Portfolio, privacy e buon senso. di Rodolfo Marchisio, da Pavone Risorse del 20/8/2005
Quando ho iniziato (2 anni
fa) a leggere, studiare, discutere e riflettere ad "alta voce" nel
dossier sul portfolio, ospitato su questo sito, NON sapevo
assolutamente dove sarei andato a parare né se ero favorevole o
contrario. Ho cercato di maturare delle idee, di condividerle,
sperando fossero di stimolo per qualcuno indeciso come me. Ne ho poi
costruito uno con un amico esperto. Provo ora a riassumere alcune cose
di cui mi sono convinto, anche alla luce della (scontata) pronuncia
del garante sulla privacy.
Il punto di partenza dichiarato NON era quello di discutere del p. di moda o di quello della Moratti, ma di sfruttare l’agitazione suscitata dal problema, per discutere finalmente di valutazione: una delle cose che proprio funzionano male e sanno di muffa della nostra scuola.
Nell’ultimo "pezzo" avevo provato a fare un po’ il quadro di quanto era successo durante lo scorso anno, secondo quanto avevo potuto "captare". Alcune scuole NON avevano neanche cominciato a porsi il problema, altre avevano "adottato" un portfolio, altre avevano prodotto e sperimentato "uno, nessuno, centomila" portfoli.
Ho individuato, leggendo e discutendo, 5 funzioni che il p. avrebbe potuto avere (la Moratti ne aveva indicate 2 e ½ ).
No quindi al portfolio
"curricolo" che ci segue per tutta la vita (scolastica) come una
condanna.
Mi sono anche convinto che ogni scuola debba costruire il suo portfolio, perché sia formativo, contestualizzato e condiviso (da tutti). Dopo aver conosciuto i diversi modelli e dopo aver scelto in base ai propri indirizzi pedagogici. La valutazione non deve nascere dallo strumento già adottato, ma uno strumento è adottato e costruito in base alle proprie opzioni esplicite sulla valutazione.
Credo proprio che il p. non debba
essere uno strumento o peggio ancora un mega strumento ingestibile e
velleitario che ci perseguita, ma un metodo nuovo di affrontare il
problema della valutazione, scegliendo (con occhi nuovi) e costruendo
un sistema di strumenti
diversi (molti dei
quali in uso o facilmente costruibili). Ma soprattutto
nuove prassi di lavoro.
Ovviamente occorre separare:
Credo proprio che portarsi al
liceo un disegno fatto in prima elementare sia una stupidaggine,
perché il docente che lo vede (se lo vede) non ha gli strumenti per
capirlo: per formazione, perché è un oggetto cognitivo fuori dal
momento e dal contesto, perché ci parla di una persona che forse non
esiste più (nel senso che, per fortuna, si cambia).
La nascita di centomila portfoli
e la comunicazione fra scuole prevede la elaborazione e la
condivisione non solo di strumenti, ma di
concetti
– parole
e criteri, di un
vocabolario pubblico,
comune e condiviso
in merito. Senza il quale la valutazione non funzionerà mai.
E’ inevitabile che si lavori insieme quindi, in questo senso, a pochi concetti e pochi strumenti condivisi, pena il ricevere ogni anno centinaia di dossier e schede non omogenee e inutilizzabili. e continuare a non capirsi o a pensare che i ragazzi possano essere fatti a pezzi (il pezzo che fa le elementari, quello che fa le medie…). Come se ogni volta rinascessero solo per noi e scomparissero quando ci lasciano.
Un altro problema del fiorire dei centomila p. è stato quello di scivolare, in alcuni casi, sulla gestione dei dati sensibili. Problema rispettabile, che la scuola deve imparare a trattare senza eccessive ansie, ma con le attenzioni dovute; distinguendo fra quanto i docenti, professionisti che lavorano con persone, possono sapere di quelle persone (essendo vincolate al segreto professionale) da quanto viene reso pubblico tramite il portfolio o altro strumento. Comunque condivido che:
a) bastava usare un po’ di buon
senso e di quella attenzione che deriva dal rispetto delle persone
Entrambe le cose ormai
"dovrebbero" essere patrimonio di tutte le scuole…
NB
Faccio esplicito riferimento ai preziosi contributi di Tosolini, Cattaneo, Cristanini
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