Consiglio di Stato
Pareri n. 104, 105 e 106 del 13.01.10
Pareri n. 104, 105 e 106 del 13.01.10 (affari n.
04596 - 04597 e 04599 del 2009) sugli schemi di regolamenti recanti
revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei
licei, degli istituti tecnici e degli istituti professionali ai
sensi dell' articolo 64, comma 4, del D.L. 112/2008, convertito con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
In termini generali, il modello razionale dell'azione
pubblica è quello che impone il risparmio come l'effetto di una
ottimizzazione dei processi di allocazione delle risorse, e non come
conseguenza dell'indebolimento del servizio da erogare. In questa
prospettiva le scelte riformatrici effettuate dall'Amministrazione
non appaiono estranee e tanto meno contrastanti con i criteri della
delega, la cui genericità appare riscattata dal quadro normativo
complessivo da cui risultano linee sufficientemente dettagliate di
intervento.
Con riferimento alle singole disposizioni sussistono tuttavia punti
che la Sezione non ritiene superati o assorbiti dalla risposta del
Ministero.
I pareri sono pertanto favorevoli con osservazioni di cui in
motivazione.
da
DirittoScolastico.it
***
Numero
00104/2010 e data 13/01/2010
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli
Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 21
dicembre 2009
NUMERO AFFARE 04596/2009
OGGETTO:
Ministero dell'istruzione dell'universita'
e della ricerca.
Schema di regolamento recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei
licei
ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133".
LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con
nota prot. Prot/A00/UffLeg/4789 del 16 novembre 2009, con la quale
il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede
il parere del Consiglio di Stato in ordine allo schema di
regolamento in oggetto;
Vista la relazione trasmessa con
nota prot. A00/UffLeg/5339 del 15 dicembre 2009, con la quale il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha
risposto al parere interlocutorio del Consiglio di Stato.
Esaminati gli atti e udito il
relatore ed estensore Cons. Francesco Bellomo.
PREMESSO:
Con nota del 16 novembre 2009 il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede al
Consiglio di Stato il parere di cui all'articolo 17, comma 25 della
legge 15 maggio 1997, n. 127, sullo schema di regolamento, da
approvare con decreto del Presidente della Repubblica, recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico dei
licei ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008, n. 133".
L'articolo 64 del decreto legge
25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008 n. 133, concernente disposizioni in materia di
organizzazione scolastica, al comma 3, stabilisce che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e
previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per materia
e per le conseguenze di carattere finanziario, deve predisporre un
piano programmatico di interventi volti ad una maggiore
razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali
disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza
al sistema scolastico.
Per l'attuazione di detto piano
programmatico il successivo comma 4 prevede che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
adotti uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2
della legge 23 agosto 1988 n. 400, di revisione dell'attuale assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico.
Con lo schema di regolamento in
esame sono introdotte norme generali relative all'ordinamento
organizzativo e didattico dei licei.
Lo schema è composto dal
preambolo, da sedici articoli e dagli allegati.
L'articolo 1 definisce l'oggetto
del regolamento e stabilisce che i licei sono disciplinati dal
decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 2006 e successive
modificazioni e dal regolamento, preordinato alla introduzione delle
misure di razionalizzazione di cui al comma 4, lettera b)
dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
L'articolo 2 definisce l'identità
dei licei, fissandone le finalità e la durata dei percorsi di
studio. Il comma 1 individua la collocazione dei licei nel sistema
dell'istruzione secondaria superiore di cui al decreto legislativo
17 ottobre 2005, n. 226, e successive modificazioni. Il comma 2 si
sofferma sul profilo culturale comune assicurato allo studente che
costituisce l'unitarietà dei percorsi liceali. Il comma 3 stabilisce
la durata quinquennale dei licei e la loro articolazione in due
bienni e nell'anno terminale, nel rispetto delle indicazioni del
decreto legislativo n. 226 del 2005. Il comma 4 ribadisce che il
primo biennio è finalizzato anche all'assolvimento dell'obbligo
scolastico, mentre il comma 5 prevede la stipulazione di intese con
le università, con le istituzioni dell'alta formazione artistica,
musicale e coreutica e con quelle ove si realizzano i percorsi di
istruzione e formazione tecnica superiore ed i percorsi degli
istituti tecnici superiori, al fine di orientare le scelte
successive dello studente.
L'articolo 3 definisce
l'articolazione del sistema dei licei e fissa il profilo educativo,
culturale e professionale dello studente al termine dei corsi di
studio quale previsto dall'Allegato A. Viene inoltre previsto che
alla riorganizzazione delle sezioni bilingui, delle sezioni ad
opzione internazionale, delle sezioni di liceo classico europeo e di
liceo linguistico europeo si provvederà con separato regolamento.
L'articolo 4 definisce il
percorso del liceo artistico, individuandone le finalità
educativo-formative, gli indirizzi, le attività laboratoriali e
l'orario annuale degli insegnamenti obbligatori per tutti gli
studenti e degli insegnamenti obbligatori di indirizzo, con
riferimento ai singoli bienni e all'anno finale del corso di studi.
Il piano degli studi è fissato nell'Allegato B del provvedimento. Al
fine di corrispondere alle esigenze e vocazioni delle realtà
territoriali il potenziamento e l'articolazione dell'offerta
formativa dei licei artistici possono essere assicurati mediante
specifiche intese con le Regioni, con particolare riferimento alle
attività laboratoriali ed alle interazioni con il mondo del lavoro.
L'articolo 5 detta disposizioni
analoghe con riferimento ai percorsi del liceo classico, il cui
piano di studi è fissato dall'Allegato C.
L'articolo 6 disciplina i
percorsi del liceo linguistico, finalizzati a far acquisire agli
studenti le competenze relative a tre lingue e culture straniere; il
relativo piano di studi è contenuto nell'Allegato D del
provvedimento.
L'articolo 7 detta le norme
specifiche per i percorsi del liceo musicale e coreutico, articolato
nelle relative due distinte sezioni, il cui piano di studi è fissato
nell'Allegato E.
Gli articoli 8 e 9 dettano,
rispettivamente, la disciplina dei percorsi del liceo scientifico e
del liceo delle scienze umane, nonché delle relative opzioni
scientifico-tecnologica ed economico-sociale, i cui piani di studio
sono contenuti nei corrispondenti Allegati F e G.
L'articolo 10 disciplina la
materia relativa allo svolgimento delle attività educative e
didattiche ed ai relativi orari annuali d'insegnamento.
L'articolo 11 fissa i criteri per
la valutazione periodica e finale degli apprendimenti, facendo
riferimento, in primo luogo, alle disposizioni dell'articolo 13 del
decreto legislativo n. 226 del 2005 e all'articolo 2 del decreto
legge n. 137 del 2008, convertito dalla legge n. 137 del 2008, e al
relativo regolamento attuativo. Il titolo finale rilasciato al
superamento dell'esame di Stato assume la dizione di "Diploma
liceale" con indicazione della tipologia liceale e l'eventuale
indirizzo seguito dallo studente.
L'articolo 12 disciplina il
monitoraggio e la valutazione di sistema.
L'articolo 13 definisce il
passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento dei percorsi dei licei.
L'articolo 14 detta disposizioni
specifiche per le regioni a statuto speciale, per le province
autonome di Trento e di Bolzano e per scuole con insegnamento in
lingua slovena.
L'articolo 15 contiene la
ricognizione delle disposizioni abrogate, con riferimento al decreto
legislativo n. 226 del 2005.
L'articolo 16 detta le
disposizioni finali, stabilendo che all'attuazione del regolamento
si provvede in coerenza con il piano programmatico di cui
all'articolo 64, comma 3, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Gli allegati sono i seguenti:
Allegato A: Profilo educativo,
culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo
ciclo del sistema educativo di istruzione per i licei
Allegato B: Piano degli studi del
liceo artistico, indirizzi:
B1 - Architettura, Design,
Ambiente
B2 - Audiovisivo, Multimedia,
Scenografia
Allegato C: Piano degli studi del
liceo classico
Allegato D: Piano degli studi del
liceo linguistico
Allegato E: Piano degli studi del
liceo musicale e coreutico, articolato in un'area comune e nelle
sezioni musicale e coreutica
Allegato F: Piano degli studi del
liceo scientifico e dell'opzione scientifico-tecnologica
Allegato G: Piano degli studi del
liceo delle scienze umane e dell'opzione economico sociale
Allegato H: Insegnamenti
attivabili sulla base del Piano dell'offerta formativa nei limiti
del contingente di organico assegnato all'istituzione scolastica
Allegato I: Tabella di confluenza
dei percorsi di istruzione secondaria superiore previsti
dall'ordinamento previdente nei percorsi liceali del nuovo
ordinamento
Allegato L: Tabella di
corrispondenza dei titoli di studio in uscita dai percorsi di
istruzione secondaria di secondo grado dell'ordinamento previdente
con i titoli di studio in uscita dai percorsi liceali del nuovo
ordinamento.
CONSIDERATO:
1. L'atto normativo in esame ha natura di regolamento delegato ai
sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400
("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei Ministri").
Esso si inserisce nel quadro
degli interventi urgenti predisposti dal Governo con il d.l. n. 112
del 2008 per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria, ed appare specificamente preordinato al
contenimento della spesa per il pubblico impiego (tanto da figurare
all'inizio del capo II, così intitolato), oltre che ad una più
generale implementazione nell'organizzazione scolastica dei principi
di efficacia, efficienza ed economicità, che permeano il moderno
volto del sistema amministrativo.
Trattandosi di un regolamento
delegato, può essere adottato per la disciplina delle materie, non
coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione,
per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio
della potestà regolamentare del governo, determinano le norme
generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle
norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme
regolamentari.
La materia oggetto del presente
regolamento non è sottoposta a riserva di legge assoluta (arg. ex
art. 33, comma 2 Cost. : "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi") e rientra anche nell'organizzazione amministrativa, che è
terreno di elezione per l'uso della potestà regolamentare, anche
delegificante, come dimostrato dallo stesso articolo 17 della legge
23 agosto 1988, n. 400, al comma 4-bis. Sotto tale profilo la
previsione di un regolamento delegato risulta coerente con la
riserva relativa di legge fissata dall'articolo 97, comma 1 della
Costituzione, come attuata dall'articolo 2, comma 1 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, che demanda alla legge la sola
fissazione dei principi generali sull'organizzazione amministrativa.
Il regolamento soddisfa anche il
principio di legalità sostanziale, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo l'articolo 64,
comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 fissa, per la
revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, una pluralità di criteri, i quali
formano un contesto unitario e si integrano reciprocamente. Per
quanto direttamente interessa il regolamento in esame, la fonte
primaria indica come direttiva la "ridefinizione dei curricoli
vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la
razionalizzazione dei diversi piani di studio e relativi quadri
orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e
professionali". Funge da cornice la previsione di cui al comma 6 del
medesimo articolo, il quale stabilisce che dall'attuazione dei commi
1, 2, 3, e 4 devono derivare per il bilancio dello Stato economie
lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009,
a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per
l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.
In secondo luogo il regolamento
costituisce attuazione di un piano programmatico adottato dal
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle Commissioni
parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di
carattere finanziario.
Si realizza, così, una sequenza
di (legge - atto politico di indirizzo - regolamento) in cui il
potere regolamentare risultato conformato non solo dalle
disposizioni di legge, ma anche da un atto intermedio, che vale a
fissare le linee guida su cui l'esecutivo deve esprimersi, così
riducendone la discrezionalità politica e valorizzandone il ruolo
tecnico. Ciò è tanto più da apprezzarsi tenendo conto dell'ampio
coinvolgimento degli organi istituzionali realizzato, attesa la
partecipazione nell'elaborazione del piano programmatico del
Ministro dell'economia e delle finanze, della Conferenza unificata e
delle Commissioni parlamentari competenti, idonea ad esprimere un
punto di vista unitario, in grado di sintetizzare le posizioni dei
diversi livelli di governo della comunità. La stessa predisposizione
dello schema di regolamento da parte del Ministero dell'istruzione
avviene con l'intervento del Ministro dell'economia e delle finanze
e della Conferenza unificata, in simmetria con quanto previsto per
l'adozione del piano programmatico.
2. Sul piano dei principi resta da verificare l'ammissibilità e i
limiti dell'impiego del regolamento delegato nella materia
dell'istruzione scolastica.
Il riparto delle competenze
normative in materia di istruzione è definito dal nuovo articolo 117
della Cost. come segue:
- spetta allo Stato la potestà
legislativa esclusiva di dettare le "norme generali sull'istruzione"
(comma 2, lett. n);
- spetta alla potestà concorrente
della Regione la materia "istruzione", salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della
formazione professionale (comma 3).
In materia, peraltro, occorre
considerare anche l'articolo 117, comma 2 lett. g), che attribuisce
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato il settore
"ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato", nonché
l'articolo 117, comma 2 lett. e) e l'articolo 119 Cost. per i
profili di finanza pubblica investiti dalla riforma
dell'organizzazione scolastica.
Lo Stato ha la potestà
regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, mentre la
Regione ha la potestà regolamentare in ogni altra materia. Aderendo
alla tesi prevalente in dottrina, la giurisprudenza della Corte
costituzionale ha ritenuto ammissibili i regolamenti delegati in
aree che, pur di competenza dello Stato, incrociano profili
spettanti alla Regioni. Nella materia dell'istruzione, definire
interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di
rapporto tra le "norme generali sull'istruzione" e i "principi
fondamentali" in materia di "istruzione" - le prime di competenza
esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le Regioni
nell'esercizio della relativa potestà concorrente - non è sempre
agevole e necessario, nel complesso intrecciarsi in una stessa
materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e
determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche.
In queste condizioni deve
prendersi atto che la scelta compiuta dal legislatore non è priva di
una base formale, poiché una competenza esclusiva statale sussiste e
quindi vi è la possibilità di adottare una normativa secondaria.
L'esistenza nell'oggetto astratto del regolamento di un'osmosi tra
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e materie di
competenza concorrente non determina, di per sé, alcuna preclusione.
D'altronde il regolamento in questione, proprio in considerazione di
tale osmosi, è stato concepito dalla legge e concretamente attuato
nel suo iter formativo come ispirato al principio di leale
collaborazione con le autonomie locali; in ciò adeguandosi al
principio formulato dalla Corte costituzionale secondo cui nel nuovo
Titolo V della Carta, per valutare se una normativa statale che
occupi spazi spettanti alle Regioni sia invasiva delle attribuzioni
regionali o, invece, costituisca applicazione dei principi di
sussidiarietà e adeguatezza, diviene elemento essenziale la
previsione di forme di concertazione fra lo Stato e le Regioni
interessate. Si aggiunga che la materia è caratterizzata da un forte
tecnicismo, sicché non appare irragionevole l'adozione di uno
strumento più duttile qual è appunto quello regolamentare.
Tali considerazioni risultano
corroborate dalla sentenza n. 200 del 2009 della Corte
costituzionale, la quale, pronunciandosi sulla legittimità
costituzionale dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n.
112, ha affermato che:
- "il sistema generale
dell'istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale,
non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma
iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall'osservanza
dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili
differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili
sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da
un lato, basilari esigenze di "uniformità" di disciplina della
materia su tutto il territorio nazionale, e, dall'altro, esigenze
autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare
soddisfazione mediante l'esercizio di scelte programmatiche e
gestionali rilevanti soltanto nell'ambito del territorio di ciascuna
Regione".
- "Con riguardo, invece, alla
potestà regolamentare, il legislatore ha fatto espresso riferimento
ai regolamenti di delegificazione contemplati nel comma 2 dell'art.
17 della legge n. 400 del 1998. Sul punto, è bene chiarire che il
sesto comma dell'art. 117 Cost., da un lato, autorizza il
legislatore statale, come già sottolineato, ad esercitare la potestà
regolamentare in tutte le materie di legislazione esclusiva dello
Stato; dall'altro, non pone limitazioni, in linea con la sua
funzione di norma di riparto delle competenze, in ordine alla
tipologia di atto regolamentare emanabile. Ne consegue che risulta
conforme al sistema delle fonti la previsione di regolamenti di
delegificazione anche in presenza dell'ambito materiale in esame.
Deve, anzi, ritenersi che le "norme generali sull'istruzione" -
essendo fonti di regolazione di fattispecie relative alla struttura
essenziale del sistema scolastico nazionale - si prestano a ricevere
"attuazione" anche mediante l'emanazione di atti regolamentari di
delegificazione, purché in concreto vengano rispettati il principio
di legalità sostanziale e quello di separazione delle competenze "
- "In secondo luogo, la
disposizione censurata, contenendo "norme generali regolatrici della
materia", cui fa riferimento il citato art. 117, rispetta il
richiamato principio di legalità sostanziale. In particolare, a tale
proposito, il legislatore - nello stabilire che, mediante lo
strumento dei regolamenti di delegificazione, si debba provvedere ad
una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, da intendersi riferito, come già
rilevato, alle sole modifiche relative alle caratteristiche generali
del sistema nazionale dell'istruzione - ha provveduto ad una
predeterminazione contenutistica puntuale dei "criteri" cui deve
rigorosamente attenersi il Governo nell'esercizio della potestà
regolamentare delegata. La chiara delimitazione dei settori di
materia, dei presupposti e delle condizioni cui sono strettamente
vincolati ad attenersi i regolamenti in questione consente,
pertanto, di ritenere che le disposizioni risultanti dalla
concorrenza delle predette fonti, nel loro combinato disposto,
possono essere ascritte alla categoria delle norme generali".
3. Ciò posto in termini astratti, il compito della Sezione è di
verificare se le concrete disposizioni del regolamento siano
rispettose di tali principi sulle fonti e dei criteri desumibili
dalla delega, nonché se siano compatibili con il sistema legislativo
dell'istruzione liceale.
Occorre, dunque, preliminarmente
definire quest'ultimo.
Il vigente ordinamento scolastico
(art. 191 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile
1994, n. 297) prevede tre tipologie di liceo, liceo classico, liceo
scientifico e liceo artistico, cui si aggiunge l'istituto
magistrale. Questi ultimi due percorsi, attraverso un anno
integrativo, consentono l'accesso a tutti i percorsi di laurea. Il
liceo linguistico attualmente fa parte del sistema delle scuole non
statali ed è tuttora regolato dal decreto ministeriale 31 luglio
1973.
L'esigenza di adeguamento di
questo modello ha portato numerose sperimentazioni riconducibili
all'autonomia scolastica. Da parte sua il legislatore ha impostato
tentativi di riforma dei cicli scolastici e dunque anche del secondo
ciclo dell'istruzione, che non hanno dato esito.
Con la legge 28 marzo 2003, n.
53, anche alla luce dei mutamenti intervenuti con la modifica del
titolo V della Costituzione e la nuova distribuzione dei poteri in
materia di istruzione e formazione tra Stato e Regioni conseguente
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, è stata conferita
al Governo la delega per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di istruzione e formazione professionale. Il Governo ha
esercitato la delega con l'emanazione di appositi decreti
legislativi concernenti i diversi settori di intervento, decreti
legislativi che, anch'essi, hanno subito nel tempo modifiche,
abrogazioni, sospensioni di esecutività.
Per quanto riguarda il secondo
ciclo di istruzione e formazione è stato emanato il decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 che ha inteso rivisitare il
secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione poggiandolo
sulle due gambe del sistema dei licei e del sistema di istruzione e
formazione professionale, definiti, all'articolo 1 "di pari dignità"
e accomunati da un unico "profilo educativo, culturale,
professionale" declinato in un apposito allegato. Il sistema dei
licei risultava formato dai licei artistico, classico, linguistico,
musicale e coreutico, scientifico, delle scienze umane (ex
magistrale), economico e tecnologico (percorsi destinati ad
assorbire almeno in parte l'istruzione tecnica e professionale).
Gli ordinamenti previsti nel
decreto legislativo n. 226 del 2005 non sono stati ancora
sperimentati né, tanto meno, sono entrati in vigore, essendo stato
prorogato già dalla precedente legislatura all'anno scolastico 2009
del 2010 l'avvio delle prime classi liceali a seguito dell'articolo
13 della legge 2 aprile 2007, n. 40. Il medesimo articolo 13 ha
altresì soppresso il liceo economico ed il liceo tecnologico e
prospettato il rilancio degli istituti tecnici e professionali.
L'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 ha, infine, confermato l'esigenza di procedere a
una definitiva razionalizzare dei percorsi scolastici vigenti
nell'ambito di un complessivo processo di revisione e
sistematizzazione degli ordinamenti (suffragata dalle tesi espresse
nel "Quaderno bianco sulla scuola") che, per quanto concerne il
secondo ciclo, investe anche e contestualmente, attraverso specifici
regolamenti, i percorsi degli istituti tecnici e degli istituti
professionali, attuando la delega che risale appunto ai commi 1 bis
e 1 ter del succitato articolo 13. Attraverso l'articolo 37 del
decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207, la revisione dell'istruzione
secondaria superiore viene definitivamente fissata "a decorrere
dall'anno scolastico e formativo 2010-2011"
E' condivisibile l'affermazione,
contenuta nella relazione illustrativa, secondo la quale il riordino
dei licei delineato nello schema di regolamento si colloca nel solco
dei precedenti interventi normativi e nel quadro di riferimento
incardinando la revisione dei percorsi intorno a quattro punti
fondamentali:
a) riconfermare l'identità e la
peculiarità dei licei all'interno del secondo ciclo del sistema
nazionale di istruzione e di formazione, attraverso la definizione
dell'apposito Profilo (allegato A) e delle future "Indicazioni
nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento
declinati secondo conoscenze, abilità e competenze";
b) fare acquisire ai giovani,
attraverso l'unitarietà del percorso liceale, declinata nei vari
percorsi a seconda delle personali inclinazioni, capacità critica e
conoscenza approfondita degli specifici settori disciplinari;
c) superare la frammentazione dei
percorsi di studio che emergono dall'accavallarsi e dal sovrapporsi
delle sperimentazioni, delimitando un quadro orario atto
all'approfondimento delle discipline e mirato al possesso di una
solida cultura declinata, pur in presenza di una forte area comune,
che rafforza lo studio della matematica e della lingua straniera,
riequilibrando così il tradizionale predominio della componente
umanistica classica, a seconda dei percorsi, piuttosto che
all'estensione e alla parcellizzazione dei saperi;
d) demandare alle istituzioni
scolastiche, attraverso il Piano dell'offerta formativa, la ricerca
progettuale e l'elaborazione di specifici progetti culturali che
vengono a integrare i requisiti e le indicazioni previsti dallo
Stato e a declinarli a seconda delle specificità del territorio,
delle esperienze svolte e delle eccellenze presenti al loro interno.
4. Venendo alla verifica del rispetto dei limiti della delega, la
Sezione aveva segnalato, con parere interlocutorio reso
nell'adunanza del 26 novembre 2009, un punto critico di ordine
generale.
La norma di delega concerne
espressamente la sola "ridefinizione dei curricoli vigenti nei
diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei
diversi piani di studio e relativi quadri orari".
Il piano programmatico prescrive
che: "I piani di studio relativi al sistema dei licei, di cui al
decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226, come modificato dalla
legge 2 aprile 2007, n. 40 saranno riesaminati con l'obiettivo di
razionalizzarne l'impianto in termini di massima semplificazione.
Andranno in tale contesto definite le discipline ed i carichi di
orario delle singole tipologie in misura non superiore alle 30 ore
settimanali", precisando, quanto all'orario, che "L'orario
obbligatorio di lezione nei licei classici, linguistici, scientifici
e delle scienze umane sarà pari ad un massimo di 30 ore settimanali,
con conseguente revisione dei quadri orario previsti dagli allegati
al decreto legislativo 17 ottobre 2005, n. 226" e che "Per i licei
artistici e i licei musicali e coreutica l'orario obbligatorio di
lezione sarà di 32 ore settimanali, con conseguente revisione dei
quadri orario previsti dagli allegati al decreto legislativo 17
ottobre 2005, n. 226".
In mancanza di più puntuali
indicazioni sul riordino dei licei nella norma di delega e
all'interno del piano programmatico il Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca era stato invitato a specificare su
quale base, letterale, teleologica e sistematica, avesse proceduto a
un esercizio ampio della delega e se le finalità di contenimento
della spesa e di razionalizzazione delle risorse umane e strumentali
giustificassero la revisione ordinamentale operata.
Il Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca ha risposto con la relazione i cui
estremi sono stati indicati in premessa ed a cui si può rinviare,
qui segnalando che la ricostruzione operata appare condivisibile
nelle sue linee di fondo (anche se appare eccessiva l'enfasi
attribuita all'interpretazione offerta dalla Corte costituzionale
dell'art. 64, comma quarto, primo capoverso, interpretazione in
realtà mirata a chiarire che la materia delegata al regolamento
rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato, nulla
aggiungendo sulla portata di tale delega).
Peraltro non può non rilevarsi
come appaia contraddittorio il peso attribuito al piano di
programmazione nella relazione integrativa.
Non vi è dubbio infatti che il
regolamento si pone come logico sviluppo del piano, e che questo -
nel disegno della norma di delega della potestà regolamentare -
giustifichi la genericità dei criteri di delega; ma è altrettanto
evidente la carenza del piano, per quanto attiene agli aspetti
ordinamentali e didattici dell'istruzione superiore e in particolare
liceale.
Ciò pone il delicato problema del
ruolo svolto da questo atto nella complessa sequenza in esame. Esso
solo in senso atecnico può qualificarsi come "fonte"; ma in realtà è
e rimane un atto di indirizzo politico, che, avendo ricevuto
l'avallo della Conferenza unificata e delle competenti commissioni
parlamentari, è espressione di una convergenza anche a posteriori
tra legislatore e Governo sulla strada da seguire nell'attuazione
della riforma. Pertanto le sue eventuali carenze in termini di
stretta legittimità assumono rilevanza solo nella prospettiva della
adeguatezza o meno dei criteri di delega, complessivamente intesi,
prospettiva che evidentemente sfugge a questo Consiglio.
Sul piano sostanziale, peraltro,
la Sezione ritiene che sussistano validi elementi che possano
giustificare l'intervento in esame. Esso, infatti, per quanto
incisivo, si muove pur sempre nel quadro della riforma del 2005,
come si è avuto modo di chiarire. Appaiono pertanto corrette le
affermazioni in tal senso dell'Amministrazione miranti a fugare le
perplessità derivanti da una possibile inversione logica, che si
avrebbe configurando il risparmio delle risorse come il fine e il
perseguimento dell'interesse dell'istruzione come il mezzo. Difatti,
nei suoi chiarimenti il Ministero sostiene che "Ad ulteriore riprova
della portata ampia, anzi generale, degli interventi da effettuarsi
in attuazione dell'art. 64, comma quarto, della legge n. 133 del
2008 si richiama l'attenzione di codesto Consiglio sui contenuti
della relazione tecnica finanziaria allegata al piano programmatico
attuativo della menzionata legge, in cui era chiarito che una parte,
anche consistente, dei risparmi di spesa derivanti dall'incremento
del rapporto alunni/docente nel triennio considerato (per essere
precisi l'obiettivo di contenimento degli organici del personale
docente è stato quantificato nel triennio 2009/2010 - 2011/2012 in
87.341 posti) doveva derivare dal riassetto dell'impianto dei
percorsi liceali disegnato con il d.lgs.vo n. 226 del 20005, ma non
ancora attuato al momento in cui è intervenuto il citato art. 64".
In sintesi, quello che emerge
come dato fondamentale della riforma è il nesso necessario fra:
1) obiettivi di finanza pubblica,
revisione organizzativa, revisione ordinamentale e didattica della
scuola;
2) sviluppo e competitività del
sistema nazionale da un lato e miglioramento del livello culturale
della popolazione nazionale dall'altro;
3) buon andamento
dell'organizzazione amministrativa e standards quantitativi e
qualitativi del servizio istruzione.
Insomma il modello razionale
dell'azione pubblica è quello che impone il risparmio come l'effetto
di una ottimizzazione dei processi di allocazione delle risorse, e
non come conseguenza dell'indebolimento del servizio da erogare. In
questa prospettiva le scelte riformatrici effettuate
dall'Amministrazione non appaiono estranee e tanto meno contrastanti
con i criteri della delega, la cui genericità appare riscattata dal
quadro normativo complessivo da cui risultano linee sufficientemente
dettagliate di intervento.
5. Ciò posto in termini generali, con riferimento alle singole
disposizioni la Sezione si sofferma sui punti che non ritiene
superati o assorbiti dalla risposta del Ministero.
L'articolo 1 stabilisce che "I
licei sono disciplinati dal decreto legislativo 17 ottobre 2005, n.
226 e successive modificazioni e dal presente decreto in attuazione
del piano programmatico di interventi di cui all'articolo 64, comma
3, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, volti ad una
maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e
strumentali disponibili, tali da conferire efficacia ed efficienza
al sistema scolastico", ma poi, contraddittoriamente, l'articolo 16,
comma 1 prevede che "All'attuazione del presente decreto si provvede
in coerenza con il piano programmatico di cui all'articolo 64, comma
3, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con
modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, nei limiti delle
risorse finanziarie previste dagli ordinari stanziamenti di bilancio
senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica". Ne consegue
che il piano programmatico viene richiamato a monte ed a valle,
mentre - assumendo che il regolamento costituisca la sua attuazione
- la precisazione che lo stesso debba essere attuato in coerenza con
il piano programmatico è inutile se non dannosa.
E' quindi condivisibile la
riformulazione suggerita dal Ministero del comma 1 dell'art. 16, per
la quale "All'attuazione del presente decreto si provvede nei limiti
delle risorse finanziarie previste dagli ordinari stanziamenti di
bilancio senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica".
L'articolo 2 stabilisce che "I
percorsi liceali forniscono allo studente gli strumenti culturali e
metodologici per una comprensione approfondita della realtà,
affinché egli si ponga, con atteggiamento razionale, creativo,
progettuale e critico, di fronte alle situazioni, ai fenomeni e ai
problemi, ed acquisisca conoscenze, abilità e competenze coerenti
con le capacità e le scelte personali e adeguate al proseguimento
degli studi di ordine superiore, all'inserimento nella vita sociale
e nel mondo del lavoro". Invece i successivi articoli, relativi ai
singoli licei e con l'eccezione di quello scientifico (articoli 4,
5, 6, 7, 9) stabiliscono che i relativi percorsi sono diretti ad
"approfondire conoscenze, abilità e competenze", mettendo in primo
piano un obiettivo formativo che nella disposizione generale appare
in secondo piano, mentre risulta centrale nell'ambito degli istituti
tecnici e professionali.
La risposta fornita dal Ministero
non persuade, ed appare opportuno quanto meno che, negli articoli
riservati ai singoli percorsi liceali dove manca, via sia un
richiamo alle finalità generali dell'istruzione liceale, rispetto a
cui l'acquisizione di "conoscenze, abilità e competenze" si pone in
chiave strumentale (come, peraltro, lo stesso Ministero riconosce).
L'art. 10, comma 2 prevede che le
istituzioni scolastiche costituiscano dipartimenti, quali
articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno
alla didattica e alla progettazione formativa (lett. a), nonché un
comitato scientifico, con una composizione paritetica di docenti e
di esperti del mondo del lavoro, delle professioni, della ricerca
scientifica e tecnologica, delle università e delle istituzioni di
alta formazione artistica, musicale e coreutica, con funzioni
consultive e di proposta per l'organizzazione e l'utilizzazione
degli spazi di autonomia e flessibilità (lett. b). La disposizione
suscita perplessità sia con riguardo al rispetto della riserva di
legge in materia di organizzazione (con particolare riguardo alla
materia dei collegi), essendo estranea all'ambito della delega, sia
con riguardo al rispetto dell'autonomia scolastica, apparendo poco
convincente la giustificazione fornita dal Ministero, in risposta ai
rilievi del Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, secondo
cui l'istituzione del Comitato scientifico esalti - piuttosto che
comprimere - l'autonomia delle istituzioni e quella dei dipartimenti
registri una prassi diffusa.
I chiarimenti forniti non
appaiono sufficienti a superare tali perplessità con riguardo
all'istituzione del Comitato scientifico.
L'art. 12, comma 1 stabilisce
che, al fine di un costante monitoraggio e valutazione dei percorsi
liceali, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca si avvale di un apposito Comitato nazionale per l'istruzione
liceale, costituito con proprio decreto, senza nuovi o maggiori
oneri per la finanza pubblica, del quale fanno parte un
rappresentante scelto dal Ministro per la pubblica amministrazione e
l'innovazione, rappresentanti delle scuole, delle università ed
esponenti del mondo della cultura, dell'arte e della ricerca. Il
Comitato si avvale dell'assistenza tecnica dell'Agenzia nazionale
per lo sviluppo dell'autonomia scolastica (ANSAS) e dell'Istituto
nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e
formazione (INVALSI). Ai componenti del comitato non spettano
compensi a qualsiasi titolo dovuti. Il Ministero dell'istruzione non
ha chiarito né la compatibilità di tale previsione con l'oggetto
della delega, né la sua rispondenza alle esigenze di semplificazione
enunciate in detta delega, ribadendo invece la necessità dell'opera
di monitoraggio e valutazione, che non era in discussione. Tuttavia
il silenzio relativo all'istituzione del Comitato nazionale per
l'istruzione liceale parrebbe intendere una rinuncia a tale
proposito.
L'art. 13, comma 11 demanda a
successivi decreti del Ministro dell'istruzione, dell'università e
della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle
finanze, aventi natura non regolamentare, la definizione:
a) delle indicazioni nazionali
riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento declinati
secondo conoscenze, abilità e competenze, con riferimento ai profili
di cui all'articolo 2, commi 1 e 3, in relazione alle attività e
agli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i
percorsi liceali di cui al presente decreto.
b) l'articolazione delle cattedre
per ciascuno dei percorsi liceali di cui agli articoli 4, 5, 6, 7, 8
e 9, in relazione alle classi di concorso del personale docente;
c) gli indicatori per la
valutazione e l'autovalutazione dei percorsi liceali, in relazione
alle proposte formulate dal Comitato di cui all'articolo 12, comma
1, anche con riferimento al quadro europeo per la garanzia della
qualità dei sistemi di istruzione e formazione.
La natura dell'oggetto di
disciplina suggerisce l'utilizzo di atti aventi forza normativa,
sicché appare opportuno eliminare dal testo della disposizione
l'inciso "aventi natura non regolamentare".
La Sezione prende atto che il
Ministero ha raccolto tale suggerimento.
Nella presente sede occorre,
infine, formulare ulteriori osservazioni, che non potevano trovare
spazio nell'interlocutoria.
L'art. 2, comma 3 e l'art. 3
comma 2 impiegano identica espressione ("I percorsi liceali
realizzano il profilo educativo, culturale e professionale dello
studente a conclusione del secondo ciclo del sistema educativo di
istruzione e di formazione per il sistema dei licei di cui
all'allegato A al presente regolamento"), con ciò inducendo
nell'interprete incertezze sul senso della ripetizione, che appare
preferibile evitare.
L'art. 2, comma 3, ultima parte
fa riferimento agli obiettivi specifici di apprendimento "di cui
all'articolo 13, comma 9, lett. a)", rinvio da correggere in "di cui
all'articolo comma 11, lett. a)".
Gli articoli 5, comma 1 ed 8,
comma 1, nell'indicare gli insegnamenti scientifici diversi dalla
matematica, utilizzano l'espressione "scienze sperimentali". La
definizione è imprecisa, perché il metodo sperimentale è comune ad
altre discipline, non aventi carattere strettamente scientifico e,
per converso, non è proprio dell'informatica. Appare pertanto
preferibile utilizzare un'altra denominazione, quale "altre
scienze", oppure "scienze naturali ed informatiche".
L'art. 9, comma 3, relativo al
liceo delle scienze umane, presenta un vuoto materiale laddove,
subito dopo la seconda virgola, non indica il numero di ore del
primo biennio.
P.Q.M.
Esprime parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giancarlo
Coraggio
IL SEGRETARIO
Massimo Meli
***
Numero 00105/2010 e data
13/01/2010
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli
Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 21
dicembre 2009
NUMERO AFFARE 04597/2009
OGGETTO:
Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca.
Schema di regolamento recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
degli istituti tecnici
ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto
2008, n. 133"
LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con
nota prot. Prot/A00/UffLeg/4791del 16 novembre 2009, con la quale il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha
chiesto il parere del Consiglio di Stato in ordine allo schema di
regolamento in oggetto;
Vista la relazione trasmessa con
nota prot. A00/UffLeg/5344 del 15 dicembre 2009, con la quale il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha
risposto al parere interlocutorio del Consiglio di Stato.
Esaminati gli atti e udito il
relatore ed estensore Consigliere Francesco Bellomo.
Con nota del 16 novembre 2009 il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede al
Consiglio di Stato il parere di cui all'articolo 17, comma 25 della
legge 15 maggio 1997, n. 127, sullo schema di regolamento, da
approvare con decreto del Presidente della Repubblica, recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
degli istituti tecnici ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133".
L'articolo 64 del decreto legge
25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008 n. 133, concernente disposizioni in materia di
organizzazione scolastica, al comma 3, stabilisce che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e
previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per materia
e per le conseguenze di carattere finanziario, deve predisporre un
piano programmatico di interventi volti ad una maggiore
razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali
disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza
al sistema scolastico.
Per l'attuazione di detto piano
programmatico il successivo comma 4 prevede che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
adotti uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2
della legge 23 agosto 1988 n. 400, di revisione dell'attuale assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico.
Con lo schema di regolamento in
esame sono introdotte modifiche alle norme generali relative gli
istituti tecnici.
Lo schema è composto dal
preambolo, da dieci articoli, da quattro allegati.
L'articolo 1 definisce l'oggetto
del regolamento. Al comma 1 sono richiamate le disposizioni
normative che collocano gli istituti tecnici nell'ambito
dell'istruzione secondaria superiore che fa parte del secondo ciclo
del sistema di istruzione e formazione. Il comma 2 stabilisce che la
riorganizzazione degli istituti tecnici sia avviata a partire dalle
classi prime e seconde funzionanti nell'anno scolastico 2010-2011.
L'articolo 2 definisce l'identità
degli istituti tecnici, con il fine di far acquisire agli studenti,
in relazione all'esercizio di professioni tecniche, saperi e
competenze fondati su una solida base culturale in cui l'asse
scientifico-tecnologico degli apprendimenti interagisce con la
cultura umanistica e con l'approfondimento delle competenze
comunicativo-relazionali, attraverso lo studio, l'approfondimento e
l'applicazione di linguaggi e metodologie di carattere generale e
specifico, in linea con le indicazioni dell'Unione europea.
Gli articoli 3 e 4 delineano il
quadro di riferimento dei due macro settori dell'istruzione tecnica,
quello economico articolato in due indirizzi e quello tecnologico
articolato in nove indirizzi, come descritti negli allegati B e C.
Rispetto all'attuale ordinamento si determina una riduzione dei
settori (da 10 a 2) e degli indirizzi (da 39 a 11).
L'articolo 5 delinea la struttura
generale e l'organizzazione dei percorsi dell'istruzione tecnica,
con indicazione del monte ore complessivo di lezioni previsto per
ciascuno dei segmenti didattici in cui sono articolati i percorsi
formativi, il rapporto tra l'area degli insegnamenti generali e le
aree di indirizzo, gli spazi di autonomia e le quote di flessibilità
riservate alle istituzioni scolastiche, le metodologie da attivare
per migliorare l'efficacia dei risultati di apprendimento degli
allievi. Si delineano i modelli organizzativi per ampliare la
condivisione della progettazione educativa e il raccordo tra il
Piano dell'offerta formativa adottato dall'istituto e le esigenze
espresse dal territorio e dal mondo del lavoro e delle professioni.
I nuovi indirizzi degli istituti
tecnici, ripartiti tra i due ampi settori di riferimento (economico
e tecnologico), sono caratterizzati da un'area di istruzione
generale, comune a tutti i percorsi, e in distinte aree di
indirizzo, che possono essere ulteriormente specificate in un numero
contenuto di opzioni, con riferimento a documentate esigenze del
mondo del lavoro e del territorio, nell'ambito delle quote di
flessibilità indicate nello schema di regolamento e secondo i
criteri generali che saranno determinati con successivi decreti.
In particolare, gli spazi di
flessibilità riservati agli istituti tecnici corrispondono, con
riferimento all'orario annuale delle lezioni, alle seguenti
aliquote: entro il 30% nel secondo biennio; entro il 35% nell'ultimo
anno.
Gli istituti tecnici hanno, in
questo modo, margini più ampi di autonomia non solo per
l'individuazione degli obiettivi formativi correlati alle esigenze
individuali e ambientali, per l'organizzazione della didattica, per
la ricerca e la sperimentazione, ma, soprattutto, per
l'organizzazione delle aree di indirizzo in risposta ai mutevoli e
diversificati fabbisogni formativi espressi dal mondo del lavoro e
delle professioni.
Il percorso quinquennale degli
istituti tecnici è strutturato in un primo biennio, dedicato
all'acquisizione dei saperi e delle competenze previsti per
l'assolvimento dell'obbligo di istruzione e di apprendimenti che
introducono progressivamente alle aree di indirizzo in funzione
orientativa; un secondo biennio, in cui l'area di indirizzo può
articolarsi in opzioni; un quinto anno, che si conclude con l'esame
di Stato. La struttura oraria varia nel rapporto tra ore da
destinare all'area di istruzione generale ed all'area di indirizzo
secondo una proporzione superiore nel primo biennio a favore della
prima e, nel secondo biennio e quinto anno, a favore della seconda.
L'articolo 6 affronta il tema
della valutazione e dei titoli finali. Per quanto riguarda la
valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del
comportamento degli studenti, nonché la certificazione delle
competenze acquisite, si fa riferimento alla normativa vigente,
ovvero all'art. 13, commi 1, 2 e 6 del decreto legislativo n.
226/2005 e dall'articolo 2 del decreto legge 1 settembre 2008, n.
137, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2008, n.
169.
L'articolo 7 indica le modalità
per il monitoraggio e la valutazione di sistema dei percorsi degli
istituti tecnici, soprattutto ai fini della loro innovazione
permanente. Per questo, è prevista la costituzione, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Comitato nazionale per
l'istruzione tecnica e professionale. E' prevista l'individuazione
di specifici indicatori per la valutazione e l'autovalutazione degli
istituti tecnici sulla base delle proposte del suddetto Comitato
nazionale, anche con riferimento al Quadro europeo per la garanzia
della qualità dei sistemi di istruzione e formazione. Il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca presenta, ogni tre
anni, al Parlamento un rapporto con i risultati del monitoraggio e
della valutazione dei percorsi formativi degli istituti tecnici.
L'articolo 8 disciplina il
passaggio al nuovo ordinamento, rinviando la disciplina di taluni
aspetti a successivi decreti non regolamentari Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Gli istituti
tecnici di ogni tipo e indirizzo confluiscono nel nuovo ordinamento
a partire dall'anno scolastico 2010-2011, secondo quanto previsto
nella tabella descritta nell'Allegato D.
L'articolo 9 contiene le
disposizioni finali.
L'articolo 10 indica le
abrogazioni delle disposizioni relative agli istituti tecnici a
partire dall'anno scolastico 2010-2011.
Gli allegati sono i seguenti:
Allegato A: Profilo educativo,
culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo
ciclo del sistema educativo di istruzione per gli Istituti Tecnici.
Allegato B: Profili degli
indirizzi degli istituti tecnici del settore economico.
B1 - Amministrazione, Finanza e
Marketing;
B2 - Turismo.
Allegato C: Profili degli
indirizzi degli istituti tecnici del settore tecnologico
C1 - Meccanica, Meccatronica ed
Energia;
C2 - Trasporti e Logistica;
C3- Elettrotecnica ed
Elettronica;
C4- Informatica e
Telecomunicazioni;
C5 - Grafica e Comunicazione;
C6 -Chimica, Materiali e
Biotecnologie;
C7 - Sistema Moda;
C8 - Agraria e Agroindustria;
C9 - Costruzioni, Ambiente e
Territorio.
Allegato D: Tabella di confluenza
degli attuali istituti tecnici di ogni tipo ed indirizzo nel nuovo
ordinamento.
CONSIDERATO:
L'atto normativo in esame ha natura di regolamento delegato ai sensi
dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400
("Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza
del Consiglio dei Ministri").
Esso si inserisce nel quadro
degli interventi urgenti predisposti dal Governo con il d.l. n. 112
del 2008 per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria, ed appare specificamente preordinato al
contenimento della spesa per il pubblico impiego (tanto da figurare
all'inizio del capo II, così intitolato), oltre che ad una più
generale implementazione nell'organizzazione scolastica dei principi
di efficacia, efficienza ed economicità, che permeano il moderno
volto del sistema amministrativo.
Trattandosi di un regolamento
delegato, può essere adottato per la disciplina delle materie, non
coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione,
per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio
della potestà regolamentare del governo, determinano le norme
generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle
norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme
regolamentari.
La materia oggetto del presente
regolamento non è sottoposta a riserva di legge assoluta (arg. ex
art. 33, comma 2 Cost. : "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi") e rientra anche nell'organizzazione amministrativa, che è
terreno di elezione per l'uso della potestà regolamentare, anche
delegificante, come dimostrato dallo stesso articolo 17 della legge
23 agosto 1988, n. 400, al comma 4-bis. Sotto tale profilo la
previsione di un regolamento delegato risulta coerente con la
riserva relativa di legge fissata dall'articolo 97, comma 1 della
Costituzione, come attuata dall'articolo 2, comma 1 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, che demanda alla legge la sola
fissazione dei principi generali sull'organizzazione amministrativa.
Il regolamento soddisfa anche il
principio di legalità sostanziale, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo l'articolo 64,
comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 fissa, per la
revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, una pluralità di criteri, i quali
formano un contesto unitario e si integrano reciprocamente. Per
quanto direttamente interessa il regolamento in esame, la fonte
primaria indica come direttiva la "ridefinizione dei curricoli
vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la
razionalizzazione dei diversi piani di studio e relativi quadri
orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e
professionali". Funge da cornice la previsione di cui al comma 6 del
medesimo articolo, il quale stabilisce che dall'attuazione dei commi
1, 2, 3, e 4 devono derivare per il bilancio dello Stato economie
lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009,
a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per
l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.
In secondo luogo il regolamento
costituisce attuazione di un piano programmatico adottato dal
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle Commissioni
parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di
carattere finanziario.
Si realizza, così, una sequenza
di fonti (legge - atto politico di indirizzo - regolamento) in cui
il potere regolamentare risultato conformato non solo dalle
disposizioni di legge, ma anche da un atto intermedio, che vale a
fissare le linee guida su cui l'esecutivo deve esprimersi, così
riducendone la discrezionalità politica e valorizzandone il ruolo
tecnico. Ciò è tanto più da apprezzarsi tenendo conto dell'ampio
coinvolgimento degli organi istituzionali realizzato, attesa la
partecipazione nell'elaborazione del piano programmatico del
Ministro dell'economia e delle finanze, della Conferenza unificata e
delle Commissioni parlamentari competenti, idonea ad esprimere un
punto di vista unitario, in grado di sintetizzare le posizioni dei
diversi livelli di governo della comunità. La stessa predisposizione
dello schema di regolamento da parte del Ministero dell'istruzione
avviene con l'intervento del Ministro dell'economia e delle finanze
e della Conferenza unificata, in simmetria con quanto previsto per
l'adozione del piano programmatico.
Sul piano dei principi resta da
verificare l'ammissibilità e i limiti dell'impiego del regolamento
delegato nella materia dell'istruzione scolastica.
Il riparto delle competenze
normative in materia di istruzione è definito dal nuovo articolo 117
della Cost. come segue:
- spetta allo Stato la potestà
legislativa esclusiva di dettare le "norme generali sull'istruzione"
(comma 2, lett. n);
- spetta alla potestà concorrente
della Regione la materia "istruzione", salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della
formazione professionale (comma 3).
In materia, peraltro, occorre
considerare anche l'articolo 117, comma 2 lett. g), che attribuisce
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato il settore
"ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato", nonché
l'articolo 117, comma 2 lett. e) e l'articolo 119 Cost. per i
profili di finanza pubblica investiti dalla riforma
dell'organizzazione scolastica.
Lo Stato ha la potestà
regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, mentre la
Regione ha la potestà regolamentare in ogni altra materia. Aderendo
alla tesi prevalente in dottrina la giurisprudenza della Corte
costituzionale ha ritenuto ammissibili i regolamenti delegati in
aree che, pur di competenza dello Stato, incrociano profili
spettanti alla Regioni. Nella materia dell'istruzione, definire
interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di
rapporto tra le "norme generali sull'istruzione" e i "principi
fondamentali" in materia di "istruzione" - le prime di competenza
esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le Regioni
nell'esercizio della relativa potestà concorrente - non è sempre
agevole e necessario, nel complesso intrecciarsi in una stessa
materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e
determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche.
In queste condizioni deve
prendersi atto che la scelta compiuta dal legislatore non è priva di
una base formale, poiché una competenza esclusiva statale sussiste e
quindi vi è la possibilità di adottare una normativa secondaria.
L'esistenza nell'ambito oggettivo del regolamento di un'osmosi tra
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e materie di
competenza concorrente non determina, di per sé, alcuna preclusione.
D'altronde il regolamento in questione, proprio in considerazione di
tale osmosi, è stato concepito dalla legge e concretamente attuato
nel suo iter formativo come ispirato al principio di leale
collaborazione con le autonomie locali; in ciò adeguandosi al
principio formulato dalla Corte costituzionale secondo cui nel nuovo
Titolo V della Carta, per valutare se una normativa statale che
occupi spazi spettanti alle Regioni sia invasiva delle attribuzioni
regionali o, invece, costituisca applicazione dei principi di
sussidiarietà e adeguatezza, diviene elemento essenziale la
previsione di forme di concertazione fra lo Stato e le Regioni
interessate. Si aggiunga che la materia è caratterizzata da un forte
tecnicismo, sicché non appare irragionevole l'adozione di uno
strumento più duttile qual è appunto quello regolamentare.
Tali considerazioni risultano
corroborate dalla sentenza n. 200 del 2009 della Corte
costituzionale, la quale, pronunciandosi sulla legittimità
costituzionale dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n.
112, ha affermato che:
- "il sistema generale
dell'istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale,
non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma
iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall'osservanza
dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili
differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili
sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da
un lato, basilari esigenze di "uniformità" di disciplina della
materia su tutto il territorio nazionale, e, dall'altro, esigenze
autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare
soddisfazione mediante l'esercizio di scelte programmatiche e
gestionali rilevanti soltanto nell'ambito del territorio di ciascuna
Regione".
- "Con riguardo, invece, alla
potestà regolamentare, il legislatore ha fatto espresso riferimento
ai regolamenti di delegificazione contemplati nel comma 2 dell'art.
17 della legge n. 400 del 1998. Sul punto, è bene chiarire che il
sesto comma dell'art. 117 Cost., da un lato, autorizza il
legislatore statale, come già sottolineato, ad esercitare la potestà
regolamentare in tutte le materie di legislazione esclusiva dello
Stato; dall'altro, non pone limitazioni, in linea con la sua
funzione di norma di riparto delle competenze, in ordine alla
tipologia di atto regolamentare emanabile. Ne consegue che risulta
conforme al sistema delle fonti la previsione di regolamenti di
delegificazione anche in presenza dell'ambito materiale in esame.
Deve, anzi, ritenersi che le "norme generali sull'istruzione" -
essendo fonti di regolazione di fattispecie relative alla struttura
essenziale del sistema scolastico nazionale - si prestano a ricevere
"attuazione" anche mediante l'emanazione di atti regolamentari di
delegificazione, purché in concreto vengano rispettati il principio
di legalità sostanziale e quello di separazione delle competenze "
- "In secondo luogo, la
disposizione censurata, contenendo "norme generali regolatrici della
materia", cui fa riferimento il citato art. 117, rispetta il
richiamato principio di legalità sostanziale. In particolare, a tale
proposito, il legislatore - nello stabilire che, mediante lo
strumento dei regolamenti di delegificazione, si debba provvedere ad
una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, da intendersi riferito, come già
rilevato, alle sole modifiche relative alle caratteristiche generali
del sistema nazionale dell'istruzione - ha provveduto ad una
predeterminazione contenutistica puntuale dei "criteri" cui deve
rigorosamente attenersi il Governo nell'esercizio della potestà
regolamentare delegata. La chiara delimitazione dei settori di
materia, dei presupposti e delle condizioni cui sono strettamente
vincolati ad attenersi i regolamenti in questione consente,
pertanto, di ritenere che le disposizioni risultanti dalla
concorrenza delle predette fonti, nel loro combinato disposto,
possono essere ascritte alla categoria delle norme generali".
Ciò posto in termini astratti, il
compito della Sezione è di verificare se le singole disposizioni del
regolamento siano rispettose di tali principi sulle fonti e dei
criteri desumibili dalla delega, nonché siano compatibili con il
sistema legislativo dell'istruzione tecnica.
Occorre, dunque, preliminarmente
definire quest'ultimo.
Con la legge 28 marzo 2003, n.
53, anche alla luce dei mutamenti intervenuti con la modifica del
titolo V della Costituzione e la nuova distribuzione dei poteri in
materia di istruzione e formazione tra Stato e Regioni conseguente
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, è stata conferita
al Governo la delega per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di istruzione e formazione professionale. Il Governo ha
esercitato la delega con l'emanazione di appositi decreti
legislativi concernenti i diversi settori di intervento, decreti
legislativi che, anch'essi, hanno subito nel tempo modifiche,
abrogazioni, sospensioni di esecutività.
Per quanto riguarda il secondo
ciclo di istruzione e formazione è stato emanato il decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 che ha inteso rivisitare il
secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione poggiandolo
sulle due gambe del sistema dei licei e del sistema di istruzione e
formazione professionale. Detto decreto prevedeva la confluenza
degli istituti tecnici nel liceo tecnologico e nel liceo economico.
L'art. 13 del decreto legge 31
gennaio 2007, n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007, n. 40, ha
ripristinato l'istruzione tecnico-professionale, articolata negli
istituti tecnici e negli istituti professionali di cui all'articolo
191, commi 2 e 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 16
aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al conseguimento di titoli di
studio quinquennali, caratterizzata da una forte area di istruzione
generale comune ai due ordini di studi e da indirizzi ampi e
flessibili. Il comma 8-bis, lettera a) di detto articolo ha
novellato l'art. 1 del decreto legislativo n. 226/05, riconfigurando
l'assetto del secondo ciclo, che risulta ora articolato
nell'istruzione secondaria superiore, costituita dai licei, dagli
istituti tecnici e dagli istituti professionali e nel sistema di
istruzione e formazione professionale. L'art. 13, commi 1-bis e
1-ter della legge 2 aprile 2007, n. 40 prevede l'emanazione di
regolamenti ministeriali per realizzare la riforma del sistema
dell'istruzione tecnica e professionale, regolamenti mai adottati.
L'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 ribadisce l'esigenza di procedere a una
definitiva razionalizzare dei percorsi scolastici vigenti
nell'ambito di un complessivo processo di revisione e
sistematizzazione degli ordinamenti (suffragata dalle testi espresse
nel "Quaderno bianco sulla scuola"), con esplicito riferimento
proprio agli istituti tecnici e degli istituti professionali.
Attraverso l'articolo 37 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207,
la revisione dell'istruzione secondaria superiore viene
definitivamente fissata "a decorrere dall'anno scolastico e
formativo 2010-2011".
Ad avviso dell'Amministrazione
nel regolamento in esame è confluita anche la materia oggetto dei
regolamenti ministeriali di cui all'articolo 13, commi 1-bis e 1-ter
del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito nella legge 2
aprile 2007, n. 40.
E' condivisibile l'affermazione,
contenuta nella relazione illustrativa, che lo schema di regolamento
si colloca nel vigente quadro di riferimento, rispondendo alle
seguenti esigenze:
a) riconfermare l'identità degli
istituti tecnici all'interno del secondo ciclo del sistema nazionale
di istruzione e di formazione;
b) fare acquisire ai giovani,
attraverso la cultura scientifica, economico-giuridica e tecnica, la
capacità di creare, progettare, contribuire a fare impresa per
partecipare attivamente allo sviluppo economico del Paese;
c) dare risposte chiare ai
giovani e alle famiglie, che si aspettano dalla scuola percorsi
trasparenti e competenze spendibili tanto per l'inserimento nel
mondo del lavoro, quanto per il passaggio ai livelli superiori di
istruzione e formazione, anche per l'esercizio di professioni
tecniche regolamentate;
d) superare la frammentazione dei
percorsi di studio che emergono dagli attuali ordinamenti e dalle
numerose sperimentazioni;
e) rendere più efficienti i
servizi di istruzione e più efficace l'utilizzo delle risorse,
coniugando qualità e risparmio.
La previsione di un numero
contenuto di settori ed indirizzi, la declinazione delle materie di
insegnamento riferite a risultati di apprendimento articolati in
competenze, attività e conoscenze, la previsione di maggiori spazi
di flessibilità nel quadro di criteri generali definiti a livello
nazionale sono espressione di un modello didattico - organizzativo
che intende superare l'attuale frammentazione dei percorsi ed
offrire strumenti alle istituzioni scolastiche per una gestione
efficiente ed efficace delle risorse loro assegnate. Non si tratta,
quindi, di un riordino finalizzato unicamente al contenimento della
spesa.
La Sezione ha invitato il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad
approfondire la questione relativa alla conformità del testo alla
delega.
La norma di delega concerne
espressamente la sola "ridefinizione dei curricoli vigenti nei
diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei
diversi piani di studio e relativi quadri orari". Il piano
programmatico prescrive che: "I piani di studio relativi agli
istituti tecnici e professionali di cui alla legge 2 aprile 2007, n.
40, saranno anch'essi riveduti al fine di pervenire ad una ulteriore
razionalizzazione e semplificazione. Per quanto riguarda
l'istruzione tecnica, se ne definiranno gli indirizzi in un numero
contenuto e adottando un carico orario annuale obbligatorio delle
lezioni non superiore a 32 ore settimanali. Per i citati ordini di
studio le suddette operazioni dovranno essere raccordate con i tempi
previsti per la effettuazione delle iscrizioni e la determinazione
degli organici".
Il testo del regolamento in
visione, pur apparendo più contenuto di quello relativo ai licei,
presenta comunque un impatto significativo sull'ordinamento
dell'istruzione tecnica, che nelle relazione di accompagnamento e
nello stesso preambolo sembra legarsi anche ai criteri di cui
all'articolo 13, commi 1-bis e 1-ter del decreto legge 31 gennaio
2007, n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007, n. 40.
Tuttavia, la formulazione del
preambolo (secondo cui "la materia oggetto dei regolamenti
ministeriali di cui all'articolo 13 del decreto legge n. 7 del 2007,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 40 del 2007 rientra in
quella più ampia oggetto dei regolamenti governativi di cui
all'articolo 64 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) non risulta appropriata,
indicando un assorbimento dei criteri, piuttosto che il loro
utilizzo, per specificare quelli abbastanza generici contenuti
nell'articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
Inoltre si è posto il problema
della corrispondenza del testo dello schema di regolamento ai
criteri enunciati con riferimento ai regolamenti ministeriali
previsti dal predetto art. 13 del decreto legge n. 7 del 2007.
Su tali questioni il Ministero ha
forniti sufficienti chiarimenti, dichiarandosi disponibile a
modificare la formulazione del preambolo. La Sezione, al riguardo,
ritiene che la soluzione migliore sia quella dell'eliminazione del
"Considerato" sopra citato, che è superfluo, una volta che
l'articolo 13 del decreto legge n. 7 del 2007 sia stato già
richiamato nel "Visto".
Per quanto attiene all'ampiezza
dell'intervento di delegificazione, che tocca i profili
ordinamentali e didattici, valgono le considerazioni già svolte per
i licei, atteso che la norma di delega si riferisce "in particolare"
agli istituti tecnici e professionali, per cui se l'intervento
riformatore è ammissibile per i licei, lo è a maggior ragione per
gli istituti tecnici e professionali.
Ciò posto in termini generali,
con riferimento alle singole disposizioni la Sezione si sofferma sui
punti che non ritiene superati o assorbiti dalla risposta del
Ministero.
L'articolo 1 stabilisce che "Il
presente regolamento detta le norme generali relative al riordino
degli istituti tecnici in attuazione del piano programmatico di
interventi di cui all'articolo 64, comma 3, del decreto legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, volti ad una maggiore razionalizzazione
dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, tali da
conferire efficacia ed efficienza al sistema scolastico", ma poi,
contraddittoriamente, l'articolo 9, comma 2 prevede che
"All'attuazione del presente regolamento si provvede in coerenza con
il piano programmatico di cui all'articolo 64, comma 3, del decreto
legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008 n. 133, nei limiti delle risorse finanziarie
previste dagli ordinari stanziamenti di bilancio senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica". Ne consegue che il piano
programmatico viene richiamato a monte ed a valle, mentre -
assumendo che il regolamento costituisca la sua attuazione - la
precisazione che lo stesso debba essere attuato in coerenza con il
piano programmatico è inutile se non dannosa.
E' quindi condivisibile la
riformulazione suggerita dal Ministero del comma 1 dell'art. 16, per
la quale "All'attuazione del presente decreto si provvede nei limiti
delle risorse finanziarie previste dagli ordinari stanziamenti di
bilancio senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica".
L'art. 5, comma 3 prevede che le
istituzioni scolastiche costituiscano dipartimenti, quali
articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno
alla didattica e alla progettazione formativa (lett. b), nonché un
comitato scientifico, con una composizione paritetica di docenti e
di esperti del mondo del lavoro, delle professioni, della ricerca
scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per
l'organizzazione e l'utilizzazione degli spazi di autonomia e
flessibilità (lett. c). La disposizione suscita perplessità sia con
riguardo al rispetto della riserva di legge in materia di
organizzazione (con particolare riguardo alla materia dei collegi),
essendo estranea all'ambito della delega, sia con riguardo al
rispetto dell'autonomia scolastica, apparendo più coerente con
l'obiettivo di realizzare l'autonomia lasciare alle istituzioni
scolastiche la scelta in ordine all'opportunità di istituire tali
organi nello specifico contesto in cui operano. I chiarimenti
forniti non appaiono sufficienti a superare tali perplessità con
riguardo all'istituzione del Comitato scientifico.
L'art. 7, comma 1 stabilisce che,
al fine di un costante monitoraggio sugli istituti tecnici anche
preordinato alla loro innovazione, il Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca si avvale di un apposito Comitato
nazionale per l'istruzione tecnica e professionale, costituito con
proprio decreto, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza
pubblica, del quale fanno parte dirigenti e docenti della scuola,
esperti del mondo del lavoro e delle professioni, dell'università e
della ricerca nonché esperti indicati dalla Conferenza dei
Presidenti delle Regioni e dall'Unione Province d'Italia, dal
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, dal
Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero della gioventù.
Il Comitato si articola in commissioni di settore e si avvale anche
dell'assistenza tecnica dell'Agenzia Nazionale per lo sviluppo
dell'autonomia Scolastica (A.N.S.A.S.), dell'Istituto per lo
Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori (ISFOL), di
Italia Lavoro e dell'Istituto per la Promozione Industriale (IPI).
Ai componenti del comitato non spettano compensi a qualsiasi titolo
dovuti. Il Ministero dell'istruzione non ha chiarito né la
compatibilità di tale previsione con l'oggetto della delega, né la
sua rispondenza alle esigenze di semplificazione enunciate in detta
delega, ribadendo invece la necessità dell'opera di monitoraggio e
valutazione, che non era in discussione. Tuttavia il silenzio
relativo all'istituzione del Comitato nazionale per l'istruzione
liceale parrebbe intendere una rinuncia a tale proposito.
L'art. 8, comma 2 demanda a un
successivo decreto ministeriale di natura non regolamentare,
adottato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della
ricerca, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze,
sentita la Conferenza Stato-Regioni e Province autonome, la
definizione di aspetti che attuano e completano le disposizioni
contenute nello schema di regolamento in esame, quali:
a) le indicazioni nazionali
riguardanti le competenze, le abilità e le conoscenze, con
riferimento ai risultati di apprendimento di cui all'articolo 3,
comma 1, e all'articolo 4, comma 1, in relazione agli insegnamenti
di cui agli allegati B) e C);
b) gli ambiti, i criteri e le
modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo di
cui agli articoli 3 e 4 relativi agli spazi di flessibilità di cui
all'articolo 5, comma 3, lettera a) in un numero contenuto di
opzioni, incluse in un apposito elenco nazionale, da attivare in
ogni caso nei limiti degli organici determinati a legislazione
vigente;
c) i criteri per il raccordo tra
il previgente ordinamento e quello previsto dal presente regolamento
per accompagnarne il passaggio nelle seconde classi funzionanti
nell'anno scolastico 2010-2011, nelle quali si completa
l'assolvimento dell'obbligo di istruzione;
d) la rideterminazione dei quadri
orario, comprensiva delle ore di compresenza degli insegnanti
tecnico-pratici, a partire dalle terze e quarte classi degli
istituti tecnici funzionanti nell'anno scolastico 2010-2011, secondo
il previgente ordinamento, con un orario complessivo annuale
corrispondente a 32 ore settimanali.
L'art. 8, comma 3 demanda a
decreti di natura non regolamentare, egualmente adottati di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze, di definire:
a) le classi di concorso del
personale docente, ivi compreso quello da destinare all'ufficio
tecnico, e l'articolazione delle cattedre per ciascuno degli
indirizzi di cui agli allegati B) e C);
b) i criteri generali per
l'insegnamento, in lingua inglese, di una disciplina non linguistica
compresa nell'area di indirizzo del quinto anno, da attivare in ogni
caso nei limiti degli organici determinati a legislazione vigente;
c) gli indicatori per la
valutazione e l'autovalutazione degli istituti tecnici, in relazione
alle proposte formulate del Comitato di cui all'articolo 7, comma 1,
anche con riferimento al quadro europeo per la garanzia della
qualità dei sistemi di istruzione e formazione.
In entrambi casi la natura
dell'oggetto di disciplina suggerisce l'utilizzo di atti aventi
forza normativa, sicché appare opportuno eliminare dal testo delle
due disposizioni l'inciso "di natura non regolamentare".
La Sezione prende atto che il
Ministero ha raccolto tale suggerimento.
P.Q.M.
Esprime parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giancarlo
Coraggio
IL SEGRETARIO
Massimo Meli
***
Numero 00106/2010 e data 13/01/2010
REPUBBLICA ITALIANA
Consiglio di Stato
Sezione Consultiva per gli Atti Normativi
Adunanza di Sezione del 21 dicembre 2009
NUMERO AFFARE 04599/2009
OGGETTO:
Ministero dell'istruzione,
dell'università e della ricerca.
Schema di regolamento recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
degli istituti professionali
ai sensi dell'articolo 64, comma
4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133".
LA SEZIONE
Vista la relazione trasmessa con
nota prot. A00/UffLeg/4790 del 16 novembre 2009, con la quale il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede il
parere del Consiglio di Stato in ordine allo schema di regolamento
in oggetto;
vista la relazione trasmessa con
nota prot. A00/UffLeg/5343 del 15 dicembre 2009, con la quale il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha
risposto al parere interlocutorio del Consiglio di Stato
Esaminati gli atti e udito il
relatore ed estensore Consigliere Francesco Bellomo;
Con nota del 16 novembre 2009 il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca chiede al
Consiglio di Stato il parere di cui all'articolo 17, comma 25 della
legge 15 maggio 1997, n. 127, sullo schema di regolamento, da
approvare con decreto del Presidente della Repubblica, recante
"Revisione dell'assetto ordinamentale, organizzativo e didattico
degli istituti professionali ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni
dalla legge 6 agosto 2008, n. 133".
L'articolo 64 del decreto legge
25 giugno 2008 n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008 n. 133, concernente disposizioni in materia di
organizzazione scolastica, al comma 3, stabilisce che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e
previo parere delle Commissioni Parlamentari competenti per materia
e per le conseguenze di carattere finanziario, deve predisporre un
piano programmatico di interventi volti ad una maggiore
razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali
disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza
al sistema scolastico.
Per l'attuazione di detto piano
programmatico il successivo comma 4 prevede che il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il
Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza
unificata di cui al decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281,
adotti uno o più regolamenti ai sensi dell'articolo 17, comma 2
della legge 23 agosto 1988 n. 400, di revisione dell'attuale assetto
ordinamentale, organizzativo e didattico del sistema scolastico.
Con lo schema di regolamento in
esame sono introdotte modifiche alle norme generali relative agli
istituti professionali.
Lo schema è composto dal
preambolo, da dieci articoli, da quattro allegati.
L'articolo 1 definisce l'oggetto
del regolamento. Il comma 1 richiama le disposizioni normative che
collocano gli istituti professionali nell'ambito dell'istruzione
secondaria superiore, che fa parte del secondo ciclo del sistema di
istruzione e formazione. Il comma 2 stabilisce che la
riorganizzazione degli istituti tecnici sia avviata a partire dalle
classi prime e seconde funzionanti nell'anno scolastico 2010-2011.
L'articolo 2 definisce l'identità
degli istituti professionali, basata sull'integrazione tra una
solida base di istruzione generale e una cultura
tecnico-professionale, che consenta agli studenti di acquisire
saperi e competenze adeguati a soddisfare le esigenze formative del
settore produttivo di riferimento. L'offerta formativa è connotata
da un contenuto numero di settori ed indirizzi, che fanno
riferimento al generale profilo educativo culturale e professionale
descritto nell'allegato A. ed agli specifici profili di uscita, con
i rispettivi quadri orari, relativi a ciascuno degli indirizzi
descritti negli allegati B e C.
Gli articoli 3 e 4 delineano il
quadro di riferimento dei due macro settori dell'istruzione
professionale, quello dei servizi articolato in cinque indirizzi
(art. 3) e quello industria ed artigianato articolato in un solo
indirizzo (art. 4), come descritti negli allegati B e C. Rispetto
all'attuale ordinamento si determina una riduzione dei settori (da 5
a 2) e degli indirizzi (da 27 a 6).
L'articolo 5 delinea la struttura
generale e l'organizzazione dei percorsi dell'istruzione tecnica,
con indicazione del monte ore complessivo di lezioni previsto per
ciascuno dei segmenti didattici in cui sono articolati i percorsi
formativi, il rapporto tra l'area degli insegnamenti generali e le
aree di indirizzo, gli spazi di autonomia e le quote di flessibilità
riservate alle istituzioni scolastiche, le metodologie da attivare
per migliorare l'efficacia dei risultati di apprendimento degli
allievi. Si delineano i modelli organizzativi per ampliare la
condivisione della progettazione educativa e il raccordo tra il
Piano dell'offerta formativa adottato dall'istituto e le esigenze
espresse dal territorio e dal mondo del lavoro e delle professioni.
I nuovi indirizzi degli istituti
professionali, ripartiti in due ampi settori di riferimento (servizi
e industria e artigianato), sono caratterizzati da un'area di
istruzione generale, comune a tutti i percorsi, e in distinte aree
di indirizzo, che possono essere ulteriormente specificate in un
numero contenuto di opzioni, con riferimento a documentate esigenze
del mondo del lavoro e del territorio, nell'ambito delle quote di
flessibilità indicate al comma 3, lettera a), dell' articolo in
esame.
In particolare, gli spazi di
flessibilità riservati agli istituti professionali corrispondono,
con riferimento all'orario annuale delle lezioni, alle seguenti
aliquote: entro il 25% nel primo biennio; entro il 35% nel secondo
biennio; entro il 40% nell'ultimo anno.
Gli istituti professionali hanno,
in questo modo, margini più ampi di autonomia per l'individuazione
degli obiettivi formativi correlati alle esigenze di
personalizzazione di percorsi e territoriali, per l'organizzazione
della didattica, per la ricerca e la sperimentazione. Tali spazi
potranno consentire loro di organizzare le aree di indirizzo in modo
da realizzare, in via sussidiaria, percorsi per il conseguimento di
qualifiche e diplomi professionali, sulla base delle intese di cui
dall'articolo 2, comma 3.
Il percorso quinquennale degli
istituti professionali è strutturato in un primo biennio, dedicato
all'acquisizione dei saperi e delle competenze previsti per
l'assolvimento dell'obbligo di istruzione e di apprendimenti che
introducono progressivamente alle aree di indirizzo in funzione
orientativa; un secondo biennio, in cui l'area di indirizzo può
articolarsi in opzioni; un quinto anno, che si conclude con l'esame
di Stato.
La struttura oraria varia nel
rapporto tra ore da destinare all'area di istruzione generale ed
all'area di indirizzo secondo una proporzione superiore nel primo
biennio a favore della prima e, nel secondo biennio e quinto anno, a
favore della seconda.
L'articolo 6 affronta il tema
della valutazione e dei titoli finali. Per quanto riguarda la
valutazione, periodica e annuale, degli apprendimenti e del
comportamento degli studenti, nonché la certificazione delle
competenze acquisite, si fa riferimento alla normativa vigente,
ovvero all'art. 13, commi 1, 2 e 6 del decreto legislativo n. 226
del 2005 e dall'articolo 2 del decreto legge 1 settembre 2008, n.
137, convertito dalla legge 30 ottobre 2008 n. 169.
L'articolo 7 indica le modalità
per il monitoraggio e la valutazione di sistema dei percorsi degli
istituti professionali, soprattutto ai fini della loro innovazione
permanente. Per questo, è prevista la costituzione, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, di un Comitato nazionale per
l'istruzione tecnica e professionale. E' prevista l'individuazione
di specifici indicatori per la valutazione e l'autovalutazione degli
istituti professionali sulla base delle proposte del suddetto
Comitato nazionale, anche con riferimento al Quadro europeo per la
garanzia della qualità dei sistemi di istruzione e formazione. Il
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca presenta,
ogni tre anni, al Parlamento un rapporto con i risultati del
monitoraggio e della valutazione dei percorsi formativi degli
istituti professionali.
L'articolo 8 disciplina il
passaggio al nuovo ordinamento. L'articolo 8 disciplina il passaggio
al nuovo ordinamento, rinviando la disciplina di taluni aspetti a
successivi decreti non regolamentari Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca. Gli istituti professionali di ogni
tipo e indirizzo confluiscono nel nuovo ordinamento a partire
dall'anno scolastico 2010-2011, secondo quanto previsto nella
tabella descritta nell'Allegato D
L'articolo 9 contiene le
disposizioni finali.
L'articolo 10 indica le
abrogazioni delle disposizioni relative agli istituti professionali
a partire dall'a.s. 2010-2011.
Gli allegati sono i seguenti:
Allegato A: Profilo educativo,
culturale e professionale dello studente a conclusione del secondo
ciclo del sistema educativo di istruzione per gli istituti
professionali
Allegato B: Profili degli
indirizzi degli istituti professionali del settore servizi
B1- Servizi per l'agricoltura e
lo sviluppo rurale
B2- Servizi per la manutenzione e
l'assistenza tecnica
B3 - Servizi socio-sanitari
B4 - Servizi per l'enogastronomia
e l'ospitalità alberghiera
B5 - Servizi commerciali
Allegato C: Profili degli
indirizzi degli istituti professionali del settore industria e
commercio
C1 Produzioni industriali ed
artigianali
Allegato D: Tabella di confluenza
degli attuali istituti professionali di ogni tipo ed indirizzo nel
nuovo ordinamento
CONSIDERATO:
L'atto normativo in esame ha
natura di regolamento delegato ai sensi dell'art. 17, comma 2, della
legge 23 agosto 1988, n. 400 ("Disciplina dell'attività di Governo e
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri").
Esso si inserisce nel quadro
degli interventi urgenti predisposti dal Governo con il d.l. n. 112
del 2008 per lo sviluppo economico, la semplificazione, la
competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la
perequazione tributaria, ed appare specificamente preordinato al
contenimento della spesa per il pubblico impiego (tanto da figurare
all'inizio del capo II, così intitolato), oltre che ad una più
generale implementazione nell'organizzazione scolastica dei principi
di efficacia, efficienza ed economicità, che permeano il moderno
volto del sistema amministrativo.
Trattandosi di un regolamento
delegato, può essere adottato per la disciplina delle materie, non
coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione,
per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l'esercizio
della potestà regolamentare del governo, determinano le norme
generali regolatrici della materia e dispongono l'abrogazione delle
norme vigenti, con effetto dall'entrata in vigore delle norme
regolamentari.
La materia oggetto del presente
regolamento non è sottoposta a riserva di legge assoluta (arg. ex
art. 33, comma 2 Cost. : "La Repubblica detta le norme generali
sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e
gradi") e rientra anche nell'organizzazione amministrativa, che è
terreno di elezione per l'uso della potestà regolamentare, anche
delegificante, come dimostrato dallo stesso articolo 17 della legge
23 agosto 1988, n. 400, al comma 4-bis. Sotto tale profilo la
previsione di un regolamento delegato risulta coerente con la
riserva relativa di legge fissata dall'articolo 97, comma 1 della
Costituzione, come attuata dall'articolo 2, comma 1 del decreto
legislativo n. 165 del 2001, che demanda alla legge la sola
fissazione dei principi generali sull'organizzazione amministrativa.
Il regolamento soddisfa anche il
principio di legalità sostanziale, per un duplice ordine di ragioni.
In primo luogo l'articolo 64,
comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112 fissa, per la
revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, una pluralità di criteri, i quali
formano un contesto unitario e si integrano reciprocamente. Per
quanto direttamente interessa il regolamento in esame, la fonte
primaria indica come direttiva la "ridefinizione dei curricoli
vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la
razionalizzazione dei diversi piani di studio e relativi quadri
orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e
professionali". Funge da cornice la previsione di cui al comma 6 del
medesimo articolo, il quale stabilisce che dall'attuazione dei commi
1, 2, 3, e 4 devono derivare per il bilancio dello Stato economie
lorde di spesa, non inferiori a 456 milioni di euro per l'anno 2009,
a 1.650 milioni di euro per l'anno 2010, a 2.538 milioni di euro per
l'anno 2011 e a 3.188 milioni di euro a decorrere dall'anno 2012.
In secondo luogo il regolamento
costituisce attuazione di un piano programmatico adottato dal
Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la
Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281 e previo parere delle Commissioni
parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di
carattere finanziario.
Si realizza, così, una sequenza
di fonti (legge - atto politico di indirizzo - regolamento) in cui
il potere regolamentare risultato conformato non solo dalle
disposizioni di legge, ma anche da un atto intermedio, che vale a
fissare le linee guida su cui l'esecutivo deve esprimersi, così
riducendone la discrezionalità politica e valorizzandone il ruolo
tecnico. Ciò è tanto più da apprezzarsi tenendo conto dell'ampio
coinvolgimento degli organi istituzionali realizzato, attesa la
partecipazione nell'elaborazione del piano programmatico del
Ministro dell'economia e delle finanze, della Conferenza unificata e
delle Commissioni parlamentari competenti, idonea ad esprimere un
punto di vista unitario, in grado di sintetizzare le posizioni dei
diversi livelli di governo della comunità. La stessa predisposizione
dello schema di regolamento da parte del Ministero dell'istruzione
avviene con l'intervento del Ministro dell'economia e delle finanze
e della Conferenza unificata, in simmetria con quanto previsto per
l'adozione del piano programmatico.
Sul piano dei principi resta da
verificare l'ammissibilità e i limiti dell'impiego del regolamento
delegato nella materia dell'istruzione scolastica.
Il riparto delle competenze
normative in materia di istruzione è definito dal nuovo articolo 117
della Cost. come segue:
- spetta allo Stato la potestà
legislativa esclusiva di dettare le "norme generali sull'istruzione"
(comma 2, lett. n);
- spetta alla potestà concorrente
della Regione la materia "istruzione", salva l'autonomia delle
istituzioni scolastiche e con esclusione dell'istruzione e della
formazione professionale (comma 3).
In materia, peraltro, occorre
considerare anche l'articolo 117, comma 2 lett. g), che attribuisce
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato il settore
"ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato", nonché
l'articolo 117, comma 2 lett. e) e l'articolo 119 Cost. per i
profili di finanza pubblica investiti dalla riforma
dell'organizzazione scolastica.
Lo Stato ha la potestà
regolamentare nelle materie di legislazione esclusiva, mentre la
Regione ha la potestà regolamentare in ogni altra materia. Aderendo
alla tesi prevalente in dottrina la giurisprudenza della Corte
costituzionale ha ritenuto ammissibili i regolamenti delegati in
aree che, pur di competenza dello Stato, incrociano profili
spettanti alla Regioni. Nella materia dell'istruzione, definire
interamente le rispettive sfere di applicazione e il tipo di
rapporto tra le "norme generali sull'istruzione" e i "principi
fondamentali" in materia di "istruzione" - le prime di competenza
esclusiva dello Stato ed i secondi destinati a orientare le Regioni
nell'esercizio della relativa potestà concorrente - non è sempre
agevole e necessario, nel complesso intrecciarsi in una stessa
materia di norme generali, principi fondamentali, leggi regionali e
determinazioni autonome delle istituzioni scolastiche.
In queste condizioni deve
prendersi atto che la scelta compiuta dal legislatore non è priva di
una base formale, poiché una competenza esclusiva statale sussiste e
quindi vi è la possibilità di adottare una normativa secondaria.
L'esistenza nell'ambito oggettivo del regolamento di un'osmosi tra
materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato e materie di
competenza concorrente non determina, di per sé, alcuna preclusione.
D'altronde il regolamento in questione, proprio in considerazione di
tale osmosi, è stato concepito dalla legge e concretamente attuato
nel suo iter formativo come ispirato al principio di leale
collaborazione con le autonomie locali; in ciò adeguandosi al
principio formulato dalla Corte costituzionale secondo cui nel nuovo
Titolo V della Carta, per valutare se una normativa statale che
occupi spazi spettanti alle Regioni sia invasiva delle attribuzioni
regionali o, invece, costituisca applicazione dei principi di
sussidiarietà e adeguatezza, diviene elemento essenziale la
previsione di forme di concertazione fra lo Stato e le Regioni
interessate. Si aggiunga che la materia è caratterizzata da un forte
tecnicismo, sicché non appare irragionevole l'adozione di uno
strumento più duttile qual è appunto quello regolamentare.
Tali considerazioni risultano
corroborate dalla sentenza n. 200 del 2009 della Corte
costituzionale, la quale, pronunciandosi sulla legittimità
costituzionale dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n.
112, ha affermato che:
- "il sistema generale
dell'istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale,
non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma
iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall'osservanza
dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili
differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili
sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da
un lato, basilari esigenze di "uniformità" di disciplina della
materia su tutto il territorio nazionale, e, dall'altro, esigenze
autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare
soddisfazione mediante l'esercizio di scelte programmatiche e
gestionali rilevanti soltanto nell'ambito del territorio di ciascuna
Regione".
- "Con riguardo, invece, alla
potestà regolamentare, il legislatore ha fatto espresso riferimento
ai regolamenti di delegificazione contemplati nel comma 2 dell'art.
17 della legge n. 400 del 1998. Sul punto, è bene chiarire che il
sesto comma dell'art. 117 Cost., da un lato, autorizza il
legislatore statale, come già sottolineato, ad esercitare la potestà
regolamentare in tutte le materie di legislazione esclusiva dello
Stato; dall'altro, non pone limitazioni, in linea con la sua
funzione di norma di riparto delle competenze, in ordine alla
tipologia di atto regolamentare emanabile. Ne consegue che risulta
conforme al sistema delle fonti la previsione di regolamenti di
delegificazione anche in presenza dell'ambito materiale in esame.
Deve, anzi, ritenersi che le "norme generali sull'istruzione" -
essendo fonti di regolazione di fattispecie relative alla struttura
essenziale del sistema scolastico nazionale - si prestano a ricevere
"attuazione" anche mediante l'emanazione di atti regolamentari di
delegificazione, purché in concreto vengano rispettati il principio
di legalità sostanziale e quello di separazione delle competenze "
- "In secondo luogo, la
disposizione censurata, contenendo "norme generali regolatrici della
materia", cui fa riferimento il citato art. 117, rispetta il
richiamato principio di legalità sostanziale. In particolare, a tale
proposito, il legislatore - nello stabilire che, mediante lo
strumento dei regolamenti di delegificazione, si debba provvedere ad
una revisione dell'attuale assetto ordinamentale, organizzativo e
didattico del sistema scolastico, da intendersi riferito, come già
rilevato, alle sole modifiche relative alle caratteristiche generali
del sistema nazionale dell'istruzione - ha provveduto ad una
predeterminazione contenutistica puntuale dei "criteri" cui deve
rigorosamente attenersi il Governo nell'esercizio della potestà
regolamentare delegata. La chiara delimitazione dei settori di
materia, dei presupposti e delle condizioni cui sono strettamente
vincolati ad attenersi i regolamenti in questione consente,
pertanto, di ritenere che le disposizioni risultanti dalla
concorrenza delle predette fonti, nel loro combinato disposto,
possono essere ascritte alla categoria delle norme generali".
Se queste sono le coordinate
generali nella materia dell'istruzione, problemi specifici si
pongono nel settore dell'istruzione professionale, atteso che l'art.
117 comma 3 della Costituzione attribuisce alle Regioni la potestà
legislativa esclusiva in materia di "istruzione e formazione
professionale", restando allo Stato solo di fissare i livelli
essenziali delle prestazioni ai sensi dell'art. 117, comma 2, lett.
n).
Tuttavia occorre pur sempre
distinguere l'istruzione e formazione professionale, di competenza
regionale, dalle norme generali in materia di istruzione, che
abbracciano anche l'istruzione professionale e sono di competenza
dello Stato. La dottrina maggioritaria e la Corte costituzionale
sono orientate in tal senso.
E' stato infatti osservato che in
considerazione dell'attuale assetto costituzionale non è possibile
ritenere che la materia dell'istruzione e formazione professionale
(sia che si intenda l'espressione utilizzata dal legislatore come
riferita ad un unico settore, sia che la si intenda riferita a due
settori tra loro distinti seppure connessi in senso oggettivo e
funzionale) sia del tutto autonoma rispetto alla materia
"istruzione", così come non è possibile ritenere che si tratti di
ambiti ordinamentali integralmente separati ed autonomi e, quindi,
escludere qualsivoglia interferenza fra legislatore regionale e
legislatore statale. Al riguardo va in primo luogo considerato che
il terzo comma dell'art. 117 Cost. fa salva l'istruzione e
formazione professionale rispetto alla competenza legislativa
statale concorrente relativa alla "istruzione. Se fosse mancata tale
precisazione la materia "istruzione e formazione professionale"
sarebbe stata integralmente compresa nell'ambito della materia
"istruzione" e, quindi, soggetta al vincolo dei principi
fondamentali posti o desumibili dalla legislazione statale. La
formulazione dell'art. 117, comma terzo, nella parte riferita alla
materia "istruzione", ha inteso scorporare uno specifico e
determinato sottosettore al fine di sottrarlo alla disciplina
propria della potestà legislativa concorrente, ma ciò non esclude
che la materia "istruzione e formazione professionale" manifesti
elementi di collegamento con il più rientri nel più generale ambito
della sfera normativa, regolamentare, amministrativa ed
istituzionale che fa capo alla materia "istruzione". Ne consegue,
allora e per converso, che se la potestà legislativa regionale
concernente la materia "istruzione e formazione professionale" non è
soggetta di per sé ai limiti dei principi fondamentali della
legislazione statale deve comunque confrontarsi con le "norme
generali sull'istruzione" dettate dallo Stato, oltre che
naturalmente con tutte le competenze spettanti allo Stato sempre
sulla base della Costituzione.
La Corte costituzionale ha
osservato che in questo caso non si tratta della ripartizione di una
medesima competenza legislativa inerente allo stesso settore
ordinamentale, bensì di una "concorrenza di competenze" (sentenza n.
50 del 2005). In coerenza con siffatta impostazione la Consulta si è
sforzata di enucleare dei criteri attraverso i quali stabilire
l'ambito riservato a ciascuna delle competenze e a risolvere i
problemi derivanti dalla compresenza (e possibile interferenza) di
distinte potestà legislative. Sotto il primo profilo la Corte,
chiamata a valutare la sussistenza o meno della competenza (statale
ovvero regionale) ad adottare una certa normativa, ha fatto
riferimento al criterio della prevalenza incentrato sulla verifica
dell'appartenenza allo Stato ovvero alle Regioni del nucleo
essenziale del complesso normativo sottoposto al suo vaglio
(sentenza n. 370/2003). Sotto il secondo profilo la Corte ha fatto
riferimento al criterio della leale collaborazione in virtù del
quale in ambiti o settori caratterizzati da compresenza la normativa
non può essere dettata dallo Stato ovvero dalla singola Regione "in
solitudine" dovendo essere assicurata alle seconde ovvero al primo
la possibilità di interagire con un non disprezzabile grado di
intensità (sentenza n. 279/2005).
La Corte costituzionale si è
altresì sforzata di fornire alcune indicazioni circa il possibile
contenuto precettivo delle "norme generali sull'istruzione" e delle
norme regionali attinenti alla "istruzione" e alla "istruzione e
formazione professionale", per un verso procedendo a delimitare in
negativo l'ambito della potestà legislativa esclusiva delle Regioni
e, per altro verso, intervenendo a ripartire l'ambito della potestà
legislativa con lo Stato.
Per quanto concerne la
delimitazione della potestà legislativa esclusiva delle Regioni
anzitutto è stata esclusa (in particolare la sentenza n. 13/2004)
ogni interpretazione del nuovo art. 117 tesa a una riduzione della
potestà legislativa di cui le Regioni erano titolari prima della
riforma del titolo V e dell'entrata in vigore del nuovo testo della
menzionata norma. Ciò significa che, essendo state le Regioni già
titolari della potestà legislativa in materia di "istruzione
artigiana e professionale", per effetto della nuova formulazione
dell'art. 117 non possono aver subito alcuna riduzione della potestà
legislativa in materia di formazione professionale. Poi si è
affermato (sentenza n. 213/2009) che "In materia di istruzione e
formazione professionale, la Costituzione (art. 117) ripartisce nel
seguente modo la potestà legislativa tra lo Stato e le Regioni:
spetta allo Stato, in via esclusiva, la potestà legislativa relativa
alle norme generali sull'istruzione; spetta a Stato e Regioni, in
via concorrente, la potestà legislativa sull'istruzione, fatta salva
l'autonomia delle istituzioni scolastiche; spetta alle Regioni, in
via residuale, la potestà legislativa concernente la formazione
professionale". In particolare, ad avviso della Corte, la disciplina
degli esami di Stato per l'accesso agli studi universitari ed
all'alta formazione ricade nella materia dell'istruzione, in quanto
conclude il percorso di istruzione secondaria superiore ed avvia gli
studi di istruzione superiore. Inoltre, essa fa parte dei principi
della materia dell'istruzione perché è un elemento di quella
struttura essenziale del relativo sistema nazionale che non può
essere oggetto di normazione differenziata su base territoriale e
deve essere regolata in modo unitario sull'intero territorio della
Repubblica. Il sistema della formazione professionale e quello
dell'istruzione costituiscono parti distinte del sistema nazionale
di istruzione. Già l'art. 141 del decreto legislativo n. 112 del
1998 aveva incluso nell'ambito di competenza esclusiva delle Regioni
in materia di formazione professionale soltanto "la formazione
impartita dagli istituti professionali, nel cui ambito non
funzionano corsi di studio di durata quinquennale per il
conseguimento del diploma di istruzione secondaria superiore";
L'art. 13, comma terzo, della
legge n. 40 del 2007 - come tra breve si vedrà - ha riportato gli
istituti professionali nel sistema dell'istruzione secondaria. Il
presente regolamento costituisce attuazione del solo art. 64, comma
quarto, lett. b), ma anche di tale ultima disposizione, certamente
ascrivibile tra le "norme generali in tema d'istruzione", come
dimostrato anche dalla circostanza che essa incide sul decreto
legislativo n. 226 del 2005, cui è stata riconosciuta la predetta
natura.
Ciò posto in termini astratti, il
compito della Sezione è di verificare se le singole disposizioni del
regolamento siano rispettose di tali principi sulle fonti e dei
criteri desumibili dalla delega, nonché siano compatibili con il
sistema legislativo dell'istruzione professionale.
Occorre, dunque, preliminarmente
definire quest'ultimo.
Con la legge 28 marzo 2003, n.
53, anche alla luce dei mutamenti intervenuti con la modifica del
titolo V della Costituzione e la nuova distribuzione dei poteri in
materia di istruzione e formazione tra Stato e Regioni conseguente
alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, è stata conferita
al Governo la delega per la definizione delle norme generali
sull'istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in
materia di istruzione e formazione professionale. Il Governo ha
esercitato la delega con l'emanazione di appositi decreti
legislativi concernenti i diversi settori di intervento, decreti
legislativi che, anch'essi, hanno subito nel tempo modifiche,
abrogazioni, sospensioni di esecutività.
Per quanto riguarda il secondo
ciclo di istruzione e formazione è stato emanato il decreto
legislativo 17 ottobre 2005, n. 226 che ha inteso rivisitare il
secondo ciclo del sistema di istruzione e formazione poggiandolo
sulle due gambe del sistema dei licei e del sistema di istruzione e
formazione professionale. Detto decreto prevedeva la confluenza
degli istituti professionali nei licei, come già per gli istituti
tecnici.
L'art. 13 del decreto legge 31
gennaio 2007, n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007, n. 40, ha
ripristinato l'istruzione tecnico-professionale, articolata negli
istituti tecnici e negli istituti professionali di cui all'articolo
191, commi 2 e 3, del testo unico di cui al decreto legislativo 16
aprile 1994, n. 297, tutti finalizzati al conseguimento di titoli di
studio quinquennali, caratterizzata da una forte area di istruzione
generale comune ai due ordini di studi e da indirizzi ampi e
flessibili. Il comma 8-bis, lettera a) di detto articolo ha
novellato l'art. 1 del decreto legislativo n. 226/05, riconfigurando
l'assetto del secondo ciclo, che risulta ora articolato
nell'istruzione secondaria superiore, costituita dai licei, dagli
istituti tecnici e dagli istituti professionali e nel sistema di
istruzione e formazione professionale. L'art. 13, commi 1-bis e
1-ter della legge 2 aprile 2007, n. 40 prevede l'emanazione di
regolamenti ministeriali per realizzare la riforma del sistema
dell'istruzione tecnica e professionale, regolamenti mai adottati.
L'articolo 64, comma 4, del
decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6
agosto 2008, n. 133 ribadisce l'esigenza di procedere a una
definitiva razionalizzare dei percorsi scolastici vigenti
nell'ambito di un complessivo processo di revisione e
sistematizzazione degli ordinamenti (suffragata dalle testi espresse
nel "Quaderno bianco sulla scuola"), con esplicito riferimento
proprio agli istituti tecnici e degli istituti professionali.
Attraverso l'articolo 37 del decreto legge 30 dicembre 2008, n. 207,
la revisione dell'istruzione secondaria superiore viene
definitivamente fissata "a decorrere dall'anno scolastico e
formativo 2010-2011".
Ad avviso dell'Amministrazione
nel regolamento in esame è confluita anche la materia oggetto dei
regolamenti ministeriali di cui all'articolo 13, commi 1-bis e 1-ter
del decreto legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito nella legge 2
aprile 2007, n. 40.
E' condivisibile l'affermazione,
contenuta nella relazione illustrativa, che lo schema di regolamento
si colloca nel vigente quadro di riferimento, rispondendo alle
seguenti esigenze:
o riaffermare l'identità degli
istituti professionali all'interno del secondo ciclo del sistema
nazionale di istruzione e formazione, che nel contempo valorizzi il
"capitale sociale" accumulato dagli istituti professionali nella
loro pluridecennale esperienza e assuma gradualmente una
configurazione in grado di rispondere in maniera flessibile alla
richiesta di competenze sempre più avanzate connesse a precisi
ambiti settoriali aventi rilevanza nazionale;
o fare acquisire ai giovani,
attraverso una solida base di istruzione generale e di cultura
professionale i saperi e le competenze necessarie per assumere ruoli
tecnici operativi nei settori produttivi e di servizio di
riferimento, considerati nella loro dimensione sistemica;
o dare risposte chiare ai giovani
e alle famiglie, che si aspettano dalla scuola percorsi trasparenti
e competenze spendibili tanto per l'inserimento nel mondo del
lavoro, quanto per il passaggio ai livelli superiori di istruzione e
formazione;
o configurare un quadro
ordinamentale che superi la sovrapposizione con i percorsi degli
istituti tecnici;
o raccordarsi organicamente con
il sistema di istruzione e formazione professionale, di competenza
delle Regioni;
o rendere più efficienti i
servizi di istruzione e più efficace l'utilizzo delle risorse,
coniugando qualità e risparmio.
La previsione di un numero
contenuto di settori ed indirizzi, la declinazione delle materie di
insegnamento riferite a risultati di apprendimento articolati in
competenze, attività e conoscenze, la previsione di maggiori spazi
di flessibilità nel quadro di criteri generali definiti a livello
nazionale sono espressione di un modello didattico - organizzativo
che intende superare l'attuale frammentazione dei percorsi ed
offrire strumenti alle istituzioni scolastiche per una gestione
efficiente ed efficace delle risorse loro assegnate. Non si tratta,
quindi, di un riordino finalizzato unicamente al contenimento della
spesa.
In concreto il regolamento si
presenta coerente con il quadro legislativo generale sull'istruzione
e con l'ordine costituzionale delle competenze normative.
Con riferimento alle competenze
regionali, occorre premettere che nella potestà esclusiva delle
Regioni rientrano i percorsi di istruzione e formazione
professionale che si riferiscono a figure di differente livello,
relative ad aree professionali definite, sentite le Parti sociali,
mediante accordi in sede di Conferenza unificata, recepiti con
decreti del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, di concerto con il
Ministro del Lavoro e delle Politiche secondo i livelli essenziali
indicati nel Capo III del decreto legislativo n. 226/05 e, in
particolare, all'articolo 18. Tali figure possono essere articolate
dalle Regioni in specifici profili professionali sulla base dei
fabbisogni del territorio. Coloro che conseguono titoli e qualifiche
a conclusione dei predetti percorsi di durata almeno quadriennale
possono accedere all'università e all'alta formazione artistica,
musicale e coreutica, dopo aver superato l'esame di Stato, previa
frequenza di un apposito corso annuale ai sensi dell'articolo 15,
comma 6 del citato decreto legislativo.
Invece lo schema di regolamento
disciplina gli ordinamenti e l'organizzazione degli istituti
professionali quale articolazione del sistema di istruzione
secondaria di secondo grado, finalizzata istituzionalmente al
rilascio di diplomi di istruzione a conclusione di percorsi
quinquennali, che consentono l'accesso diretto all'università. Essi
si configurano, più in generale, come un'articolazione
dell'istruzione tecnico-professionale.
Ai fini del rispetto delle
competenze regionali, pertanto, il regolamento consente il rilascio
di qualifiche triennali o diplomi professionali da parte di tali
istituti solo in regime di sussidiarietà (art. 2, comma 3). Questa
possibilità è prevista della legge 40/07. Non possono quindi
determinarsi sovrapposizioni tra il sistema secondo le indicazioni
contenute nelle linee guida da adottare ai sensi dell'art. 13, comma
1-quinquies scolastico e il sistema di istruzione e formazione
professionale, anche in considerazione della competenza esclusiva
delle Regioni in materia di programmazione dell'offerta formativa.
Inoltre, sono previste specifiche intese tra il Ministero
dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il Ministero
dell'Economia e delle Finanze e singole Regioni, al fine di
realizzare un'offerta coordinata tra i percorsi di istruzione degli
istituti professionali e quelli di istruzione e formazione
professionale di competenza regionale (art. 8, comma 2).
In sintesi:
- i percorsi degli istituti
professionali costituiscono un'articolazione della scuola secondaria
superiore che comprende i licei, gli istituti tecnici e gli istituti
professionali; questi ultimi fanno parte dell'istruzione tecnico e
professionale, caratterizzata da due distinti assi culturali
relativi rispettivamente alle filiere tecnologiche ed alle filiere
produttive. I percorsi degli istituti professionali hanno durata
quinquennale e si concludono con titoli di studio;
- i percorsi del sistema
regionale di istruzione e formazione professionale si concludono con
qualifiche di durata triennale e con diplomi di durata quadriennale.
Tali percorsi si realizzano nel rispetto dei livelli essenziali di
prestazione di cui al Capo III del decreto legislativo n. 226/05.
La Sezione ha invitato il
Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ad
approfondire la questione relativa alla conformità del testo alla
delega.
La norma di delega concerne
espressamente la sola "ridefinizione dei curricoli vigenti nei
diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei
diversi piani di studio e relativi quadri orari". Il piano
programmatico prescrive che: "I piani di studio relativi agli
istituti tecnici e professionali di cui alla legge 2 aprile 2007, n.
40, saranno anch'essi riveduti al fine di pervenire ad una ulteriore
razionalizzazione e semplificazione. Per quanto riguarda
l'istruzione tecnica, se ne definiranno gli indirizzi in un numero
contenuto e adottando un carico orario annuale obbligatorio delle
lezioni non superiore a 32 ore settimanali. Per i citati ordini di
studio le suddette operazioni dovranno essere raccordate con i tempi
previsti per la effettuazione delle iscrizioni e la determinazione
degli organici. Per l'istruzione professionale si opererà nel senso
che gli indirizzi aventi una sostanziale corrispondenza con quelli
dell'istruzione tecnica, confluiscano in quest'ultima, evitando
duplicazioni di percorsi e di carichi orari e conseguente
disorientamento dell'utenza. Si riorganizzeranno i rimanenti
indirizzi di durata quinquennale, finalizzati al conseguimento di un
titolo di studio di istruzione secondaria superiore, in un numero
ristretto di tipologie che abbiano rilevanza nazionale, con un
carico di orario settimanale non superiore a quello degli istituti
tecnici. Si provvederà, inoltre, all'elaborazione delle linee guida
di cui all'art. 13, comma 1 quinquies, della legge n. 40/2007, con
le quali saranno definiti i criteri atti a consentire, in regime di
transitorietà e sussidiarietà, la prosecuzione dei percorsi di
durata triennale degli istituti professionali finalizzati al
rilascio di qualifiche professionali nei limiti delle risorse umane,
strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente".
Il testo del regolamento in
visione, pur apparendo più contenuto di quello relativo ai licei,
presenta comunque un impatto significativo sull'ordinamento
dell'istruzione professionale, che nelle relazione di
accompagnamento e nello stesso preambolo sembra legarsi anche ai
criteri di cui all'articolo 13, commi 1-bis e 1-ter del decreto
legge 31 gennaio 2007, n. 7, convertito nella legge 2 aprile 2007,
n. 40.
Tuttavia, la formulazione del
preambolo (secondo cui "la materia oggetto dei regolamenti
ministeriali di cui all'articolo 13 del decreto legge n. 7 del 2007,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 40 del 2007 rientra in
quella più ampia oggetto dei regolamenti governativi di cui
all'articolo 64 del decreto legge n. 112 del 2008, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008) non risulta appropriata,
indicando un assorbimento dei criteri, piuttosto che il loro
utilizzo, per specificare quelli abbastanza generici contenuti
nell'articolo 64, comma 4, del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112,
convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133
Inoltre si è posto il problema
della corrispondenza del testo dello schema di regolamento ai
criteri enunciati con riferimento ai regolamenti ministeriali
previsti dal predetto art. 13 del decreto legge n. 7 del 2007.
Su tali questioni il Ministero ha
forniti sufficienti chiarimenti, dichiarandosi disponibile a
modificare la formulazione del preambolo. La Sezione, al riguardo,
ritiene che la soluzione migliore sia quella dell'eliminazione del
"Considerato" sopra citato, che è superfluo, una volta che
l'articolo 13 del decreto legge n. 7 del 2007 sia stato già
richiamato nel "Visto".
Per quanto attiene all'ampiezza
dell'intervento di delegificazione, che tocca i profili
ordinamentali e didattici, valgono le considerazioni già svolte per
i licei, atteso che la norma di delega si riferisce "in particolare"
agli istituti tecnici e professionali, per cui se l'intervento
riformatore è ammissibile per i licei, lo è a maggior ragione per
gli istituti tecnici e professionali.
Ciò posto in termini generali,
con riferimento alle singole disposizioni la Sezione si sofferma sui
punti che non ritiene superati o assorbiti dalla risposta del
Ministero.
L'articolo 1 stabilisce che "Il
presente regolamento detta le norme generali relative al riordino
degli istituti professionali in attuazione del piano programmatico
di interventi di cui all'articolo 64, comma 3, del decreto legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6
agosto 2008, n. 133, volti ad una maggiore razionalizzazione
dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, tali da
conferire efficacia ed efficienza al sistema scolastico", ma poi,
contraddittoriamente, l'articolo 9, comma 2 prevede che
"All'attuazione del presente regolamento si provvede in coerenza con
il piano programmatico di cui all'articolo 64, comma 3, del decreto
legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla
legge 6 agosto 2008 n. 133, nei limiti delle risorse finanziarie
previste dagli ordinari stanziamenti di bilancio senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica". Ne consegue che il piano
programmatico viene richiamato a monte ed a valle, mentre -
assumendo che il regolamento costituisca la sua attuazione - la
precisazione che lo stesso debba essere attuato in coerenza con il
piano programmatico è inutile se non dannosa.
E' quindi condivisibile la
riformulazione suggerita dal Ministero del comma 1 dell'art. 16, per
la quale "All'attuazione del presente decreto si provvede nei limiti
delle risorse finanziarie previste dagli ordinari stanziamenti di
bilancio senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica".
L'art. 5, comma 3 prevede che le
istituzioni scolastiche costituiscano dipartimenti, quali
articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno
alla didattica e alla progettazione formativa (lett. b), nonché un
comitato scientifico, con una composizione paritetica di docenti e
di esperti del mondo del lavoro, delle professioni, della ricerca
scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per
l'organizzazione e l'utilizzazione degli spazi di autonomia e
flessibilità (lett. c). La disposizione suscita perplessità sia con
riguardo al rispetto della riserva di legge in materia di
organizzazione (con particolare riguardo alla materia dei collegi),
essendo estranea all'ambito della delega, sia con riguardo al
rispetto dell'autonomia scolastica, apparendo più coerente con
l'obiettivo di realizzare l'autonomia lasciare alle istituzioni
scolastiche la scelta in ordine all'opportunità di istituire tali
organi nello specifico contesto in cui operano. I chiarimenti
forniti non appaiono sufficienti a superare tali perplessità con
riguardo all'istituzione del Comitato scientifico.
L'art. 7, comma 1 stabilisce che,
al fine di un costante monitoraggio sugli istituti professionali
anche preordinato alla loro innovazione, il Ministro
dell'istruzione, dell'università e della ricerca si avvale di un
apposito Comitato nazionale per l'istruzione tecnica e
professionale, costituito con proprio decreto, senza nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica, del quale fanno parte
dirigenti e docenti della scuola, esperti del mondo del lavoro e
delle professioni, dell'università e della ricerca nonché esperti
indicati dalla Conferenza dei Presidenti delle Regioni e dall'Unione
Province d'Italia, dal Ministero del lavoro, della salute e delle
politiche sociali, dal Ministero dello sviluppo economico e dal
Ministero della gioventù. Il Comitato si articola in commissioni di
settore e si avvale anche dell'assistenza tecnica dell'Agenzia
Nazionale per lo sviluppo dell'autonomia Scolastica (A.N.S.A.S.),
dell'Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei
Lavoratori (ISFOL), di Italia Lavoro e dell'Istituto per la
Promozione Industriale (IPI). Ai componenti del comitato non
spettano compensi a qualsiasi titolo dovuti. Il Ministero
dell'istruzione non ha chiarito né la compatibilità di tale
previsione con l'oggetto della delega, né la sua rispondenza alle
esigenze di semplificazione enunciate in detta delega, ribadendo
invece la necessità dell'opera di monitoraggio e valutazione, che
non era in discussione. Tuttavia il silenzio relativo
all'istituzione del Comitato nazionale per l'istruzione liceale
parrebbe intendere una rinuncia a tale proposito.L'art. 8, comma 2
demanda a un successivo decreto ministeriale di natura non
regolamentare, adottato dal Ministro dell'istruzione,
dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministero
dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza Stato-Regioni e
Province autonome, la definizione di aspetti che attuano e
completano le disposizioni contenute nello schema di regolamento in
esame, quali:
a) le indicazioni nazionali
riguardanti le competenze, le abilità e le conoscenze relative ai
risultati di apprendimento di cui all'articolo 3, comma 1, e
all'articolo 4, comma 1, con riferimento agli insegnamenti di cui
agli allegati B) e C);
b) gli ambiti, i criteri e le
modalità per l'ulteriore articolazione delle aree di indirizzo di
cui agli articoli 3 e 4, negli spazi di flessibilità di cui
all'articolo 5, comma 3, lettera a), in un numero contenuto di
opzioni, inclusi in un apposito elenco nazionale;
c) la rideterminazione dei quadri
orario, comprensiva delle ore di compresenza degli insegnanti
tecnico-pratici, relativi alle classi successive alla prima
funzionanti nell'anno scolastico 2010-2011, nei limiti dell'orario
complessivo annuale delle lezioni di cui all'articolo 1, comma 2;
d) la sostituzione, limitatamente
ai percorsi surrogatori realizzati in assenza di specifiche intese
con le Regioni, dell'area di professionalizzazione di cui
all'articolo 4 del decreto del Ministro della pubblica istruzione 15
aprile 1994, con complessive 132 ore di attività in alternanza
scuola-lavoro nelle quarte e quinte classi funzionanti sino alla
messa a regime dell'ordinamento di cui al presente regolamento a
valere sulle risorse di cui all'articolo 9, comma 1, del decreto
legislativo 15 aprile 2005, n. 77.
L'art. 8, comma 3 demanda a
decreti di natura non regolamentare, egualmente adottati di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze, di definire:
a) le classi di concorso del
personale docente, ivi compreso quello da destinare all'ufficio
tecnico, e l'articolazione delle cattedre per ciascuno degli
indirizzi di cui agli allegati B) e C);
c) gli indicatori per la
valutazione e l'autovalutazione degli istituti tecnici, in relazione
alle proposte formulate del Comitato di cui all'articolo 7, comma 1,
anche con riferimento al quadro europeo per la garanzia della
qualità dei sistemi di istruzione e formazione.
In entrambi casi la natura
dell'oggetto di disciplina suggerisce l'utilizzo di atti aventi
forza normativa, sicché appare opportuno eliminare dal testo delle
due disposizioni l'inciso "di natura non regolamentare".
La Sezione prende atto che il
Ministero ha raccolto tale suggerimento.
P.Q.M.
Esprime parere favorevole con le osservazioni di cui in motivazione.
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
Francesco Bellomo Giancarlo
Coraggio
IL SEGRETARIO
Massimo Meli