P a v o n e R i s o r s e

 

La scuola tra Riforma e Controriforma.

 di Angelo Vita da Pavone Risorse del 30/1/2006

 

Entrati nel nuovo Millennio la scuola - come la società - per rispondere alle sfide che la tecnica, l’economia e la cultura pongono, ha cercato di rinnovare il suo look organizzativo, programmatico e didattico per promuovere una propria idea/mondo più confacente alle esigenze di un Pianeta alla ricerca di un equilibrio stabile e sostenibile. La scuola non sembra avere trovato riferimenti forti per evidenziare la propria funzione formatrice. Sia in Europa che in Italia (più in quest’ultima) è tesa a ricercare delle ancore su cui fissare i propri paradigmi epistemologici e presentare credenziali sufficientemente corredate di solide prospettive trainanti.


La Riforma Moratti – preceduta dalla Berlinguer – ha cercato e cerca in qualche modo di orientare la scuola su percorsi competitivi europei in grado di innalzare la qualità dell’istruzione scientifica e tecnica, anche se ha dovuto fare i conti con ‘mal di pancia’ generalizzati che non lasciano presagire un coerente cammino di consolidamento della proposta formativa scolastica italiana.

Questo a significare che le Riforme necessitano di consenso e che non possono essere imposte al di là del loro contenuto. Sappiamo bene che la differenziazione dalla precedente non sia stata poi così rilevante. Ma in una situazione in cui il cambiamento è dato a suon di maggioranze chi ne paga le conseguenze sono sicuramente gli utenti che nella fattispecie hanno il volto degli insegnanti e degli alunni a cui la scuola si riferisce. Per i primi aumenta in maniera esponenziale la funzione burocratica e diminuisce quella relativa all’azione didattica; ne è testimonianza l’introduzione – discutibile – del portfolio che ha imposto un’attenzione spropositata alle ‘carte’ che – al di là di ogni rispettabile opinione – determina un dispendio di energie che avrebbe potuto essere investito sulla didattica mortificata al ruolo di ‘velina’ in una istituzione sempre più dedita all’immagine e sempre meno al raggiungimento degli obiettivi propri dell’insegnamento/apprendimento.

Pagano gli alunni perché disorientati rispetto alle prospettive di una scuola disarcionata e continuamente sotto esame da parte delle istituzioni internazionali che la confinano al ruolo di cenerentola della formazione tecnico-scientifica. È questa la gigantografia di una scuola dalle cifre identificative negative che chiede a gran voce un cambio prospettico immediato per ritornare ad essere spendibile e all’altezza dei grandi sistemi educativi coi quali si confronta.

Eppure, non erano così incerte le basi su cui la scuola italiana si fondava solo qualche decennio fa.

Gli anni Settanta l’avevano contraddistinta per la sensibilità con la quale aveva aperto – attraverso i decreti delegati del 1974 – alla partecipazione territoriale e studentesca; gli anni Ottanta avevano partorito i (nuovi) programmi della scuola elementare contraddistinti per le elevate cifre di carattere cognitivo-relazionale mentre gli anni Novanta avevano dato alla scuola materna gli Orientamenti che avevano ufficializzato l’ingresso del bambino/scolaro nella scuola di tutti archiviando definitivamente l’assistenzialismo alla storia.

Ed ora? Se non è buio quasi.


Cambiare nome alle cose non basta per cambiarne fisionomia. La scuola materna che si fa dell’infanzia, la scuola elementare che si fa primaria e la scuola media che si fa secondaria di primo grado di fatto non hanno modificato di una virgola l’assetto paradigmatico della scuola pubblica. In certi casi l’hanno appesantito. Immaginiamo un attimo il dialogo tra due scolari vissuti in tempi diversi.

Alla domanda che classe frequenti? Avremmo come risposta: la prima media – il primo – e la prima secondaria di primo grado il secondo; se più piccoli invece avremmo avuto come risposta: la quarta elementare – il primo – e la quarta primaria il secondo, peggio ancora se si trattasse della prima primaria; potremmo continuare ma come direbbe Dante l’esemblo basti.


Prima che la nave affondi siamo in dovere di utilizzare tutte le scialuppe a disposizione per salvare il salvabile. Abbiamo un patrimonio di inestimabile valore che potrebbe essere compromesso irrimediabilmente se solo pensassimo al danno che i continui e ripetuti litigi/conflitti sindacali e parlamentari per non parlare della scuola militante determinano nella vita scolastica italiana. La parola d’ordine che dovremmo perorare – tutti nessuno escluso – è ai blocchi di partenza. Mobilitiamo l’intellighenzia relegata ad ultimo uomo e ritorniamo ad investire sulla scuola per ridare linfa ai gradi ed ai percorsi settoriali presenti nella scuola pubblica. C’è bisogno di tutti poiché di tutti è la scuola.

Tutti a partire dalla Moratti che deve ritornare a portare i propri figli nella scuola pubblica e non nella privata; dal Dirigente scolastico che deve ritrovare il ruolo di coordinatore manager di una scuola che produce cultura e formazione e non semplici bilanci da far quadrare; dal docente che deve trovare più tempo per l’autoformazione liberandolo dalle inutili incombenze burocratiche (leggasi portfolio); dal personale ATA e dagli stessi alunni che necessitano di credere che la scuola sta lavorando per dare loro un futuro e una qualità della vita migliori.


La società della tecnica e della conoscenza, pertanto, chiede maggiore professionalità a tutti. E chi è preposto alla formazione deve essere messo nelle condizioni di operare al meglio. Professionalità a tutti i livelli significa operare per garantire alla classe docente e di converso agli alunni una formazione spendibile che dia sicurezze, competenze, conoscenze e capacità di tradurre in nuova professionalità gli apprendimenti acquisiti durante i percorsi esperienziati a scuola nei suoi diversi gradi dall’Infanzia all’Università.

Solo una scuola efficiente nella struttura e negli strumenti può essere garanzia di una formazione efficace e spendibile. Che senso ha continuare a mantenere zone d’ombra nell’edilizia scolastica soggetta tuttora – specie al sud – alla tagliola degli affitti o rinviare sine die l’assunzione di nuovo personale scolastico sopportando classi di 30 alunni ingovernabili dal punto di vista dell’insegnamento individualizzato o personalizzato che dir si voglia.

La qualità della scuola pubblica si misura con la nostra capacità di affrontare i problemi ‘esistenziali’ di detta istituzione ricercando risposte finalizzate al successo formativo dei suoi utenti e alla gratificazione di una classe docente che tende a ridefinire ruoli e funzioni a partire da una nuova e più efficiente idea di scuola aperta alle richieste del lavoro tecno-pratico e a quello scientifico-culturale. Formalizzare risposte confacenti alle esigenze della società odierna significa mettersi in sintonia con le regole del mercato globale che chiede donne e uomini preparati a confrontarsi con le problematiche planetarie ed in grado di fornire risposte esaurienti alle nuove come alle vecchie generazioni di ogni parte del Pianeta. Sono questi alcuni dei tanti motivi che mi hanno fatto sottoscrivere l’appello per l’abrogazione della Riforma Moratti.