coerente e didatticamente funzionale tra la considerazione presente nelle Indicazioni che “…gli obbiettivi specifici di apprendimento, non hanno, perciò, alcuna pretesa validità per i casi singoli, siano essi le singole istituzioni scolastiche o a maggior ragione, i singoli allievi” e la necessità di definire i risultati attesi con l’indicazione di competenze verificabili in contesti diversi.
L’individualizzazione dell’insegnamento, sin dalla Legge 517/77 ha rappresentato un tratto costitutivo dell’operare dei docenti nell’attività educativa e didattica, particolarmente nella cultura e nella pratica della scuola primaria. A parere del COSE è importante stabilire se il riferimento alla personalizzazione dei piani di studio rappresenti un coerente sviluppo di tale principio regolativo dell’azione educativa. Il ricorrente riferimento alla personalizzazione appare, piuttosto, come un mutamento di impianto culturale, con una tendenza ad una diversificazione strutturale dei percorsi degli alunni e dei risultati attesi che potrebbe favorire l’organizzazione per classi o gruppi di allievi differenziati per livelli di capacità. In tal senso si modifica profondamente la stessa identità pedagogica della scuola primaria, suscitando non poche perplessità e preoccupazioni, oltre ad un diffuso e fondato scetticismo sulla fattibilità di tali proposte nel concreto contesto scolastico. Non si tratta quindi, a parere del COSE, di operare un’astratta contrapposizione tra individualizzazione e personalizzazione, ma di sottolineare il carattere unitario del progetto formativo della scuola primaria, pur in presenza di una offerta formativa articolata e plurale nei contenuti, nelle attività, nelle metodologie, nell’organizzazione didattica, evitando in tal modo un approccio individualistico alla personalizzazione che esalta e propone la scelta fin dalla scuola primaria di percorsi differenziati, opzionali e facoltativi.
Il COSE non condivide il superamento della stessa idea di curricolo che, come è noto, rappresenta nelle sue diverse accezioni un riferimento costante nel dibattito educativo italiano ed europeo. L’idea di curricolo, che non a caso si sviluppa soprattutto nei sistemi formativi connotati da decentramento ed autonomia delle scuole, si è rafforzata nel nostro Paese con la normativa sull’autonomia scolastica e con il processo di modifica costituzionale del titolo V. Il Piano di Studi, invece, in mancanza di adeguata chiarificazione, sembra porsi in alternativa al “curricolo” in quanto poco flessibile e carente di attenzione ai contesti delle relazioni educative.
Anche l’elencazione degli obiettivi specifici correlati agli obiettivi formativi, suscita perplessità, al di là delle osservazioni che sono state rilevate in ordine a incongruenze nell’indicazione delle conoscenze ed abilità relative alle diverse aree disciplinari. Non si tratta anche in questo caso di contrapporre differenti approcci teorici. Il COSE evidenzia però perplessità sul superamento di un’idea pedagogica che, per quanto spesso ancora assimilata alla tradizionale idea di programma, presenta una forte potenzialità proprio nell’attuale assetto istituzionale della scuola, nel quale le istituzioni scolastiche nell’esercizio della propria autonomia progettuale, didattica, organizzativa e di sperimentazione sono chiamate a tradurre concretamente in percorsi (curricolo) di tipo sincronico e diacronico il nucleo essenziale dei saperi e delle competenze.
Problematica appare, inoltre, la scelta di formulare un dettagliato elenco di finalità, obiettivi, competenze strettamente legate ad una rigida articolazione dei bienni e monoenni del ciclo primario, prevista dalla Legge 53/2003.
L’introduzione del Portfolio delle competenze individuali viene definita nel testo delle Indicazioni come strumento che valorizza la funzione valutativa e orientativa, migliora le pratiche di insegnamento, stimola lo studente all’autovalutazione, corresponsabilizza i genitori nei processi educativi. Il COSE, pur favorevole se inteso in tal senso, all’introduzione di questo nuovo strumento rileva alcuni limiti:
Trattandosi poi di una novità vi è un ultimo aspetto da considerare: i docenti al momento attuale si trovano non solo a dover compilare il Portfolio ma anche a doverlo pensare e realizzare, visto che non esiste allo stato attuale uno strumento istituzionale neppure di tipo indicativo. Ciò se da un lato può sollecitare la ricerca e la sperimentazione dall’altro potrebbe creare nelle scuole incertezze e disorientamento.
Per quanto riguarda lo specifico ambito delle discipline il COSE auspica che i contributi già elaborati dalle Associazioni disciplinari costituiscano da parte del Ministro occasione di riflessione. Fra l’altro alcuni specifici rilievi sui contenuti disciplinari emersi da questo dibattito non hanno ancora trovato accoglimento nonostante la consolidata acquisizione nel dibattito scientifico e professionale.
Il COSE ritiene che debba essere riconsiderata la netta separazione tra il carattere primario e secondario con cui si definiscono i due segmenti del primo ciclo d’istruzione e recuperata la rilevanza formativa delle discipline anche nella scuola primaria. La scelta delle discipline, intese correttamente come organizzazioni dei saperi e contesti operativi e non come rigidi vincoli contenutistici, ha rappresentato, a partire dal dibattito sui programmi del 1985, un riferimento costante per la scuola primaria, sia sul piano pedagogico-didattico che per quanto riguarda lo sviluppo della professionalità docente. Una considerazione di tale aspetto è importante anche al fine di rilanciare il tema della continuità educativa tra scuola dell’infanzia, scuola primaria e scuola secondaria di primo grado. Una continuità che senza disconoscere le diverse identità formative, si definisce anche nella progressiva specificazione degli apprendimenti e dell’insegnamento disciplinare.
Per quanto riguarda gli aspetti relativi alla quantità e organizzazione del tempo scuola, alla introduzione di un docente con funzioni di tutor, il COSE conferma integralmente le osservazioni contenute nella pronuncia del CNPI del 18 Dicembre 2003 che hanno avuto riscontro nelle istituzioni scolastiche e parziale e transitorio accoglimento anche nella stessa Circolare Ministeriale n. 29 del 5 Marzo 2004.
Il COSE, nel considerare positiva la generalizzazione dell’alfabetizzazione della lingua inglese, evidenzia che la finalità dell’insegnamento di tale lingua nella scuola primaria non è solo quella di offrire agli alunni una attività di immediato utilizzo pratico o propedeutico, bensì di accompagnare gli stessi alla scoperta delle diversità, tra cui quella linguistica. Pur tenendo conto delle considerazioni di natura pedagogica, metodologica e didattica sull’insegnamento della lingua inglese che dovrebbe avvenire secondo un approccio unitario, senza una rigida e predefinita organizzazione oraria e con un utilizzo flessibile della “risorsa tempo”, il COSE auspica che il regolamento recepisca la necessità di un congruo tempo di insegnamento per la lingua inglese, fin dalla prima classe della scuola primaria.
In conclusione la fase di predisposizione dei regolamenti dovrebbe essere accompagnata, a parere del COSE, dalla effettiva disponibilità da parte del Ministro a una riformulazione dei documenti in oggetto che dia alla fase attuale, attraverso tempi distesi e strumenti adeguati, il senso e il carattere di un confronto vero con le idee, la storia e l’esperienza della scuola primaria.
Premessa
Il COSME intende, preliminarmente, richiamare alcune questioni di carattere generale da cui discendono le osservazioni sull’impianto culturale, didattico e organizzativo previsto dalle “ Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati per la scuola secondaria di primo grado”.
La scuola “media” nelle Indicazioni nazionali Il COSME già nella pronuncia del 17 dicembre 2003 aveva evidenziato come le Indicazioni nazionali, privilegiando la segmentazione del percorso e una eccessiva differenziazione nelle offerte formative e negli esiti formativi da garantire a tutti gli allievi, non fossero in continuità con la storia e la cultura della scuola “media”.
L’enfasi posta sul concetto di “piano di studi personalizzato”, senza un adeguato approfondimento del significato giuridico (oltre che pedagogico) di tale scelta, lascia in ombra il precetto costituzionale della uguaglianza delle opportunità e mette a rischio lo stesso valore legale del titolo di studio conseguito al termine del primo ciclo di istruzione.
Non convince la formulazione degli obiettivi generali del processo formativo, da cui discendono le scelte culturali e organizzative, poiché tali “obiettivi generali” cancellano gran parte dei principi e dei fini storicamente assegnati alla scuola secondaria di primo grado, a partire dalla fondamentale riforma del 1962.
Avere eliminato il compito di “garantire la formazione dell’uomo e del cittadino” o la finalità della scuola “media” come “scuola secondaria nell’ambito dell’istruzione obbligatoria”, non garantisce azioni in grado di affrontare e risolvere le delicate problematiche di una fascia d’età, in cui è decisivo che lo Stato investa risorse culturali e professionali per assicurare una piena cittadinanza culturale a tutti, in particolare a quella fascia di studenti su cui pesano i condizionamenti socioculturali.
Un esplicito richiamo agli articoli 3, 33, 34 della Costituzione può garantire, come già aveva evidenziato il COSME nella pronuncia del 17 dicembre 2003, la necessaria attenzione ai problemi identitari e di motivazione dei preadolescenti e la costruzione di tutte quelle azioni educative e didattiche in grado di rimuovere svantaggio, disagio e insuccesso scolastico, peraltro impossibili con una riduzione del tempo scuola.
La scuola secondaria di primo grado, disegnata dalle “Indicazioni nazionali”, è lontana dalla cultura costituzionale della scuola “media” unica nata con la legge 1859/62, poi rinforzata sul piano pedagogico e culturale dalle leggi 517 e 348 del ‘77 e dai connessi Programmi del ’79.
Siamo di fronte a un percorso triennale per la fascia d’età 11 – 14, all’interno del primo ciclo di istruzione, che condividiamo, ma che nella sua effettiva articolazione triennale non è. Infatti, il triennio della scuola secondaria di primo grado, organizzato nel modello 2+1, perde in unitarietà e non è per nulla coerente con l’idea di continuità propria della tradizione culturale della scuola di base, recentemente rinnovata con la ricerca sul curricolo verticale nella scuola tra i 3 e i 14 anni e particolarmente sviluppata negli istituti comprensivi che rappresentano quasi il 50% della scuola di base.
Un’articolazione del triennio stabilita “per legge” non solo incide sugli spazi di autonomia della scuola sul piano culturale e organizzativo, imponendo un modello prescrittivo, rigido e in contrasto con gli stessi principi di “personalizzazione” e di “diversificazione dei percorsi di insegnamento–apprendimento”, ma riduce il tempo per le scelte, accentuando così la canalizzazione precoce verso i successivi percorsi formativi.
In tale prospettiva, il terzo anno verrebbe ad assumere una equivoca funzione orientativa senza caratterizzarsi, invece, come un percorso di accompagnamento del preadolescente verso scelte autonome e consapevoli.
Il ruolo della scuola secondaria di primo grado, così delineato, diventerebbe propedeutico alla scelta fra “due sistemi” (quello dei Licei o quello dell’Istruzione e Formazione professionale), invertendo decisamente il percorso di inclusione sociale, assegnato storicamente a questo segmento del sistema, proprio in attuazione dei principi costituzionali richiamati in precedenza.
Il COSME, in base a queste considerazioni, esprime serie preoccupazioni per i destini della scuola “media”, caricata oltremisura di compiti formativi persino nelle scelte opzionali e facoltative delle famiglie e contemporaneamente indebolita nella sua funzione di garanzia, di uguaglianza e di tenuta dell’unitarietà del sistema nazionale di istruzione.
Questioni di metodo
Esprimiamo contrarietà sulle modalità di elaborazione delle “Indicazioni nazionali”.
Non è stata nominata, infatti, alcuna Commissione di lavoro pubblica e pluralista, come è sempre avvenuto nel passato: Programmi della scuola media (1979), Programmi (1985) e Ordinamenti (1990) della scuola elementare, Orientamenti educativi della scuola dell’infanzia (1991), Progetto Brocca della secondaria superiore(1991), Commissione sui saperi essenziali (1997), Commissione per la costruzione dei curricoli nella scuola di base (2001).
Tali Commissioni sono state tutte caratterizzate da una pluralità di orientamenti culturali, espressione del mondo della cultura, della ricerca didattica teorica e applicata e della scuola, ivi comprese le associazioni professionali e disciplinari degli insegnanti.
La scelta del Governo in merito alla elaborazione dei “Piani di studio personalizzati” non coinvolge il mondo della scuola e le sue rappresentanze - e ciò in evidente rottura con le elaborazioni didattiche e le esperienze più avanzate che la scuola ha realizzato negli ultimi anni - e impedisce quel processo di partecipazione e di condivisione essenziale per documenti culturali, che assumono un significato prescrittivo e pregnante per tutti gli operatori scolastici.
L’impianto culturale delle Indicazioni Il COSME rileva nell’impianto culturale delle Indicazioni l’assenza di alcuni assi portanti, quali il riferimento alla dimensione europea (particolarmente evidente se la scelta è quella di insegnare due lingue europee senza cenno al Quadro di riferimento europeo delle lingue), alle problematiche della multiculturalità, oggi particolarmente significative anche per la presenza nella scuola di un sempre maggior numero di alunni di paesi europei ed extraeuropei, ai mutamenti dei processi di apprendimento prodotti dall’impatto delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
Ad una lettura attenta dell’impianto disciplinare, non appaiono garantite gradualità e processualità, coerentemente con lo sviluppo evolutivo dell’apprendimento. Non ci sembra, infatti, di poter ricondurre la proposta sui saperi a una ricerca di essenzialità, in quanto gli obiettivi e le competenze attese sono eccessivamente dilatati e minuziosi, ben oltre i margini previsti da un impianto orario obbligatorio ridotto a sole 27 ore settimanali. Né ci convincono i suggerimenti di utilizzare le “indicazioni nazionali” come un “archivio” piuttosto che come traguardi, in quanto verrebbero ancora di più ad affievolirsi gli impegni dello Stato nei confronti delle giovani generazioni così come la garanzia per ogni cittadino di acquisire i saperi essenziali.
La stessa verticalità del curricolo, legata al periodo della scolarità 3-18 anni, è compromessa; la fascia 3-6 anni assume una valenza socio-assistenziale; lo snodo 6-14 anni verso i 16 anni di età (il percorso di studio obbligatorio che in gran parte dell’Europa viene delineato per garantire i saperi di cittadinanza e di responsabilità), risente delle rigidità dell’articolazione interna del percorso (1+2+2+2+1), che sembra tradire la stessa filosofia del raccordo.
Valutazione, Profilo in uscita e Portfolio Come già espresso nella pronuncia del 17 dicembre 2003, non vi è alcun rapporto fra l’analitica descrizione degli obiettivi specifici di apprendimento ed il concetto di livelli essenziali di prestazione, non essendo definite per ciascuna area o disciplina le conoscenze, le abilità e le competenze che è legittimo attendersi a conclusione di un biennio didattico e/o di un ciclo, nel caso specifico a conclusione del primo ciclo di istruzione.
In proposito, si segnala che l’attuale documento di valutazione in uso nella scuola “media” ha privilegiato una valutazione formativa di natura criteriale e incentrata sulle abilità per gli aspetti disciplinari, proponendo un’analisi delle singole materie che tiene conto delle conoscenze, delle operazioni cognitive, del linguaggio, delle metodologie propri di ogni area del sapere; una modalità che consente di verificare l’effettivo grado di avvicinamento agli obiettivi di insegnamento/apprendimento definiti per tutti gli allievi.
Il mancato richiamo, in ambito valutativo, al rapporto con l’impianto disciplinare rende impraticabile la valutazione delle competenze individuali che dovrebbero essere documentate nel Portfolio.
Sulla natura del Portfolio (sovraccaricato di un improprio significato biografico-narrrativo) e sui rischi della traduzione del principio di personalizzazione in differenziati piani di studio personalizzati, confermiamo quanto già detto al riguardo nella pronuncia del 17 dicembre u.s. in cui si esprimevano “forti perplessità sul fatto che esso veniva presentato come uno strumento di valutazione e contemporaneamente di orientamento”. Ci sembra opportuno, inoltre, richiamare le sollecitazioni della ricerca internazionale sulle “competenze chiave” con particolare riferimento ai risultati attesi al sedicesimo anno di età, e i materiali dei working groups della Commissione europea, nell’ambito del “Programma Istruzione & Formazione 2010”, in attuazione della strategia di Lisbona.
A parere del COSME, la definizione di un “profilo educativo, culturale e professionale dello studente alla fine del ciclo primario” (così come viene presentato nell’allegato D), riferito a un quattordicenne, risulta inadeguato e rischioso poiché basato su un orientamento precoce e sulla dimensione esistenziale di un preadolescente.
L’accentuazione degli aspetti “professionali” del Profilo legittima la precocità nella scelte fra due diversi sistemi formativi (liceale e professionale). Resta, comunque, la delineazione di un “Profilo” spostato fortemente sul piano esistenziale e “valoriale”, che non consente, quindi, di verificare la congruità tra livelli essenziali di prestazione enunciati e obiettivi formativi realmente perseguiti da garantire a tutti gli studenti sul territorio nazionale.
L’impianto pedagogico–progettuale delle Indicazioni Il COSME rileva che l’impianto pedagogico e progettuale, così come viene presentato nei tre paragrafi relativi agli obiettivi generali del processo formativo, agli obiettivi specifici di apprendimento, agli obiettivi formativi risulta debole in quanto:
Giova ricordare, in conclusione, che l’art. 8 del DPR. 275/99 affida al ministro il compito di stabilire a livello nazionale “gli obiettivi specifici di apprendimento relativi alle competenze degli alunni”, invece l’impianto delle Indicazioni nazionali non chiarisce il rapporto tra gli obiettivi specifici di apprendimento e le competenze attese negli alunni, non agevolando il compito delle scuole autonome che è quello di contestualizzare ed articolare le competenze da sviluppare negli alunni, per realizzare gli obiettivi di apprendimento stabiliti nazionalmente.
Il COSME ritiene che per assicurare omogeneità di traguardi educativi a livello nazionale sia il Ministro a indicare, in continuità con l’esperienza della scuola, un quadro di competenze fondamentali, riferite ai nuclei essenziali e fondativi dei diversi saperi, che gli alunni devono raggiungere al termine di periodi sufficientemente significativi (come è il triennio della scuola media). La scuola, in autonomia, sceglierà gli obiettivi specifici di apprendimenti e le conoscenze da attivare per garantire che ciascun alunno acquisisca le competenze richieste.
Ciò che serve alla scuola, in particolare al primo ciclo di istruzione, è l’individuazione sicura di pochi traguardi prescrittivi, definiti in termini di competenze, attorno ai quali sviluppare con molta libertà ed autonomia una gamma articolata di obiettivi disciplinari e pluridisciplinari.
Livelli essenziali delle prestazioni Preoccupa il numero e la minuziosità degli obiettivi specifici di apprendimento per i singoli periodi didattici (biennali e annuali) e per le singole discipline. Sono stati contati oltre 800 obiettivi specifici tra scuola elementare e media, una elencazione che può ingenerare fraintendimento, circa una semplicistica traduzione di tali obiettivi in procedure didattiche e compiti di apprendimento, fraintendimento che potrà essere accentuato dalla assunzione delle tavole degli obiettivi specifici di apprendimento quali fonti e parametri prescrittivi su cui basare la costruzione di prove oggettive di profitto. Infatti nel paragrafo “Vincoli e risorse” si afferma che “il servizio nazionale di valutazione procede alla valutazione esterna… dei livelli di padronanza… delle conoscenze e abilità indicate negli obiettivi specifici di apprendimento”.
Si ritiene necessario che siano indicate nel Profilo in uscita con chiarezza le competenze fondamentali che è legittimo attendersi da un ragazzo/a di 14 anni al termine del primo ciclo di istruzione. Serve un’articolazione precisa dei “livelli essenziali delle prestazioni”, da intendersi (sotto il profilo costituzionale) come un’area circoscritta di prescrizioni vincolanti per le istituzioni scolastiche, quale corrispettivo del diritto all’istruzione di base per tutti gli allievi.
La formulazione di una così estesa e minuziosa declaratoria di obiettivi specifici di apprendimento, accentuata dall’articolazione interna in periodi didattici corredati di specifici obiettivi anche per singole annualità, va ben oltre la possibile tutela che la Costituzione impone per i livelli essenziali delle prestazioni, riferiti a diritti fondamentali della persona.
Si deve ritenere che i livelli essenziali, non siano quelli indicati nelle attuali Indicazioni nazionali dei piani di studio, ma siano piuttosto rappresentati da quel “nucleo essenziale dei piani di studio scolastici” di cui parla l’art.7 della Legge 53/03.
Va evidenziato, per la loro rilevanza costituzionale, che “i livelli essenziali delle prestazioni” dovrebbero scaturire da un confronto e da una condivisione più profonda e trasparente di quanto sia avvenuto per i documenti ora sottoposti all’attenzione del CNPI. Trattandosi di traguardi formativi e di assetti organizzativi vincolanti per tutte le istituzioni scolastiche, le Indicazioni nazionali dovrebbero rappresentare il prodotto di una elaborazione che veda il coinvolgimento attivo e propositivo della scuola e della comunità scientifica e culturale.
In sintesi il COSME:
Vincoli e risorse Nel merito delle Indicazioni nazionali si richiama e si conferma quanto già rappresentato dal COSME in modo esteso nella pronuncia del 17 dicembre 2003 in merito ad alcuni aspetti organizzativi (tempo scuola, portfolio, tutor, integrazione e handicap), che rientrano ormai nella piena ed autonoma responsabilità delle istituzioni scolastiche Si evidenzia inoltre che il COSME non condivide la frammentazione dell’impianto degli insegnamenti in attività opzionali e facoltative perché non introduce elementi di flessibilità, ma rischia di spezzettare e segmentare l’offerta formativa, creando percorsi formativi differenziati che non garantiscono il successo formativo di tutti gli studenti e rischiano altresì di accentuare le disparità e le disuguaglianze culturali.
Il COSME non condivide la riduzione dell’orario ordinamentale della scuola secondaria di primo grado a 27 ore settimanali (891 su base annua che penalizza tutte le materie in particolare la lingua inglese e l’educazione musicale) obbligatorie per tutti, né la nuova proposta di articolazione delle discipline e delle attività, con un’ulteriore riduzione della soglia obbligatoria ad 825 ore annue.
Si sottolinea che tale proposta cancella di fatto una disciplina formativa come l’educazione tecnica portandola a sole 33 ore annuali, senza una motivata argomentazione e in assenza di riferimenti ad esiti di ricerche a livello nazionale, europeo ed internazionale. A parere del COSME, essa andrebbe riaffermata come disciplina, potenziandola e valorizzandola soprattutto sul versante dell’informatica (TIC) e della cultura tecnologica.
Inoltre non si può non evidenziare che l’introduzione di nuove discipline (o accorpamenti disciplinari) non è supportata da un riferimento alle classi di concorso.
Il COSME, in coerenza con quanto già evidenziato nella pronuncia del 17 dicembre, richiede che:
Le discipline Sui singoli impianti disciplinari il COSME non ritiene di intervenire con specifici emendamenti, correzioni e integrazioni non riconoscendo tale impianto rispettoso di un approccio culturale pluralistico e sufficientemente condiviso all’interno delle comunità scientifiche e del mondo della scuola, di cui il CNPI – come massimo organismo di rappresentanza della scuola italiana - non può non farsi garante.
Pertanto il COSME avanza al Ministro la proposta che venga nominata al più presto una Commissione di esperti rappresentativa del mondo della cultura, della scuola e della ricerca didattica che abbia il compito, nella continuità dei processi innovativi in atto e tenendo conto del nuovo assetto istituzionale delineato con il Titolo V, di elaborare e sviluppare l’impianto culturale e pedagogico, richiesto da una moderna e qualificata scuola secondaria di I grado.
Di fronte a questa scelta il CNPI non farà mancare il suo apporto costruttivo di idee, proposte, implicazioni organizzative e professionali.
IL SEGRETARIO IL VICE PRESIDENTE M.R. Cocca M. Guglietti |