Il sapere dell’unità.
a cura
di Bruno Telleschi, dal
Centro
Studi della Gilda del
5/4/2006
L’unità del sapere appartiene ai grandi
miti che giustificano la scuola ed offrono alla società l’occasione di
celebrare le riforme con la retorica delle buone intenzioni. In realtà
il progresso delle scienze provoca un’inevitabile specializzazione
degli studi che culmina nella frantumazione delle università. Non a
caso la nostalgia dell’unità ricorre spesso nei ritornelli pedagogici
degli insegnanti universitari che rimpiangono la scuola della loro
infanzia, soprattutto negli scienziati che lamentano l’opposizione
della cultura umanistica e scientifica.
Dunque anche la scuola si articola
inevitabilmente e progressivamente in discipline separate secondo
l’ordine epistemologico della cultura (vd passim le finalità della
scuola nella riforma), ma unite dalla completezza degli studi nel
velleitario sforzo dell’educazione integrale.
Per evitare che la moltiplicazione delle
materie e degli insegnanti provochi disagio e disorientamento negli
alunni (p.117: “Il numero degli insegnanti di una stessa scuola cresce
sempre di più con l’acuirsi delle differenze tra le varie discipline e
lo specializzarsi della cultura, e il numero delle materie cresce; e
cresce in conseguenza il carattere enciclopedico dei programmi
scolastici”, con la deprecabile conseguenza di provocare p.119: “la
baraonda e l’anarchia delle menti e degli animi”) Giovanni Gentile
pone l’unità del sapere nell’unità dello spirito: “Il sapere è uno
come spirito, è molteplicità indefinita come cosa” (Giovanni Gentile,
Sommario di pedagogia come scienza filosofica (1913), Firenze, Sansoni,
19425, vol.II. Didattica, p.64). L’unità del sapere non sta
nell’enciclopedia, nelle materie di un sistema atomistico che
rispecchia la molteplicità della natura, ma nell’unità dello spirito.
Lo spirito che studia e conosce è sempre lo stesso ed unifica il
sapere “nell’attualità spirituale” (p.66), “nell’attività creatrice
dello spirito” (p.123).
Reintepretando lo spirito come persona
anche Giuseppe Bertagna sostiene l’unità idealistica del sapere come
rimedio alla dispersione materiale della cultura. L’identità delle
cose si trasforma nell’identità della persona. Se la persona che
studia aritmetica è la stessa che studia grammatica, anche
l’aritmetica e la grammatica sono la stessa cosa. E così via, di
tautologia in miracolo. Alla fine gli alunni sono collocati sul
trampolino di lancio della pedagogia e proiettati nel cielo delle
visioni mistiche: “Qualifica così l’istruzione secondaria di 1° grado
il principio che vuole ogni disciplina aperta all’interdisciplinarità
più completa, a cui segue il salto transdisciplinare, ovvero il
confronto con una «visione personale unitaria» di sé, degli altri,
della cultura e del mondo” (dlgs 19.2.2004 n.59, Allegato C, p.3).
Nella colonna di sinistra si legge
Gentile, a destra Bertagna.
La parte e il tutto
E tutto è sempre in tutto. (p.7)
“tutto si fa tutto”. (p.7)
L’individuo, il vero tutto senza
parti, l’infinito assoluto è lo spirito, come unità di tutti i
momenti… La scuola, se è viva, dev’essere aperta al principio e
alla fine; non dev’essere un frammento dello spirito, ma lo
spirito stesso tutto lo spirito, in un suo periodo: l’eterno
spirito, che è sempre tutto per non essere mai tutto. (p.70) |
Passare da una conoscenza primaria
ad una secondaria di 1° grado, allora, significa cominciare ad
essere consapevoli della necessità di rimandare sempre,
nell’incontro personale (e di tutti) con la realtà, la parte al
tutto e il tutto alla parte, ovvero di collegare sempre le
prospettive parziali di lettura rappresentativa del mondo
e della vita in un sistema unitario e integrato di
significati personali, che se non può ambire a
presentarsi come sintesi compiuta e definitiva dei modelli
parziali che ingloba, si preoccupa, però, di chiarire e
approfondire i nessi e i raccordi che individua tra loro. (p.3) |
La sintesi e l’ologramma
E però s’è creata quella sorta di
fette d’uomo che sono l’insegnante d’italiano, che non insegna
altro che italiano, e l’insegnante di latino che non insegna altro
che latino, ecc., l’insegnante di lettere che non sa di scienze, e
quello di scienze che non sa di lettere, e così via; come se ci
fosse l’italiano senza il latino, o il latino senza l’italiano, le
lettere senza le scienze, e le scienze senza le lettere. (p.118)
Uno o molti che siano i maestri, la
scuola è possibile a un patto: che il sapere sia uno, e ogni sua
parte rispetti il tutto; in guisa che quello che non s’insegna
direttamente, sia però insegnato indirettamente. La geografia si
può insegnare per mezzo d’un insegnamento speciale a patto che non
trascuriate occasione, che ad ora ad ora vi si presenti, per
impartire le opportune nozioni geografiche; e l’aritmetica si
appoggerà a un concreto interesse dello spirito, quando dai
racconti più attraenti del “libro di lettura” saprete trarre
accortamente, e senza parere, problemi che ricevono la loro
soluzione dall’aritmetica. (p.119) |
La seconda consapevolezza ricorda che
gli obiettivi specifici di apprendimento indicati per le diverse
discipline e per l’educazione alla Convivenza civile, se
pure sono presentati in maniera analitica, obbediscono, in realtà,
ciascuno, al principio della sintesi e dell’ ologramma: gli uni
rimandano agli altri; non sono mai, per quanto possano essere
autoreferenziali, richiusi su se stessi, ma sono sempre un
complesso e continuo rimando al tutto. Un obiettivo specifico di
apprendimento di una delle dimensioni della Convivenza civile,
quindi, è e deve essere sempre anche disciplinare e viceversa;
analogamente, un obiettivo specifico di apprendimento di
matematica è e deve essere sempre, allo stesso tempo, non solo
ricco di risonanze di natura linguistica, storica, geografica,
espressiva, estetica, motoria, sociale, morale, religiosa, ma
anche lievitare comportamenti personali adeguati. E così per
qualsiasi altro obiettivo specifico d’ apprendimento. Dentro la
disciplinarità anche più spinta, in sostanza, va sempre
rintracciata l’apertura inter e transdisciplinare: la parte che si
lega al tutto e il tutto che non si dà se non come parte. E
dentro, o dietro, le “educazioni” che scandiscono l’educazione
alla Convivenza civile vanno sempre riconosciute le
discipline, così come attraverso le discipline non si fa altro che
promuovere l’educazione alla Convivenza civile e,
attraverso questa, nient’altro che l’unica educazione integrale di
ciascuno a cui tutta l’attività scolastica è indirizzata. (p.7) |
|