Test Invalsi di valutazione:

rifiutarsi non è reato.

 di A.G. La Tecnica della Scuola del 13/3/2006

 

A stabilirlo è stato il Procuratore aggiunto di Bologna Luigi Persico che l’11 marzo ha archiviato l’accertamento avviato sul caso delle scuole Rodari-Jussi di San Lazzaro di Savena (Bologna). Secondo la Procura, qualora ve ne fossero i presupposti si possono condurre “solo provvedimenti di tipo disciplinare”. La sentenza è stata emessa a seguito della denuncia condotta dalla dirigente dell'Ufficio scolastico regionale, Lucrezia Stellacci.

 

I docenti che si rifiutano di compilare i test Invalsi di valutazione degli alunni, della scuola primaria e secondaria di primo grado, introdotti dalla Riforma Moratti, non commettono un reato di tipo penale. A stabilirlo è stato Procuratore aggiunto di Bologna Luigi Persico che l’11 marzo ha archiviato l’accertamento avviato sul caso delle scuole Rodari-Jussi di San Lazzaro di Savena (Bologna). Secondo la Procura, qualora ve ne fossero i presupposti si possono condurre “solo provvedimenti di tipo disciplinare”.

La sentenza è stata emessa a seguito della denuncia condotta dalla dirigente dell'Ufficio scolastico regionale, Lucrezia Stellacci, la quale aveva sostenuto che l’obiezione di coscienza contro i test Invalsi “può essere considerata come interruzione di pubblico servizio”: secondo la dottoressa Stellacci un comportamento che osteggia alla valutazione delle qualità degli studenti e del sistema scolastico potrebbe considerarsi come “un tentativo di opporsi a una legge dello Stato” con conseguenze “anche penali”.

Ora però la sentenza ridimensiona il rifiuto relegandolo non ad un reato, ma solo ad comportamento stigmatizzabile sotto forma di provvedimento disciplinare.

I test Invlasi di valutazione sono stati introdotti in forma obbligatoria sul finire dello scorso anno scolastico, dopo che per tre anni erano stati somministrati in via facoltativa e sperimentale: con l’approvazione di un decreto di istituzione ad hoc, specifico per le prove valutative, approvato nell’ottobre 2004, i direttori scolastici e i dirigenti sono stati obbligati a far svolgere i test in seconda, quarta elementare e in prima media; facoltativa, invece, la somministrazione alle superiori. Il Ministero dell'Istruzione, dal canto suo, ha definito i test delle modalità scientifiche, attraverso cui stabilire i livelli di apprendimento degli studenti e le metodologie utilizzate dai docenti. Parte del mondo della scuola (compresi diversi genitori) si è invece opposta sin da subito alla loro introduzione perché interpretata come una valutazione delle scuole e dei docenti finalizzata ad una suddivisione meritocratica dei fondi incentivanti.

Lo stesso sindacato Flc-Cgil, anche se non apertamente contrario alla valutazione, durante il 2004/05 ha chiesto più volte garanzie al ministro Moratti “su come si colloca il sistema Invalsi, di cui non si conosce il fine e l'uso”. Ai docenti che si sono opposti alla loro applicazione, il Ministero dell’Istruzione ha ribattuto definendo “pretestuosa e priva di ogni fondamento le notizie su un oscuro disegno che intenderebbe valutare, attraverso i test distribuiti agli alunni, i rispettivi docenti oppure le scuole, istituendo gerarchie e graduatorie”. Da viale Trastevere sono giunte rassicurazioni anche a proposito della riservatezza dei dati, poiché “le procedure adottate – hanno ribadito i dirigenti del Miur - garantiscono l'assoluto anonimato”.