Miseria e nobiltà della valutazione.

di Guido Armellini,

resoconto dell’incontro organizzato dal Centro Studi della Gilda,

Venezia, 1/3/2005

 

Martedì 1 marzo si è aperto a Venezia presso la Scoletta dei Calegheri il ciclo di appuntamenti dal titolo "La scuola senza qualità?" organizzati organizzati dalle Gilde di Venezia e di Treviso.

Protagonista del primo incontro è stato Guido Armellini che ha discusso sul tema «Miseria e nobiltà nella valutazione». Docente di Letteratura comparata all’Università di Verona e intellettuale attivo a tutto campo per quanto riguarda il mondo della scuola, è stato uno dei principali animatori fin dal 1995 del Movimento per l’Autoriforma gentile della scuola. L'autore si è finora collocato in modo diametralmente opposto sia agli intellettuali che fanno cadere dall’alto (da fuori, cioè) il loro giudizio su quel mondo, per poi disinteressarsene non appena la scuola esca dalle pagine di cronaca; sia agli intellettuali di quell’asfittico ceto, che Armellini identifica volentieri da tempo con una combinazione di aggettivi: buro-pedagogico.

Nonostante abbia lasciato da qualche anno l’insegnamento (di lettere) nella scuola superiore, il relatore ha vivacizzato il suo intervento con una messe di aneddoti criticamente intrecciati al tema centrale della valutazione scolastica. Misera, quando sia esito di una didattica incentrata sulle cosiddette domande “illegittime” (quelle per cui sia ammessa una sola, obbligata risposta), e si autorappresenti come luogo d’indiscussa oggettività (quindi indiscutibile certificazione da parte dell’istituzione-scuola che valuta). “Nobile”, quando sia esito di una didattica incentrata sulle cosiddette domande “legittime” (quelle davvero aperte all’imprevisto, per cui non sia ammessa una sola, obbligata risposta), e si rappresenti – nella concreta prassi didattica dell’insegnante-artigiano – come luogo di ineludibile relazione intersoggettiva. Armellini ha tenuto ben ferma la distinzione fondamentale tra il concetto di misurazione delle prestazioni, e quello di valutazione vera e propria della persona-studente: atto complessivo che non può mai prescindere appunto dalla relazione intersoggettiva. Cioè dal riconoscimento reciproco (simmetrico o a-simmetrico) che intercorre tra insegnante e allievo, e si struttura nel tempo.

Nel suo ampio intervento, il relatore ha stigmatizzato più volte la proliferazione di strumenti di valutazione prodotti in ambito ministeriale dal ceto buro-pedagogico, calati dall’alto nelle scuole e destinati a certificare in modo falsamente oggettivo i vari livelli di apprendimento - Armellini ha rilevato addirittura un errore tra le opzioni di un test d’italiano a risposta chiusa (Invalsi 2003). L’infausto mito dell’oggettività, la rimozione dell’intersoggettività come componente strutturale della valutazione, hanno comportato una dilatazione della misurazione, fino a farla coincidere con la valutazione stessa. Citato da Armellini a proposito dei due tipi di domande (legittime/illegittime), Von Foerster torna utile anche per criticare una scuola ossessionata dalle pratiche di certificazione del profitto, che sacrifica ormai l’esplorazione di mondi possibili all’agrimensura (cfr. G. Armellini, “Valutazione”, in Chichibìo, n° 30, nov.-dic. 2004), agenzia tra (molte) altre agenzie di banalizzazione: “Le macchine banali, descrivibili e prevedibili, sono la grande passione della nostra cultura. […] Si tratta  in sostanza di assicurarsi prima di tutto che l’insegnante spieghi esaustivamente quali sono le domande e relative risposte previste dal programma e in secondo luogo che le risposte dello studente siano effettivamente quelle previste dal programma.” (H. von Foerster, Inventare per apprendere, apprendere per inventare, in: AA VV, Il senso dell’imparare, Anabasi, Milano, 1994).

Vivace il dibattito che ha fatto seguito allo stimolante contributo in apertura del ciclo organizzato dalla Gilda di Venezia e dal Centro Studi Gilda.

 

a cura di Stefano Borgarelli