UNA PROPOSTA PER IL SISTEMA NAZIONALE E REGIONALE D’ISTRUZIONE.

IL BIENNIO UNITARIO.

 di Silvio Minnetti, da Educazione & Scuola del 7/12/2006

 

La vera novità che potrà nascere nell’intreccio tra legislazione esclusiva e concorrente tra Stato e Regioni sarà , a mio avviso, la nascita di un biennio unitario nel corso dell’attuale legislatura, come avvenne nel 1962 per la scuola media.

   Abbandonata l’idea di una terza mega-riforma dopo Berlinguer e Moratti, questa è la concreta aspirazione del Ministro Giuseppe Fioroni accanto alla generalizzazione della scuola dell’infanzia ed al superamento del precariato nella scuola.

   Quale curricolo scolastico? Quale modello di scuola per i ragazzi di 14-16 anni? Quale il percorso complessivo dai  tre ai sedici anni? Bisogna considerare il nuovo scenario rappresentato da una scolarizzazione quasi universale degli adolescenti dopo l’innalzamento dell’obbligo scolastico a 15 anni ( L. 9 del 1999) e l’ingresso di soggetti provenienti dai ceti sociali meno abbienti. S’impone innanzitutto la necessità di rivisitare l’impianto complessivo della scuola primaria e secondaria di primo grado e di ripensare al secondo ciclo in armonia tra Stato e Regioni in sede di Conferenza unificata.

   La domanda fondamentale che dobbiamo porci è la seguente: come realizzare un modello di scuola più sperimentale, più operativo, più vicino alle esigenze dei giovani e del loro futuro lavoro, in dialogo con le nuove generazioni nell’età della tecnologia dell’informazione e della comunicazione?

   Pensiamo ad un biennio unitario e ad un triennio specialistico nel quadro di un sistema nazionale e regionale dell’istruzione della formazione  flessibile, articolato ed integrato da una pluralità di offerte formative del territorio.

   Gli interventi legislativi degli ultimi anni hanno toccato la fascia di età 13-16 anni nel tentativo di disegnare una scuola degli adolescenti. Questi ultimi sono attraversati oggi da turbamenti antichi  di tipo nuovo  ma trovano ancora nella famiglia e nella scuola un luogo privilegiato per una esperienza di proiezione sociale. Nella scuola tuttavia si presentano sempre più vistose carenze di base, difficoltà ad insegnare, fatica ad apprendere ed insofferenza verso le più semplici regole della convivenza civile. La generalizzazione del fenomeno ci spinge a mettere in discussione  i processi di insegnamento-apprendimento codificati nella prassi delle scuole.

   Alcuni avutoveli opinionisti come Panebianco, Pirani, la prof.ssa Mastrocola invitano a ritornare ad una scuola di  élite, selettiva e rigorosa, naturalmente fondata sul liceo. Può essere questa la risposta? L’ingresso nella scuola secondaria dei ceti sociali dal debole retroterra culturale non può ovviamente portare ad un abbassamento  della qualità degli obiettivi formativi ma impone il superamento di una scuola deduttiva ed astratta per avvicinarci ad un modello più induttivo, sperimentale ed operativo, più vicino alla sensibilità dei giovani nell’età della rivoluzione tecnologica attuale.

   I giovani si trovano a vivere la crisi della società fordista e del welfare state che ha rimesso in discussione la sequenza studio-lavoro-pensione per entrare nella società fluida di Baumann, nell’età dell’incertezza e della flessibilità. La scuola è percepita come un luogo in cui acquisire competenze per affrontare la dura competizione contemporanea ma spesso l’offerta formativa non riesce ad intercettare la nuova cultura giovanile relegando molti nella formazione professionale intesa come scuola di serie B. Si realizza così una sostanziale esclusione sociale per la parte più debole dei giovani.

   Bisogna allora rimettere in discussione curricolo e didattica.

   Come ridisegnare il percorso 11-16 anni? Dobbiamo rimettere in discussione l’attuale scuola secondaria di primo grado in modo da superare il suo carattere terminalista, ridurre le discipline, rafforzare le competenze di base, fare esperienze sul  campo per un orientamento efficace verso la scuola secondaria superiore. Dobbiamo ripensare ai primi due anni della scuola superiore per farli incontrare con i saperi di vita, con la cultura del lavoro, con il patrimonio di idee ed esperienze del retroterra culturale dei ragazzi di oggi.

   Esempio positivo nella legislazione scolastica è stato rappresentato dalla legge 144 del 1999 sull’obbligo formativo fino a 18 anni. Da qui è nato il primo tentativo dell’obbligo scolastico a 15 anni che ha fatto avvicinare alla scuola superiore molti giovani e che ha fatto nascere interessanti percorsi integrati tra scuola e formazione professionale. La scuola tuttavia è rimasta ferma alle sue metodologie, le Regioni non hanno avviato percorsi di formazione professionale di vera qualità, salvo alcune lodevoli esperienze, l’apprendistato non ha generalmente assunto una dimensione formativa. Si tratta di una riforma sospesa.

   L’abrogazione della L. 9 del 1999, segno di un bipolarismo immaturo, ha aperto  il problema dei quattordicenni a rischio di dispersione. L’anticipo a due anni e mezzo della scuola dell’infanzia e la trasformazione dell’obbligo scolastico in diritto-dovere all’istruzione ed alla formazione hanno messo l’individuo al centro del sistema scolastico, senza preoccuparsi troppo delle disuguaglianze sociali.

   L’accordo Stato-Regioni sui corsi triennali per le qualifiche professionali  del 19 giugno 2003 ha cercato di colmare il vuoto creato dall’abrogazione della L. 9 del 1999. La Regione Emilia- Romagna ha pensato nel frattempo ad un vero biennio integrato tra scuola e formazione professionale con la legge regionale n. 12 del 2003.

   Il D.lgs. 77 del 2005 ha introdotto, infine, l’alternanza scuola – lavoro a partire dai 15 anni. Innovazione significativa anche se di difficile realizzazione.

   Che cosa hanno rappresentato il passaggio dall’obbligo scolastico al diritto-dovere ed  il ritorno all’obbligo scolastico nel quadro del permanente obbligo formativo? Sono i segni di profondi cambiamenti culturali, educativi ed istituzionali. Si oscilla tra una concezione di una scuola per tutti ed una sorta di liberismo-individualismo pedagogico. Si afferma l’idea di una scuola per ciascuno nell’orizzonte ideologico dell’obbligo scolastico( centro-sinistra) o del diritto-dovere ( centro-destra).

   Come portare a sintesi queste differenti visioni?

   L’idea di un biennio unitario può essere un saggio compromesso storico tra diversi modelli di società? In ogni caso il sistema-Paese deve rispondere alla sfida della economia postindustriale nella competizione con stati in cui l’obbligo arriva mediamente a 16 anni con punte di 18 anni.

   L’Italia deve assicurare la presenza generalizzata di livelli di istruzione di base più avanzati.

   Analizziamo ora i problemi di un biennio obbligatorio e unitario, non unico quindi.

Il Ministro Fioroni ha affermato: Elevare l’obbligo: l’innalzamento delle competenze di base per tutti, lo sviluppo/verifica degli orientamenti e delle propensioni di ciascuno, l’abbattimento drastico dell’insuccesso scolastico, della demotivazione, degli abbandoni attraverso una didattica capace di valorizzare le attitudini cognitive e le aspettative dei ragazzi e delle ragazze.

   Bisogna risolvere il problema dell’innalzamento dell’obbligo ( cfr.  legge finanziaria), della differenziazione dell’utenza e della unitarietà dei percorsi fino a 16 anni. Un primo gruppo di studenti è rappresentato da alunni che entrano nelle scuole superiori con adeguate abilità di base. Un secondo gruppo è costituito da ragazzi che hanno scelto la scuola per motivi contingenti e che potrebbero avere bisogno di un repentino riorientamento. Un terzo gruppo è formato da ragazzi che si iscrivono alla scuola solo perché è un obbligo, altrimenti sarebbero andati a lavorare. La quarta fascia è quella più a rischio perché presenta giovani disorientati e non disponibili verso i percorsi formativi in generale. Si tratta di fasce dell’emarginazione e della devianza con famiglie totalmente assenti. Ogni scuola è chiamata pertanto, a fare una progettazione curricolare che parta dalle caratteristiche di queste quattro tipologie di alunni. Attingendo anche alle buone pratiche esistenti, i docenti avranno a cuore le diverse modalità di recupero dei ragazzi a rischio nei mesi di settembre ed ottobre on de evitare a novembre l’insuccesso definitivo di diversi studenti.

   L’unitarietà  del biennio potrebbe essere assicurata da un combinazione ottimale tra curricolo comune a tutto il biennio e moduli specifici dell’indirizzo di destinazione. Potrebbe trattarsi di un curricolo integrato nel campus tra scuola e formazione professionale nell’indirizzo che scaturisce da un bilancio di competenze. Si può pensare anche a percorsi personalizzati anche non curricolari al fine di ottenere il reinserimento in un percorso scolastico.

   Attraverso campus o poli formativi tra  scuole  e centri di formazione professionale si predispongono percorsi per arrivare almeno ad una qualifica professionale o ad un diploma. Si pensi a percorsi integrati   coprogettati e ad una filiera di formazione professionale fino all’IFTS. A 16 anni si avrà allora una qualifica professionale o si sceglie il triennio del percorso scolastico o si prosegue nella formazione professionale di secondo livello post-qualifica.

   Ogni scuola deve attivare i dipartimenti per individuare i percorsi curricolari.

   Una questione fondamentale da risolvere è però la evidente discontinuità sul piano operativo, metodologico ed educativo tra scuola secondaria di primo grado e biennio unitario. Dobbiamo investire le migliori intelligenze didattiche del paese per costruire un curricolo unitario e differenziato per gli adolescenti tra gli 11 ed i 16 anni, senza rinchiudersi nella terminalità.

   La sospensione del D. Lgs. 226 del 2005 consente di definire con calma e saggezza le linee di sviluppo dei curricoli tra la secondaria di primo e di secondo grado con adeguata sperimentazione.

   Il biennio unitario può a mio avviso rappresentare uno snodo decisivo anche al fine dell’orientamento all’interno di una proposta complessiva, articolata e flessibile. Sarà questa la più pragmatica risposta alle esigenze dell’economia, della nuova cittadinanza attiva e della follia dell’attuale dispersione di talenti. E delle risorse finanziarie.