Centro Studi Gilda

 

Analisi sul fenomeno del precariato docente.

di Roberto Farci, dal Cento Studi della Gilda, 23/10/2004

 

Il cosiddetto “precariato” non è più  (ammesso che lo sia mai stato) un problema dei precari. E’ un problema della scuola e della società. E lo è per la ragione fondamentale che esso legittima una concezione della trasmissione culturale e della formazione-educazione che si ritiene possa prescindere dall’ “apporto e dal rapporto umano”.

Non si tratta più di relazionare il giovane con l’adulto (la soluzione di continuità fra mondo adulto e mondo giovanile e la conseguente  fine della trasmissione culturale nel senso tradizionale del termine vengono assunti come dati, e non come problemi),  ma di relazionarlo con i prodotti del mondo adulto, cioè con le cose. Siano esse costruite dentro o fuori la scuola.

In questa nuova “relazione” il docente assume la funzione di catalizzatore-filtro di processi voluti e preordinati ad un livello “altro e difficilmente identificabile”, e diviene dunque sostanzialmente irrilevante. Poco conta che sostenga la crescita con la sua presenza costante, poca conta che trasmetta il valore dell’umanità che racchiude. Può andare e venire: il carosello infinito non indebolisce, ma rafforza, la “relazione” con le cose

La scelta del precariato strutturale non è solo una scelta dettata da motivi economici, ma è una scelta ”culturale” e politica. Che non intacca semplicemente la qualità della scuola, ma la sua stessa natura, la sua possibilità di essere.

Questo non significa che la scuola debba divenire la spugna che assorbe la disoccupazione intellettuale, ma semplicemente che laddove e allorquando c’è bisogno di un docente, questi possa avere le condizioni per esplicare appieno le sue funzioni. Condizioni che oggi vengono totalmente ignorate, come dimostra questo accurato studio  di Roberto Farci * sul fenomeno del precariato italiano.

 

Indice degli argomenti

  1. Chi sono i docenti precari?

  2. Quanti sono i precari nella scuola italiana?

  3. La situazione professionale e le aspettative del docente precario.

  4. Il punto dolente:la riforma del sistema di reclutamento del personale docente.

  5. Le insidie della riforma del reclutamento  proposta con la bozza elaborata dall’ANP e Beniamino Brocca.

  6. Il regime transitorio

  7. Perché si vuole precarizzare la scuola?

  8. Principi da difendere per la tutela della scuola e della funzione docente, per favorire l’assorbimento del precariato docente e per la tutela professionale dei docenti a tempo determinato.

 

1.   Chi sono i docenti precari?

Uno dei maggiori problemi per coloro che affrontano il problema del precariato docente sta proprio nell’uso spesso indefinito e impreciso di questa parola; non si tratta di una questione astratta o di semplice dissertazione dotta sui termini. Se non si capisce esattamente di chi stiamo parlando e non definiamo esattamente le esigenze di queste persone, sia dal punto di vista professionale che individuale, non possiamo neanche prospettare per questi insegnanti e cittadini soluzioni che siano di una qualche efficacia. Proprio da questa imprecisione, oltre che da un sostanziale disinteresse o malcelato disprezzo nei confronti della scuola e della funzione docente, nasce la grande confusione e l’accumularsi di problemi che stanno portando la questione del precariato docente ad un punto di tensione tale da non poter essere più ignorata. Vediamo ora di esaminare alcuni dati sulla situazione del precariato in altri paesi europei. Una trattazione comparata più approfondita sarà l’oggetto di un prossimo studio sul fenomeno del precariato docente che approfondirà aspetti che in questa sede non è stato possibile trattare in modo esaustivo.

 

(1) 1.2. Evoluzione della percentuale di insegnanti con un contratto a tempo determinato

I dati statistici, molto incompleti, non consentono di trarre delle conclusioni precise, ma permettono di constatare che quasi tutti i paesi che hanno fornito dei dati mostrano un certo aumento della percentuale di insegnanti con un contratto a tempo determinato durante il decennio 1990-2000. Quest’osservazione è in certo modo avvalorata dalle informazioni contestuali raccolte ai fini dello studio. Il Regno Unito (Scozia), ad esempio, indica un aumento dei contratti a tempo determinato dovuto alle difficoltà finanziarie degli enti locali.

Questo tipo di contratto è invariabilmente proposto agli insegnanti al primo incarico e la loro precaria situazione lavorativa è stata al centro di un importante dibattito nel paese. Nonostante la mancanza di statistiche ufficiali relative alla Repubblica Ceca, si è visto che le modifiche apportate alla legge sul lavoro hanno abolito il limite massimo di contratti a tempo determinato che si può offrire agli insegnanti. Di conseguenza, si è abusato dei contratti temporanei, proponendoli soltanto per la durata dell’anno scolastico (e ricorrendo all’Ufficio del Lavoro per le vacanze estive). Il Ministero dell’educazione ha tentato di porre fine a tali pratiche emanando nel 2001 delle normative che vietano di riproporre agli insegnanti a pieno titolo un contratto a tempo determinato, a meno che non si sia in presenza di una valida ragione.  L’eccezione a questa tendenza generale è rappresentata dalla Francia, dove il numero di insegnanti in possesso di un contratto a tempo determinato si è ridotto nel corso del decennio in questione. Ciò è dovuto alla politica generale di stabilizzazione del lavoro nel settore pubblico (résorption de l’emploi précaire) propugnata dai sindacati della funzione pubblica. Il numero di insegnanti assunti con un contratto a tempo determinato è mantenuto al minimo livello indispensabile per permettere alle scuole di far fronte ai loro bisogni.

Nel Regno Unito (Inghilterra), i dati relativi agli insegnanti in servizio mostrano un aumento del numero di insegnanti occasionali nel periodo compreso tra il 1998 e il 2001, seguito da una riduzione nel 2002. Come già spiegato nell’introduzione alla presente sezione, gli insegnanti occasionali sono quelli assunti al massimo per un mese .” (© Eurydice, la rete europea di informazione sull’istruzione, 2003.)

 

Anzitutto occorre dire che esistono diverse tipologie di precari, alcune delle quali parzialmente sovrapponibili, ma comunque abbastanza diverse tra loro per poter essere considerate in maniera distinta:

·           vi sono in primo luogo i precari che lavorano da vari anni con contratti a tempo determinato fino al 31/08 (su cattedre annuali, facenti parte dell’organico di diritto) e fino al 30/06 di ogni anno (su cattedre fino al termine delle attività didattiche, costituite su organico di fatto); questi sono i precari “strutturali” della scuola italiana, solitamente dotati di abilitazione all’insegnamento (buona parte di essi solo da pochi anni ), che hanno ormai scelto l’insegnamento come propria professione e aspettano, quasi sempre senza alcuna alternativa possibile, l’assunzione a tempo indeterminato. Le loro esigenze e le loro aspettative devono essere considerate sia sotto l’aspetto della qualità e della qualificazione professionale che sotto l’aspetto umano e di garanzia del posto, anche in considerazione della difficoltà, per coloro che non possono “riciclarsi” sul mercato del lavoro, di trovare alternative credibili in una società che a parole dice di voler valorizzare la cultura ma nei fatti ricerca soprattutto manovalanza sottopagata. Un’ulteriore distinzione fittizia che è stata introdotta ad arte all’interno di questa categoria è quella che separa artificiosamente i precari in base al tipo di abilitazione posseduta, distinguendo tra precari di serie A (per il momento, fino alla retrocessione prossima ventura!!), in possesso di abilitazione universitaria SSIS; di serie B, in possesso di abilitazione conseguita tramite superamento del concorso ordinario; di serie C, in possesso di abilitazione ottenuta attraverso il superamento del concorso riservato. In attesa dei docenti in possesso di laurea specialistica, che faranno scivolare tutti gli altri più in basso di un gradino, la lotta tra i precari in possesso di diverse abilitazioni è stata alimentata ad arte per distrarre i precari stessi dalla lotta per conseguire i propri veri obiettivi di riqualificazione professionale e stabilizzazione del posto di lavoro, al solo fine di operare dei risparmi nel settore della pubblica istruzione.

·           Un’altra categoria di precari che dobbiamo necessariamente considerare è quella che si trova, per così dire, “tra color che son sospesi”: Parliamo dei precari che lavorano, con molta difficoltà e spesso in modo irregolare, attraverso le supplenze brevi in sostituzione dei colleghi temporaneamente assenti per svariate ragioni (malattia, gravidanza, permessi, etc.). Anche tra loro vi sono coloro che lavorano con una certa continuità, quasi come i colleghi di cui abbiamo parlato poc’anzi, e quelli che si limitano a fare qualche supplenza sporadica quando capita l’occasione, ma che non possono contare sulla continuità del lavoro. Anche in questo caso la variabilità è dovuta soprattutto alla disciplina insegnata, che può essere più o meno richiesta “sul mercato” a seconda del numero di cattedre disponibili e del numero di colleghi presenti nelle graduatorie; non è raro il caso di materie pratiche come quelle legate alla conversazione in lingua straniera o all’informatica e nuove tecnologie dove la richiesta da parte delle scuole supera spesso l’offerta di “manodopera” (scusate l’ironia, ma siamo in tempi di “mercato”!). Questi precari hanno davanti a se due strade: se le prospettive nel campo dell’insegnamento sono, raramente, positive, se sono in possesso di abilitazione o possono conseguirla, se la passione è veramente tanta, allora c’è per loro qualche concreta chance di fare dell’insegnamento il proprio sbocco professionale definitivo, altrimenti, se ne hanno la possibilità, è meglio che cambino strada finche sono in tempo, ovvero finché  l’età glielo consente. Solitamente il limite del non ritorno è costituito dalla soglia massima dei trentacinque anni. Le esigenze di questi docenti, a prescindere dalle prospettive di inserimento stabile nel mondo della scuola, riguardano in modo particolare questioni di carattere normativo e di tutela sindacale, dato che la loro comprensibile ignoranza in materia di legislazione scolastica li mette in condizione di subire abusi di ogni tipo e li fa considerare dei semplici “tappabuchi”, con grave danno per la qualità complessiva della cosiddetta “offerta formativa” nei confronti dei propri alunni. I docenti in questione sono solitamente vittime, assieme ai loro alunni, di questo tipo di situazioni. La questione, anche se ai più può apparire trascurabile, è fonte all’interno della scuola di non pochi problemi, di molte frustrazioni e spesso anche di comportamenti scorretti o di veri e propri casi di mobbing da parte di colleghi, dirigenti scolastici e personale di segreteria nei confronti di questi “precari tra i precari”.

·           Una categoria che definiremo come “sottoprecariato” è quella costituita dai docenti chiamati per i cosiddetti contratti “a progetto” (Progetto Lingue 2000, etc.), paragonabili in molti casi ai contratti CO.CO.CO.. Questi docenti, il cui impiego si sta progressivamente estendendo nella scuola, non essendo qualificati come dipendenti, non fruiscono neanche delle coperture per malattia, debbono provvedere a pagarsi autonomamente tasse e contributi, vengono retribuiti ad ore e, a differenza dei colleghi,  possono avere il riconoscimento del servizio prestato solo per i giorni di effettivo servizio. Si tratta di lavoratori trattati alla stregua di paria, che spesso non vengono neanche messi nelle condizioni di lavorare in modo dignitoso e di essere rispettati dagli alunni e dalle famiglie.

·           Altre categorie, che non tratteremo in questa sede se non per quanto riguarda l’influenza che il loro inserimento nel mondo della scuola ha sugli altri docenti, soprattutto in termini di mobilità professionale, è quella costituita dagli insegnanti di religione cattolica, la cui condizione giuridica e professionale presenta profonde differenze rispetto ai colleghi insegnanti di discipline ordinarie, e quella dei docenti delle scuole private, che in realtà utilizzano il canale privato come scorciatoia per inserirsi nella scuola pubblica.

 

2.   Quanti sono i precari?

Una domanda di questo tipo, se non ben impostata, rischia di ingenerare una serie di equivoci e fraintendimenti che ci impediscono anzitutto di capire le reali dimensioni del problema; oltre a ciò, questi equivoci non ci consentono di inquadrare il problema in maniera sufficientemente corretta, ma soprattutto ci impediscono di studiare soluzioni e risposte corrette nell’interesse degli alunni e dei docenti interessati. Cominciamo col dire che non tutti coloro che sono presenti nelle graduatorie permanenti o di istituto sono precari, altrimenti la lettura delle cifre, anziché aiutarci a capire, ci svierà inevitabilmente dalla comprensione del problema. Per fare chiarezza al riguardo, iniziamo pertanto ad esaminare qualche dato fornito  dal MIUR:

(2) “Nell’anno scolastico 2003-2004 le persone iscritte nelle diverse graduatorie permanenti erano circa 480 mila. Con i nuovi aggiornamenti per il 2004-2005 si dovrebbe arrivare a non meno di 500 mila docenti iscritti nelle diverse graduatorie permanenti dalla scuola dell’infanzia a alle superiori. Centosettantamila precari lavorano nella scuola italiana: centomila insegnanti e settantamila Ata. Negli ultimi cinque anni scolastici il numero degli insegnanti precari della scuola ha subito espansioni e contrazioni: 65 mila nel 1999, 79 mila nel 2000, 117 mila nel 2001, 96 mila nel 2002 e di nuovo 105 mila nel 2003. La permanenza di livelli così elevati di personale docente precario, a fronte del limitato numero di immissioni in ruolo, segnala un ulteriore elemento di analisi: la contrazione dei posti in organico.”

Per quanto riguarda il personale Ata si assiste ad una progressione che nel corso degli anni ha triplicato il dato del 1999. Un precario su tre nella scuola pubblica è personale Ata. A fronte dei 18.330 precari Ata di cinque anni fa si è passati nel 2000 a 20.624 (+ 2.324).

 

L’analisi sopra esposta è confermata dalla seguente scheda:

 

Già in presenza di questi primi autorevoli dati possiamo renderci conto che le cifre, se non adeguatamente e chiaramente presentate in un contesto che ne consenta la comprensione, possono invece ingenerare confusione; anzitutto occorre escludere la categoria dei docenti di religione, dei supplenti brevi e dei lavoratori a progetto; questi ultimi, data la frammentazione dei dati che li riguardano, vanno considerati a parte. È  necessario ricordare inoltre che nelle graduatorie permanenti sono presenti gli stessi docenti riportati anche più volte, dato che sono presenti in più graduatorie. Vi sono poi numerosi docenti entrati di ruolo ma mai cancellati dalle graduatorie; questa presenza dovrebbe essere invece eliminata, dato che altera i dati relativi alle immissioni in ruolo: i docenti presenti nelle graduatorie permanenti infatti fruiscono già della mobilità professionale e della riconversione. Per questo motivo non dovrebbero rimanere nelle graduatorie, fruendo di quote posti destinate alle assunzioni a tempo indeterminato di veri precari. In realtà ciò che accade è che questi insegnanti, ormai già assunti in altra classe di concorso, possono essere assunti nuovamente a tempo indeterminato su altre classi di concorso, lasciando libero il posto che occupavano, che non viene però destinato ad una nuova assunzione a tempo indeterminato. In tal modo si sottraggono posti alle assunzioni in ruolo effettive e si consente al ministero di truccare le cifre effettive delle assunzioni a tempo indeterminato, dichiarandone un numero molto maggiore rispetto a quelle realmente effettuate.

Il metodo più corretto è invece quello di stimare il numero di contratti annuali o fino al termine delle attività didattiche stipulati: in questo modo si ottiene la dimensione realistica, anche se non esatta, del fenomeno del precariato che definiamo “strutturale”. Vedendo la tabella ci si rende conto delle dimensioni del fenomeno del precariato docente, molto superiore al numero di dipendenti FIAT o Alitalia, tanto per fare degli esempi di situazioni di lavoratori a rischio che giustamente suscitano l’attenzione dei mezzi d’informazione. Tanta attenzione dovrebbe essere dedicata anche ai problemi dei docenti in genere.

I dati provvisori per l’anno scolastico 2004/2005 stimati dal MIUR prevedono la stipula di circa 180.000 contratti con docenti nominati al 30/06 o al 31/08.

 

3.   La situazione professionale e le aspettative del docente precario.

La vita lavorativa del docente precario, per chi non la conosce, può rappresentare una sorpresa. In realtà anche tra i precari “strutturali” (coloro che svolgono nella scuola l’unica o almeno la propria principale attività professionale in maniera duratura) esistono profonde differenze: vi sono anzitutto i cosiddetti “precari di ruolo”, che essendo nelle prime posizioni della graduatoria riescono a scegliere ogni anno la stessa sede, magari vicino a casa. In questo modo possono fruire (più o meno!!), di continuità didattica con le classi, stabilizzare i rapporti con i colleghi, gli alunni, le famiglie e il proprio ambiente scolastico, riuscendo quindi ad avere una situazione professionale che, a parte il rinnovo annuale del contratto, è molto simile a quella dei colleghi di ruolo. Dietro a questi “fortunati” ci sono molti docenti che devono invece viaggiare ogni giorno per centinaia di chilometri, cambiare sede ogni anno, (o più volte all’anno a seconda della durata della nomina), ricostruire rapporti e abbandonarli dopo qualche mese per  affrontare tutti i problemi connessi all’inserimento in una realtà sempre nuova. La precarietà si riflette inevitabilmente anche sulla vita privata e sulla qualità dell’insegnamento, drammaticamente condizionata dall’impossibilità di sviluppare un progetto anche solo a medio termine. Questo tipo di situazione viene quasi sempre passivamente accettata sia dal docente, che ne risulta oggettivamente danneggiato, sia dalla scuola, che invece di porre al centro della propria attenzione la qualità del rapporto docente-alunno e docente-istituzione scolastica, tende a considerare la prestazione professionale non tanto importante dal punto di vista qualitativo, ma come semplice adempimento burocratico, obbligo assolto per dovere istituzionale con la sola copertura della classe da parte del docente. Se poi la qualità del servizio risulta in qualche modo inficiata dalla condizione di disagio in cui il docente viene ad operare, questo sembra non interessare effettivamente a nessuno. Naturalmente gli studenti e i docenti che subiscono questa situazione di discontinuità didattica, perlomeno quelli più sensibili e accorti, risentono in modo estremamente negativo di tutto ciò, ma sembra che di norma questo genere di situazioni rimanga confinato all’ambito del disagio personale, come se non bisognasse disturbare il manovratore con fastidiose quanto inopportune esternazioni. Occorre anche dire che questo genere di problemi, che contribuiscono a generare fenomeni di burn-out tra i docenti, non riguardano solo i precari ma, data la situazione di crescente precarizzazione della scuola nel suo complesso, affliggono in misura sempre crescente anche i colleghi di ruolo che ritenevano fino a ieri di restarne immuni. Un errore che solitamente si commette è infatti quello di subire passivamente situazioni di disagio professionale dovute ai più diversi motivi per paura di essere presi come “quelli che piantano grane” o di distinguersi comunque negativamente dal resto del corpo docente.

Tutto parte dalla scarsa considerazione che la professione docente ha da parte della società nel suo complesso, scarsa considerazione che gli stessi docenti hanno di se stessi e del valore della propria professione; questo li porta ad avere scarsa autostima ed a non battersi con convinzione per la rivalutazione del proprio ruolo. Tale rivalutazione deve partire dal ridare importanza al lavoro che si svolge in classe con gli alunni e dal ritrovare il giusto orgoglio professionale e di categoria. In caso contrario i problemi che i docenti, non solo precari, vivono quotidianamente resteranno sempre in un angolo, mentre le uniche rivendicazioni di categoria resteranno quelle, pur giustissime, di natura economica.

In questo senso molti dei problemi dei docenti precari non si risolvono affrontandoli separatamente da quelli degli altri colleghi, ma in un ambito complessivo di rivalutazione della funzione docente. Per quanto riguarda le aspettative medie del docente precario, data la situazione di generale svilimento e scarsa autostima in cui essi si trovano, queste si limitano spesso alla speranza dell’assunzione a tempo indeterminato, vista come un punto di approdo che consenta di raggiungere esclusivamente l’agognata tranquillità. Il desiderio di un reale miglioramento della propria condizione professionale, intesa non tanto come far carriera (vexatissima quaestio!!) ma come possibilità di svolgere al meglio il proprio lavoro, non pare interessare la maggior parte dei docenti, né di ruolo né tanto meno precari.

 

Esiste poi l’universo sommerso dei supplenti brevi; come abbiamo già detto in precedenza, un’altra categoria di precari che dobbiamo necessariamente considerare è quella dei precari che lavorano, con molta difficoltà e spesso in modo irregolare, attraverso le supplenze brevi in sostituzione dei colleghi temporaneamente assenti per svariate ragioni (malattia, gravidanza, permessi, etc.). In questo caso le aspettative da parte del docente, che ha di se stesso la scarsa considerazione di chi si considera l’ultimo arrivato, e come tale viene trattato, si limitano a quelle di  essere chiamato dalle scuole con una certa frequenza ed essere pagato più o meno regolarmente. Nel migliore dei casi il docente rivendica il suo diritto ad essere chiamato secondo la posizione che ha in graduatoria senza essere scavalcato, ma molti  supplenti, per paura di inimicarsi le segreterie, i dirigenti o i colleghi, si limitano a cercare qualche raccomandazione personale.

 

In questo caso, proprio per la brevità del loro intervento didattico e per la trascuratezza del docente titolare, che poco si cura di inserire l’azione del supplente in una linea di continuità didattica con  la propria, i supplenti danno per scontato che il loro compito consista nel gestire la situazione alla bell’ e meglio, senza curarsi (e senza avere la possibilità) di progettare un intervento di qualità, per quanto limitato nel tempo. Se poi consideriamo che né  il dirigente scolastico, né  i colleghi né  tanto meno le segreterie si curano minimamente degli aspetti sostanziali della didattica che la scuola esercita nel suo complesso, ma anzi si limitano ad una gestione formalistica e  burocratica dell’istituzione, si potrà ben capire quanto siano vane le chiacchiere che si fanno su “team teaching” e quanto in realtà i supplenti siano abbandonati a se stessi. Il problema di fondo, ancora una volta, si rivela quello della scarsa considerazione della funzione docente; nel caso di docenti supplenti brevi tale problema rivela in pieno la propria gravità.

 

Al di là delle limitate aspettative che il supplente breve ha rispetto alla scuola, esiste una serie di problemi di carattere amministrativo che si pongono al momento della chiamata da parte delle scuole. Tali problemi riguardano tanto l’istituzione scolastica quanto il supplente, ed in definitiva vanno ad incidere negativamente sulla qualità della scuola e sugli alunni.

Anzitutto occorre considerare che le attuali procedure di chiamata dei supplenti, solo apparentemente garantiste rispetto al diritto di chiamata secondo graduatoria, si prestano ad una miriade di abusi e comportano una serie di lungaggini che vanno a detrimento di tutti i soggetti interessati.

Faremo qualche esempio concreto: anzitutto il fatto che ogni singola scuola debba effettuare le chiamate dalle proprie graduatorie (nelle quali sono presenti docenti che risultano presenti per forza di cose in numerose altre graduatorie di altre scuole) costringe le scuole stesse a chiamare moltissimi docenti che risultano magari già impegnati in altri istituti, o che magari sono impegnati solo per alcune ore, ma il cui orario risulta di fatto inconciliabile con quello della scuola nella quale potrebbero completare il proprio orario di servizio.

Nel frattempo altri istituti stanno chiamando lo stesso docente per conferirgli altri incarichi, ed ogni scuola agisce ad insaputa dell’altra. Il docente magari non può effettuare una scelta oculata, dato che se un giorno accetta per disperazione una breve supplenza di alcune ore, il giorno seguente finisce magari col ricevere una proposta molto migliore, ma risulta ormai impegnato presso l’istituto che lo ha chiamato prima, magari per pochi giorni e per poche ore settimanali. Solo in caso di una proposta di assunzione fino al termine delle attività didattiche o fino al termine delle lezioni il docente può rinunciare ad una supplenza breve per la quale abbia gia preso servizio!

Le scuole a loro volta sono costrette ad un enorme dispendio di tempo e denaro per effettuare le chiamate, sprecando tempo e denaro per contattare dei docenti che risultano magari impegnati già da tempo.

Nel frattempo le classi rimangono scoperte per parecchio tempo, con inevitabili complicazioni per il personale scolastico che deve garantire almeno la vigilanza degli alunni!

Abbiamo riportato queste considerazioni per far capire come il problema dei supplenti brevi sia tutt’altro che da sottovalutare, soprattutto in tempi in cui le ore a disposizione per i docenti in servizio sono sempre meno.

Naturalmente vi sono molti altri aspetti da tenere presenti per quanto riguarda il precariato dei supplenti brevi, ma si tratta di aspetti che possono essere trattati anche attraverso un’azione di informazione e orientamento nei confronti dei giovani docenti all’interno delle scuole e nei confronti di universitari che vogliono rivolgersi all’insegnamento, ai quali si potrebbero tenere delle lezioni e dei seminari di aggiornamento sulle normative scolastiche in continua evoluzione,  e non solo sulla didattica.

 

4.   Il punto dolente: la riforma del sistema di reclutamento del personale docente

Non si può capire come risolvere il problema del precariato se non si riflette preventivamente sulle ragioni della sua esistenza e sul nodo cruciale del problema del reclutamento. Anzitutto occorre chiedersi perché il fenomeno del precariato abbia raggiunto in Italia dimensioni così straordinarie da interessare quote percentuali elevatissime del corpo docente. Se consideriamo i dati sulla scuola italiana forniti dal dossier "Le cifre chiave dell'educazione in Europa", prodotto da Eurostat ed Eurydice per la Commissione europea, vediamo che gli insegnanti in Italia sono circa 680.000, il 2,9 per cento circa della popolazione attiva. Considerando solamente le previsioni del MIUR per questo anno scolastico 2004/05, le assunzioni a tempo determinato per coprire i posti in organico tra organico di diritto e di fatto saranno in tutto 184.000 circa, di cui certamente oltre 150.000 docenti,  oltre il 20% dell’intero corpo docente. (3) 

Data la sua ampiezza, è evidente che si tratta di un fenomeno le cui dimensioni non possono essere certamente casuali, ma che al contrario derivano da una volontà precisa dei vari governi che si sono succeduti dagli  anni novanta ad oggi.  Vediamo anzitutto, secondo il senso comune, cosa dovrebbe rappresentare normalmente il fenomeno del precariato nel mondo della scuola e la fase di precarietà per un docente medio. Vedremo poi chi trae vantaggio e chi invece riceve danno dalla crescita abnorme e patologica di questo fenomeno ormai strutturale della scuola italiana. Secondo un osservatore medio, non esperto di questioni scolastiche, lo stato dovrebbe ricorrere al precariato docente solo per coprire lo scostamento effettivo tra la previsione dei posti liberi presenti in organico (il cosiddetto “organico di diritto”), normalmente coperti da docenti di ruolo, e i posti effettivamente costituiti sulla base delle iscrizioni effettive degli alunni e dei pensionamenti che liberano ogni anno una certa quota di posti, al netto dei tagli agli organici effettuati dal ministero. A meno di supporre una totale e reiterata incapacità ad effettuare le previsioni da parte del ministero e delle singole istituzioni scolastiche, bisogna riconoscere che sia i posti effettivamente vacanti che quelli creatisi con l’organico di fatto sono nel corso degli anni cresciuti a dismisura per una volontà precisa. Pertanto il fenomeno del precariato, invece di assolvere la sua normale funzione di “cuscinetto” temporaneo per ricoprire le carenze di organico e consentire a tutti gli studenti di poter fruire del servizio di insegnamento in modo regolare, finisce per diventare una modalità  strutturale di utilizzo del personale docente, che però, proprio per la sua mobilità eccessiva (non certo per colpa dei singoli docenti precari) finisce per svilire la qualità della scuola a causa della sua eccessiva discontinuità, che non permette né  agli studenti né  ai docenti di sviluppare un lavoro didattico di lungo respiro. La “flessibilità”, in questo particolare settore, risulta ancora più deleteria che in altri! Il miope e momentaneo risparmio che si ottiene attraverso l’uso massiccio e reiterato del precariato va ad influire  in modo estremamente negativo sulla qualità della scuola. Solo il diffuso e malcelato disprezzo presente in larga parte della società nei confronti della funzione docente e della scuola in generale consente che in nome di un malinteso risparmio si permettano danni così gravi come quelli che la precarizzazione strutturale costituisce per la scuola e per tutti gli alunni.

Ancora più grave il fatto che la precarizzazione non riguardi più solo i docenti a tempo determinato, ma vada estendendosi in varie forme fino ad interessare la scuola nel suo complesso ed in tutte le sue componenti. A questo tema, che riguarda gli aspetti normativi, la riduzione di risorse e la limitazione della libertà di insegnamento (vero e proprio svilimento della funzione docente), come pure la trasformazione dei docenti in generici assistenti sociali o semplici “tecnici” dipendenti, dedicheremo uno studio a parte, per la complessità del tema e per le implicazioni e molteplici  ricadute che lo caratterizzano.

Dal punto di vista del singolo docente la fase della vita professionale che precede l’assunzione a tempo indeterminato sta diventando sempre più lunga, fino a superare abbondantemente la media dei dieci anni, quando non diventa addirittura definitiva!

A prescindere dall’impatto estremamente negativo sul piano personale, dovuto alla caduta di autostima ed all’impossibilità di sviluppare un’azione didattica di lungo respiro e rapporti stabili nel tempo all’interno del luogo di lavoro, la mancanza di docenti stabili si traduce negli stessi alunni in una naturale ritrosia ad affidarsi con fiducia ad un docente che da un giorno all’altro potrebbe andar via. Se questo è il risultato del risparmio ottenuto, possiamo ben immaginare quanto stia a cuore ai nostri governanti, (ed a noi stessi che li lasciamo fare) il futuro dei nostri figli!

Vediamo ora, prima di affrontare il tema nodale del reclutamento dei docenti, a chi giova, (o a chi sembrerebbe giovare!) la presenza e l’utilizzo selvaggio e massiccio del precariato.

Dal punto di vista dei docenti precari, esso rappresenta una dolorosa necessità! L’impossibilità di essere assunti a tempo indeterminato si trasforma presto in paura di perdere anche la possibilità di essere assunti a termine, ragion per cui anche l’assunzione con un breve contratto costituisce motivo di gioia; l’interesse per la sopravvivenza prende spesso il sopravvento sul desiderio di svolgere il proprio lavoro in modo proficuo e professionale. Le difficili condizioni ambientali in cui il precario, soprattutto il supplente breve, si trova ad operare finiscono per fare il resto. La mancanza di un piano di aggiornamento costante destinato a questo personale finisce di completare il quadro di questo vero e proprio ghetto professionale!

L’inevitabile tendenza umana a considerare i problemi altrui con sostanziale disinteresse fa si che il problema del precariato sia sostanzialmente considerato un problema dei soli precari e non dell’intera società. Tale atteggiamento negativo si può riscontrare in primis tra gli stessi docenti di ruolo, struzzi con la testa sotto la sabbia, che vogliono a tutti i costi ignorare la generale precarizzazione prossima ventura!

Anche la posizione dei sindacati, sotto questo aspetto, presenta aspetti di colpevole sottovalutazione del problema; gli atteggiamenti di gravissima e ingiustificata omissione nel promuovere azioni  di mobilitazione di forte impatto sull’opinione pubblica nascondono il timore di esporsi pubblicamente a favore di questa categoria. Tale timore scompare non appena si presenta la necessità di tutelare categorie considerate evidentemente più importanti.

Non che i sindacati abbiano interesse all’esistenza di un vasto precariato docente: al contrario, la presenza di situazioni e di interessi così frammentari e differenziati crea alle stesse organizzazioni sindacali notevoli problemi di gestione del fenomeno, che per la molteplicità dei suoi aspetti non permette una trattazione unitaria ed omogenea in sede di proposta e trattativa. Non tutte le organizzazioni sindacali hanno naturalmente lo stesso approccio nei confronti del problema e non mancano prese di posizione pubbliche (spesso molto distanti dall’atteggiamento reale nei confronti del fenomeno) di notevole impatto e dal forte sapore demagogico.  Esistono poi singoli gruppi di docenti precari associati che cercano, in modo spesso conflittuale e con obiettivi molto limitati, di tutelare in qualche modo gli interessi della categoria o di alcuni particolari segmenti di essa. Ciò che è finora mancato è stata la considerazione del fenomeno del precariato docente come un problema da risolvere nell’interesse di tutti, a cominciare da quello degli alunni.

 

L’idea di risolvere il problema del precariato, a seconda dei punti di vista di chi ha considerato il problema, è stata ed è tuttora molto differente. Consideriamo ora, dopo quello degli stessi precari e delle organizzazioni sindacali, quello del ministero, delle associazioni di categoria dei dirigenti scolastici e soprattutto quello dei diretti interessati assieme agli stessi precari, ovvero gli alunni e le loro famiglie.

 

Naturalmente non esiste una posizione ufficiale del ministero circa il problema del precariato, data l’utilità ai fini di risparmio e di flessibilità che i precari garantiscono allo stato. Se nessuno protestasse, tutto continuerebbe senza che il ministero assumesse il pur minimo impegno per garantire la soluzione del problema del precariato.

È proprio sulla definizione del problema del precariato che le posizioni divergono, come pure le proposte di soluzione. Possiamo però esaminare i comportamenti concreti assunti dalle varie parti in causa per capire le reali posizioni e motivazioni che guidano i comportamenti delle parti in causa.

Se il ministero potesse agire indisturbato, senza dover rendere conto a chicchessia (non parlo solo del comportamento del ministero attuale, ma anche di governi precedenti) esso procederebbe ad una serie di tagli all’organico così da ridurre progressivamente il rapporto docenti/alunni. La quantificazione esatta di questo rapporto non è di fondamentale importanza in questa analisi, dato che ciò che interessa è riportare l’attenzione sulla natura e sulla qualità dei fenomeni in atto. Va da sé che la riduzione del corpo docente può avvenire solo attraverso due meccanismi: il pensionamento dei docenti di ruolo e il licenziamento dei precari. A dire il vero il ministero vorrebbe, avendone la possibilità, poter licenziare anche i docenti di ruolo, ma questa ipotesi è, per una serie di motivi di carattere sindacale e culturale, assolutamente impraticabile se non in casi rarissimi e numericamente insignificanti. Un altro problema è costituito dal fatto che se i docenti precari vengono assunti ogni anno in modo massiccio questo non avviene per spirito di carità del ministero nei confronti dei precari stessi, ma per una vera e propria esigenza di servizio: la necessità di assegnare docenti alle classi che altrimenti rimarrebbero scoperte. Lo dimostra il costante aumento del numero degli alunni avvenuto in questi ultimi anni anche grazie al massiccio afflusso di immigrati nel nostro paese. L’ipotesi di pensionamenti massicci accompagnata da un forte e traumatico taglio dei posti non è facilmente praticabile, non perché non si voglia il taglio dei posti, ma perché il sistema pensionistico andrebbe in crisi davanti ad una quantità improvvisa ed elevata di pensionamenti di insegnanti. Il problema della coperta corta, secondo il ministero, andrebbe risolto coniugando le esigenze di ricambio del corpo docente con una progressiva ma costante riduzione dei posti, così da consentire di ridurre nel tempo il fabbisogno di docenti senza gravare traumaticamente sul sistema pensionistico e nello stesso tempo di assegnare i posti disponibili nella scuola a dei neo-docenti formati all’università, posti da creare soprattutto attraverso l’espulsione della maggioranza dei precari storici. Quest’ultima questione relativa alla formazione didattica universitaria dei docenti, di per se assolutamente positiva se correttamente impostata, viene posta soprattutto per esigenze di immagine a livello europeo e per esigenze elettorali (avere un docente specializzato all’università crea un’immagine positiva di rinnovamento e di qualità) e di salvaguardia dei posti dei docenti universitari, anch’essi in crisi a seguito della forte concorrenza sviluppatasi tra gli atenei e dei tagli ai bilanci di questi ultimi. Il problema reale della riqualificazione ed aggiornamento in servizio del corpo docente, sia esso di ruolo o precario, non viene invece affrontata con la decisione e le risorse che sarebbero necessarie. La necessità di reperire danaro fresco sta inoltre ampliando a dismisura il mercato dei titoli acquisibili a pagamento presso gli atenei, titoli che devono essere necessariamente spesi sul “mercato” della scuola perché possano essere di una qualche utilità per chi li “acquista”. Come si vede, le esigenze convergenti di università e ministero vanno poi a fondersi in modo assolutamente sinergico con quelle rivendicate dalle associazioni professionali dei dirigenti scolastici, i quali ritengono che l’aumento della “qualità” del servizio dell’istruzione vada di pari passo con la riduzione degli spazi di democrazia e libertà di insegnamento all’interno della scuola, accompagnata da una maggiore preparazione “tecnica” dei docenti, visti non più come educatori e formatori di coscienze libere e critiche, oltre che di cittadini istruiti, ma come dei “tecnici” subordinati ai voleri del dirigente, al servizio degli utenti-clienti della scuola azienda. La gerarchizzazione dei ruoli (vedi l’operazione sul tutor / docente prevalente) che si sta cercando di introdurre all’interno della scuola non ha niente a che vedere col miglioramento della qualità del servizio, ma è al contrario funzionale allo svilimento ulteriore della funzione docente. Un simile tentativo di assoggettamento sta avvenendo anche nei confronti della magistratura, che fortunatamente possiede un proprio organo di autogoverno, Il Consiglio Superiore della Magistratura; di un organo analogo, il Consiglio Superiore della Docenza, si sente fortemente il bisogno anche nel corpo docente, in funzione di tutela del principio della separazione dei poteri, se possiamo usare nella sua giusta ed equilibrata accezione questa definizione riferendola alla libertà di insegnamento costituzionalmente garantita.

Tornando al problema del precariato docente, l’atteggiamento di sostanziale disprezzo da parte del ministero e di profonda insofferenza nei confronti del corpo docente attuale da parte dei dirigenti scolastici, uniti alle esigenze delle università ed alla volontà di ridurre progressivamente gli organici, stanno portando a dei continui tentativi di far pagare l’intero conto di questa “riorganizzazione” e “razionalizzazione” delle risorse umane ai precari storici strutturali, quelli abilitatisi attraverso concorsi ordinari o  riservati, a causa di precise volontà e negligenze da parte dello stato a partire dai primi anni novanta. La grave colpa di questi precari è quella di essere passati di moda, non garantendo i loro titoli professionali quel lustro e quel prestigio pubblico che sarebbero politicamente ed elettoralmente spendibili in Italia ed all’estero. Dietro queste motivazioni di facciata, facilmente smontabili con delle obiezioni di semplice buon senso e con una reale politica di riqualificazione in servizio, si nasconde la precisa volontà di diverse componenti di ridurre numericamente il corpo docente e di limitarne l’autonomia e le prerogative che esso ancora possiede non certo in funzione di privilegio autoreferenziale,  ma per garantire agli alunni ed alle famiglie il diritto all’istruzione e all’educazione. Se la scuola ha funzionato fino ad oggi non è certo grazie alle politiche statali, ma grazie allo sforzo dei docenti, “nonostante” le politiche ministeriali. In questo senso il problema del precariato docente, primo bersaglio di una politica diretta a ridurre e sottomettere l’intero sistema dell’istruzione, è un problema che non riguarda solo i precari ma tutta la scuola, e non può essere ridotto alle pur comprensibili ed importanti questioni di riequilibrio dei punteggi da attribuire alle varie tipologie di precari esistenti.

Arriviamo così al nodo cruciale del reclutamento.

Cercando di sintetizzare in modo forse grossolano possiamo dire che il ministero e le associazioni dei dirigenti scolastici, col beneplacito delle università, complice la colpevole sostanziale acquiescenza di molti sindacati e con l’autolesionistica “collaborazione” di alcuni (fortunatamente non tutti!) gruppi autogestiti di precari, vogliono risolvere il problema del precariato attraverso l’espulsione della maggior parte dei docenti precari e mediante la sostituzione degli ordinaristi e dei riservatisti prima attraverso l’impiego dei sissini e poi, anche a danno di questi ultimi, con l’impiego dei laureati specializzati.

 

Sull’altro fronte, la proposta di risoluzione del problema del precariato passa attraverso l’assorbimento e la riqualificazione professionale del precariato storico in tempi brevi, attraverso lo stanziamento di risorse adeguate. Che in Italia non si facciano sforzi straordinari a favore della scuola è dimostrato anche dai dati sulla spesa percentuale complessiva e dalla costante riduzione della spesa per singolo studente; a tal proposito riportiamo alcuni dati relativi allo studio seguente:

 

(4)

Quanto spende lo Stato per l'istruzione degli studenti italiani? Ogni anno un po’ meno. Negli ultimi anni la spesa per studente erosa dall'inflazione di un milione di vecchie lire. La campanella dà inizio delle lezioni per oltre sette milioni e mezzo di studenti: l'avvio del nuovo anno scolastico rinnova l'attenzione sulla spesa sostenuta dalle famiglie per mandare i figli a scuola. Ma quanto spende lo Stato per l'istruzione degli studenti italiani? Ogni anno meno rispetto al precedente. Dal 1996 ad oggi (…) la spesa per studente si sarebbe contratta, in termini reali, di circa un milione delle vecchie lire. Mentre resta complessivamente stabile il numero degli studenti che frequenta le scuole statali (erano 7.774.751 nel 96, sono 7.669.505 nel 2004) in quasi dieci anni la spesa media per studente, al netto dell'inflazione, ha subito una riduzione costante: nel 96 si spendevano quasi sette milioni e mezzo delle vecchie lire, lo scorso anno (2003, n.d.r.) ne sono stati spesi quasi sei e mezzo (circa 3.300 euro). Le cose non vanno diversamente se si prende in considerazione l'ammontare complessivo degli investimenti destinati all'istruzione in rapporto al Pil. Il decennio 90/2000 ha fatto registrare una diminuzione di oltre un punto percentuale (-1,3%). Trend che non ha mutato rotta negli anni successivi: i dati forniti dall'Ocse (ultimo aggiornamento 2003) ci collocano a metà classifica fra gli altri paesi europei con il 4,5% di investimenti rispetto al Pil.

Il Parlamento di Strasburgo ha di recente confermato la posizione di metà classifica del nostro paese individuando la quota di investimenti per l’istruzione rispetto al Pil a circa il 4,9% (+ 0,5% rispetto al dato Ocse). Un livello che risulta comunque inferiore a quello degli anni 90 (5,8 %). (5)


(6) (L'esame della spesa è stata effettuata in lire per poter mettere in relazione quantità altri menti disuguali).

I valori convertiti in euro delle spesa media annua per studente è al netto dell'inflazione e sono pari a:

2001: € 3.413,72 – 2002 ;  € 3.401,51 ;  2003: € 3.305,50

Studenti delle scuole statali nell’ultimo anno scolastico 2003/04

Scuola dell'infanzia:                                                 972.250
Scuola primaria:                                                    2.523.240
Scuola secondaria di primo grado:                   1.708.599
Scuola secondaria di secondo grado: 2.465.416

Totale:                                                                     7.669.505

Dopo questa serie di dati, che illustrano chiaramente la contraddizione tra quanto dichiarato dai vari governi nei confronti della scuola pubblica e la realtà dei tagli continui, risulta evidente come la necessità di dare risposte in tempi brevi  al problema del precariato docente passa  anzitutto attraverso l’aumento di risorse strutturali da destinare alla scuola nel suo complesso, con particolare attenzione alla riqualificazione professionale di tutti i docenti  ed all’assorbimento programmato del precariato docente. Si può utilizzare a tal fine la totale copertura dei posti vacanti entro tre anni, così come stabilito e previsto dalla legge 143/04, purtroppo al momento priva di copertura finanziaria, così da riportare in equilibrio il sistema del reclutamento e del ricambio del corpo  docente. Tale provvedimento appare indispensabile per consentire un passaggio non traumatico dall’attuale sistema di reclutamento al nuovo sistema di formazione iniziale e reclutamento del personale docente di cui si sta cominciando a discutere a seguito della presentazione nello scorso mese di luglio della bozza di decreto attuativo dell’art.5 della legge 53/03. A questo punto l’impiego dei nuovi docenti laureati coi nuovi corsi di laurea ad indirizzo didattico, da programmare in base alle effettive esigenze del sistema, sarebbe funzionale al mantenimento in equilibrio dinamico del sistema nel suo complesso. In questo modo la fase del precariato tornerebbe ad essere, nella vita professionale del singolo docente e nell’economia complessiva del sistema, un qualche cosa di limitato nel tempo e nelle dimensioni complessive. Per poter poi sottrarre definitivamente questa delicata materia all’alea delle riduzioni o degli aumenti delle classi , inevitabilmente condizionati dal numero delle iscrizioni, si dovrebbe assolutamente generalizzare l’impiego dei cosiddetti organici funzionali. L’impiego di questi organici, già sperimentati in alcune scuole per un breve periodo nel recente passato, potrebbe rappresentare la soluzione per stabilizzare il corpo docente e dare certezze alle famiglie ed agli alunni, il cui punto di vista, come avrete notato, è stato il grande assente di questi anni su questo scottante tema, nonostante siano proprio loro i diretti interessati su cui ricade questa grave inefficienza del sistema scolastico.

Per chiarire meglio perché l’impiego degli organici funzionali potrebbe dare risposte adeguate al problema del precariato e della stabilizzazione del corpo docente, vediamo con più attenzione che cosa è in realtà un organico funzionale.

Tale organico all’interno di ogni scuola dovrebbe essere costituito sulla base del parametro del numero medio degli studenti previsto per quel dato istituto nell’arco di tre/cinque anni. A titolo di esempio, se un istituto dovesse avere una media di 700 studenti frequentanti ogni anno, il suo organico dovrebbe essere costituito sulla base di questa previsione; in questo modo, anche se il numero dovesse crescere fino a 900 o scendere fino a 500 (limiti massimo e minimo della banda di oscillazione), l’organico rimarrebbe invariato. Sarebbe compito dell’istituto organizzare il lavoro in maniera autonoma in modo tale da utilizzare il personale in modo ottimale, senza procedere a tagli o assunzioni arbitrarie. Semmai si potrebbe pensare di effettuare degli adeguamenti della dotazione finanziaria per far fronte ad esigenze di prestazioni di lavoro straordinario, purché secondo criteri improntati alla trasparenza e all’equità. I vantaggi sarebbero evidenti:

 

·          anzitutto non sarebbe strettamente necessario procedere a nomine annuali o straordinarie, come avviene attualmente nelle scuole statali, il cui organico è strettamente legato alla previsione di iscrizioni per l’anno venturo, con grande snellimento delle operazioni burocratiche. Si potrebbe infatti stipulare anche un certo numero di contratti pluriennali a tempo determinato, oltre alla quota prevista per le assunzioni a tempo indeterminato.

·          Si potrebbe avere un evidentissimo vantaggio in termini di programmazione pluriennale delle attività didattiche, potendo contare su un organico certo per un maggiore arco temporale.

·          Gli alunni e le loro famiglie potrebbero contare sulla collaborazione di un corpo docente stabile, che garantirebbe la necessaria continuità didattica e dei punti di riferimento certi nel tempo.

·          Lo stesso personale assunto a tempo determinato con contratto pluriennale potrebbe svolgere il proprio lavoro con maggiore tranquillità anche dal punto di vista personale.

·          Le stesse nomine di eventuali supplenti brevi costituirebbero un evento del tutto straordinario.

·          Si potrebbe istituire un’apposita Commissione il cui compito sarebbe quello di redigere gli organici ogni tre o cinque anni; in questa commissione dovrebbero essere presenti, anche solo a livello consultivo, rappresentanti delle associazioni professionali, dirigenti degli istituti, docenti e personale ATA, oltre a rappresentanti sindacali, delle famiglie e degli studenti. (a questo proposito si dovrebbe considerare quanto proposto nella bozza relativa alla riforma della formazione iniziale e reclutamento dei docenti che all’articolo 1, comma 6, recita quanto segue: “Per i fini di cui al comma 5, previa individuazione dei relativi mezzi di copertura finanziaria, il Ministro, con proprio decreto, adottato di concerto con il Ministro dell'Economia e delle Finanze, e con il Ministro della Funzione pubblica, determina per ogni triennio la programmazione dei posti disponibili e vacanti a livello nazionale, rilevati a livello regionale. Tale programmazione tiene conto anche dei posti formalmente comunicati dalle Regioni in relazione ai percorsi di istruzione e formazione professionale e dalle scuole paritarie, in relazione al fabbisogno di personale per il triennio di riferimento. Con decreto ministeriale, tenuto conto dell'offerta potenziale delle Università, comunicata da ciascun Ateneo ai sensi dell'art. 3, comma 2 della legge 264/99 e dell'esigenza di una equilibrata offerta formativa sul territorio, si provvede annualmente alla ripartizione dei posti per l'ammissione ai corsi di laurea specialistica attivati dalle Università.”

·          Sarebbe inoltre utile prevedere la  costituzione di un centro unico per le chiamate ed il reclutamento a livello provinciale o regionale, con il compito di effettuare le operazioni di reclutamento sia a tempo indeterminato che determinato (nomine pluriennali o per supplenze brevi straordinarie); tutte le operazioni dovrebbero comparire su un sito Internet di pubblico accesso aggiornato quotidianamente,  al fine di consentire la massima trasparenza ed il controllo da parte del pubblico; dovrebbero  pertanto essere abolite le graduatorie di Istituto e i limiti del numero di domande da presentare agli istituti in ambito provinciale; sarebbe infine importante consentire agli aspiranti la presentazione di domanda di inserimento di graduatoria in almeno due province, per favorire la mobilità territoriale volontaria.

 

Questa la proposta che riteniamo possa essere più adatta a risolvere strutturalmente il problema del precariato docente in modo positivo, accompagnata da un serio piano di riqualificazione del personale con caratteristiche di formazione ed aggiornamento continui, da tenere nelle sedi delle stesse istituzioni scolastiche in collaborazione con le università. La scelta di utilizzare le sedi scolastiche e non quelle universitarie è dovuta alla necessità di delocalizzare sul territorio i corsi di aggiornamento, così da poterne consentire la frequenza anche a quei docenti lontani dalle sedi universitarie. Unitamente ad una seria riforma degli organici e delle regole di reclutamento, occorrerebbe considerare la possibilità di introdurre incentivi di vario tipo, quali ad esempio i periodi sabbatici per favorire non solo la formazione in itinere ma anche l’autoaggiornamento dei docenti, senza dimenticare di creare delle condizioni idonee a sostegno dei docenti che operano in zone a rischio o di particolare difficoltà.

 

5.   Le insidie della riforma del reclutamento  proposta con la bozza elaborata dall’ANP e Beniamino Brocca

Nella proposta di riforma della formazione iniziale e del reclutamento dei docenti ciò che appare veramente rivoluzionario, ma non in senso positivo, è il tentativo di deregolamentare alla radice il reclutamento del personale docente, senza che questo nuovo sistema di chiamata pressoché arbitraria del personale da parte dei dirigenti scolastici offra un qualche vantaggio sotto il profilo qualitativo. Al contrario, oltre a presentare dei profili di probabile incostituzionalità, dato che in sostanza abolisce le procedure concorsuali previste dall’art. 97 della costituzione per l’accesso agli impieghi pubblici, pare finalizzato alla costituzione di un sistema clientelare finalizzato a colpire mortalmente la stessa liberta di insegnamento. Vediamo che cosa dice in dettaglio il testo dell’art. 3 della bozza di decreto attuativo:

Art.3
(accesso all'insegnamento)

1.      Ai fini dell'accesso ai ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche statali e delle assunzioni nelle scuole paritarie e nel sistema dell'istruzione e formazione professionale, i laureati ed i diplomati specialisti abilitati all'insegnamento svolgono attività di tirocinio, con valore di praticantato, con assunzione di responsabilità d'insegnamento sotto la supervisione di un tutor designato dall'istituzione interessata, nell'ambito di appositi contratti di formazione lavoro con le istituzioni o scuole interessate.

2.      Per accedere al contratto di formazione lavoro, i laureati ed i diplomati specialisti abilitati sono iscritti in un apposito Albo regionale istituito presso gli Uffici Scolastici Regionali, articolato per ciascuna classe di abilitazione. Ai fini dell'assegnazione nelle istituzioni o nelle scuole degli iscritti all'Albo, le stesse, di norma, stipulano, in costanza di posti disponibili e vacanti coerentemente con la programmazione di cui all'articolo 1, comma 5, apposite convenzioni con il Centro di servizio di cui all'articolo 2, o con le Accademie e i Conservatori interessati, con cui tra l'altro sono definiti i rapporti tra tutor e tirocinante.

3.      Con Decreto del Ministro, d'intesa con il MLPS e con il Ministero della Funzione Pubblica, è definito lo schema-tipo di contratto di formazione lavoro di cui al comma 1, nonché la durata e le modalità di svolgimento del tirocinio.

4.      Compiuto il tirocinio di cui al comma 1 gli interessati discutono, con il comitato per la valutazione del servizio di cui all'articolo 11 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 ai fini dell'accesso ai ruoli del personale docente delle scuole statali, e con analogo organismo da istituirsi nelle scuole paritarie e nel sistema dell'istruzione e formazione professionale ai fini dell'assunzione nelle medesime scuole paritarie o nel predetto sistema, una relazione sulle esperienze e attività svolte e adeguatamente documentate. A seguito di giudizio favorevole espresso, tenuto conto anche degli elementi di valutazione forniti dal tutor di cui al comma 1 e dal dirigente dell'istituzione scolastica o formativa, dai predetti organismi di valutazione, gli interessati conseguono l'assunzione con vincolo di permanenza, per almeno 3 anni scolastici, nell'istituzione scolastica o formativa presso cui è stato effettuato il tirocinio”. (7)

Come si può notare, si prefigura un vero e proprio incarico di insegnamento assegnato al di fuori delle norme sul reclutamento per concorso, in violazione dell’art.97 della Costituzione ( “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”), prescindendo dalle norme contrattuali previste dal CCNL.  Ma vi sono altri punti oscuri e poco trasparenti. Quali criteri saranno adottati perché non si trasformi in una chiamata di tipo “privatistico e clientelare”?

 

6.   Il regime transitorio

Un’altra questione estremamente delicata, su cui si appuntano le critiche di molte organizzazioni sindacali e di categoria è quella relativa alla fase di transizione tra l’attuale modalità di reclutamento regolata dalla legge 124/99 e quella prevista dalla bozza di decreto attuativo dell’art.5 della legge 53/03. Vediamo anzitutto cosa prevede la bozza in questione:

“Art.5
(Norme transitorie e finali)

1.       Le graduatorie degli idonei dei concorsi a posti e cattedre per esami e titoli e le graduatorie permanenti del personale docente di cui alla legge 124/99, in vigore alla data di emanazione del presente decreto, vengono trasformate in graduatorie ad esaurimento ed utilizzate per le assunzioni secondo le modalità di cui al presente articolo.

2.       In via transitoria, e fino all'esaurimento delle singole graduatorie di cui al precedente comma, il numero complessivo dei posti di accesso all'insegnamento disponibili secondo la programmazione triennale di cui all'articolo 1 e imputabili all'anno di riferimento è così ripartito:

a)       il 25% ai posti di accesso ai corsi di laurea specialistica ed ai corsi accademici di 2° livello di cui al presente decreto;

b)       il 25% agli idonei dei concorsi a posti e cattedre per esami e titoli;

c)       il 50% agli iscritti nelle graduatorie permanenti di cui al precedente comma.

In caso di esaurimento delle graduatorie di cui al comma 1, i posti ad esse assegnati vanno ad incrementare la quota di cui alla lettera a).

3.       Gli insegnanti abilitati nei corsi di laurea di scienza della formazione primaria, nei corsi di specializzazione all'insegnamento nella scuola secondaria e nei corsi di didattica della musica sono inseriti, a domanda, nelle graduatorie degli idonei dei concorsi a posti e cattedre per esami e titoli.

4.       Con decreto del Ministro sono disciplinati i corsi abilitanti speciali di cui all'articolo 2 della legge 143/04.

Con accordo in sede di Conferenza Stato – regioni, sono determinati i criteri per la disciplina relativa al personale docente del sistema di istruzione e formazione professionale, nel rispetto di quanto previsto dai relativi Contratti Collettivi di Lavoro.”

 

 

In maniera molto scarna, come si può vedere, viene trattata una materia di estrema delicatezza quale quella delle garanzie di stabilizzazione del posto di lavoro per centinaia di migliaia di insegnanti, senza che vengano neanche precisate le modalità di inserimento degli specializzati SSIS rispetto a coloro, già in possesso di abilitazione/idoneità ottenuta col superamento dei concorsi a cattedre.

Essendo questi ultimi presenti nelle graduatorie di merito con i punteggi relativi ai voti ottenuti tramite superamento di concorso ordinario, solitamente più selettivo rispetto ai corsi SSIS, oltre che vedersi sottrarre la metà dei posti finora riservati alla graduatoria di merito, si vedranno probabilmente scavalcati sistematicamente dai nuovi inseriti, che andranno ad occupare con regolarità le migliori posizioni in graduatoria grazie alle notevoli medie voti concesse loro presso le SSIS. Un altro elemento di divisione tra precari artatamente introdotto per provocare ulteriori guerre tra poveri! Non viene inoltre dichiarato se i posti di accesso all’insegnamento a cui si fa riferimento sono solo quelli da destinare alle assunzioni a tempo indeterminato, o se invece si considerano anche gli incarichi al 30/6 e al 31/08; in quest’ultimo caso i precari storici dell’attuale graduatoria permanente, da cui vengono tratti attualmente gli aspiranti agli incarichi a tempo determinato, sarebbero ulteriormente penalizzati e ghettizzati, oltre che costretti ad una continua rincorsa all’accaparramento di titoli universitari a pagamento  (previsti dalle nuove norme sulle supervalutazioni previste per questi titoli dalla nuova tabella di valutazione introdotta con la legge 143/04).

Non una parola viene inoltre detta circa l’attribuzione delle supplenze brevi; a ben pensare, parrebbe di capire che le “responsabilità di insegnamento” di cui al precedente art. 1 siano proprio quelle inerenti alle supplenze brevi; pensate a che razza di sistema clientelare si potrebbe creare con l’introduzione del docente tirocinante , “jolly” da impiegare discrezionalmente per due anni come tappabuchi, sottopagato rispetto ai colleghi e completamente assoggettato ai voleri del dirigente per paura di non ottenere, al termine del tirocinio biennale, il parere positivo indispensabile per l’agognata assunzione (senza concorso!).

Se questo è il progetto di riforma del reclutamento, ci aspettano sicuramente tempi bui!

Circa una controproposta da presentare in merito al reclutamento, oltre all’immediata attuazione del piano triennale di assunzioni in ruolo cui destinare il totale dei posti vacanti, occorre precisare che l’attribuzione del 25% dei posti da destinare all’immissione in ruolo ai neoabilitati universitari appare assolutamente sproporzionata rispetto alla grande quantità di aspiranti attualmente  presenti nelle graduatorie di merito e nelle graduatorie permanenti! Senza far torto a nessuno, anche ipotizzando l’attribuzione di una quota di immissioni in ruolo da destinare agli abilitati universitari, crediamo che questa non possa superare il 2,5% del totale complessivo dei posti (5% dei posti destinati alla graduatoria di merito), più che sufficiente ad assorbire gli attuali abilitati SSIS se venisse effettivamente attuato il piano triennale di assunzioni! Non è infatti ammissibile creare dei canali privilegiati di assunzione per alcune categorie di precari a discapito di altri, in attesa da anni di un’assunzione che rischia di non arrivare mai.

 

Anche sulla spinosa questione della tabella di valutazione titoli retroattiva introdotta dapprima col DL 97/04 e poi successivamente modificata dalla legge 143/04 e dai successivi emendamenti alla stessa legge occorre fare chiarezza.

Tali provvedimenti legislativi sono infatti derivati dalla originaria sacrosanta necessità di riequilibrare le attribuzioni dei punteggi tra le varie tipologie di precari a seguito delle attribuzioni dei famigerati 30 punti di bonus di abilitazione agli abilitati SSIS a danno dei precari abilitati. Non è questa la sede per ripercorrere l’intera storia della querelle che ha animato ed infuocato il dibattito politico e l’infinita  contesa legale tra sissini, riservatisti e ordinaristi; basterà invece sottolineare come i provvedimenti in oggetto, invece di riportare equilibrio tra le varie componenti del precariato e ridurre la conflittualità, siano stati invece il veicolo col quale introdurre nuovi elementi di ingiustizia e rivalità. Basti pensare alla svalutazione di tutti i titoli di abilitazione, titolo specifico per l’insegnamento, “conditio sine qua non” per poter ottenere l’assunzione a tempo indeterminato, la cui valutazione in tabella attribuiva un punteggio minimo di dodici punti fino ad un massimo di trentasei. Ora la svalutazione di ben due terzi di questo titolo principe lo ha ridotto al livello di quattro punti per il voto minimo fino ad un massimo di dodici punti, ossia il valore attribuito ad un solo anno di un qualunque dottorato di ricerca generico, senza nessuna connessione con l’insegnamento. A poco serve l’attribuzione di sei punti ad ogni titolo di abilitazione comunque conseguito se poi si attribuisce ai titoli conseguibili a pagamento presso le università o presso enti con queste convenzionati un valore tale da costringere i docenti a spendere fior di soldi ogni anno ed a sottrarre alla scuola tempo prezioso, che potrebbe essere ben più utilmente dedicato alla didattica ed alla formazione ed aggiornamento gratuiti in servizio presso le sedi scolastiche. Lo scopo evidente di questi provvedimenti è quello di favorire la mercificazione dei titoli e il clientelismo, favorendo la rincorsa all’accaparramento di costosi quanto inutili titoli (vedi master annuali da tre punti cadauno!), necessari solo per non farsi scavalcare in graduatoria. Lo scavalcamento avverrà a danno di coloro che “perderanno” il loro tempo a stare in classe a svolgere il proprio lavoro a favore degli alunni invece di cercare favori e onori presso i dirigenti scolastici e le università!

Anche l’introduzione di bonus e raddoppi di punteggi per chi lavora nelle scuole delle piccole isole, nelle carceri o in sedi situate sopra i seicento metri, senza i necessari correttivi, rischia di introdurre ulteriori elementi di conflittualità e scarsa trasparenza.

Una proposta di buon senso a proposito del riequilibrio dei punteggi potrebbe essere quella di ripristinare l’uso della tabella di valutazione adottata attualmente per il calcolo dei titoli in prima e seconda fascia della graduatoria permanente, con la sola adozione dei ventiquattro punti per gli abilitati SSIS in funzione di bonus per i due anni di corso, con esclusione della valutazione del servizio prestato durante la durata legale del corso.

Sarebbe poi estremamente necessario intensificare i controlli a campione sulle autocertificazioni previsti dalla legge, attualmente totalmente inesistenti e inefficaci. La mancanza di tali controlli sta ingenerando ulteriori situazioni di conflittualità e scarsa trasparenza, a tutto vantaggio di chi vede la scuola come una merce da privatizzare a fini di lucro.

 

Di seguito riportiamo l’articolo di Tuttoscuola, pubblicato lo scorso 2 agosto 2004, che ci illustra le varie posizioni assunte da sindacati, associazioni professionali e forze politiche in merito alla questione del reclutamento e formazione iniziale dei docenti.

 

“Prof a chiamata diretta
02 agosto 2004 - Tuttoscuola.com
La macchina dei decreti legislativi attuativi della riforma Moratti procede. Ora è il turno dell’art. 5 della legge n. 53, che rivede in profondità le regole per la formazione iniziale e il reclutamento dei docenti.

“Se non interverranno cambi di indirizzo a livello politico, a partire dal 2007-08 dovrebbero entrare nella scuola italiana, sia pure nella misura iniziale del 25% del fabbisogno totale, i primi docenti scelti direttamente dalle scuole negli albi degli specializzati, in luogo di quelli assegnati dall’amministrazione sulla base delle tradizionali graduatorie.

I corsi biennali di laurea specialistica dovrebbero infatti partire dall’anno accademico 2005-2006 (nel 2004-2005 ci saranno ancora le SSIS), e concludersi in tempo utile per consentire ai primi neospecializzati di essere inseriti negli appositi albi regionali, dai quali le scuole statali e paritarie potranno sceglierli (nella misura appunto del 25% del fabbisogno) per proporre loro un contratto di formazione e lavoro per lo svolgimento di attività di tirocinio "con valore di praticantato". La durata del tirocinio non viene indicata: sarà stabilita con decreto del MIUR, d’intesa con il Ministero del Lavoro e quello della Funzione Pubblica. Si era in precedenza parlato di due anni, ma può darsi che siano insorte perplessità sull’eccessiva durata complessiva del percorso di inserimento nella scuola, che potrebbe disincentivare i giovani dalla scelta dell’insegnamento.

Lo schema di decreto legislativo, il cui contenuto è stato reso noto ai sindacati il 21 luglio in un incontro tecnico, dovrà essere approvato dal Consiglio dei ministri in prima lettura; dovrà poi acquisire i pareri delle commissioni parlamentari competenti (entro 60 giorni) e quello della Conferenza Stato-Regioni, per essere nuovamente approvato dal Consiglio dei ministri in via definitiva. La bozza di provvedimento affida ad un elevato numero di decreti ministeriali la definizione puntuale di molte questioni, comprese quelle riguardanti la definizione del "profilo culturale e professionale del docente" e la composizione delle commissioni di selezione dei candidati da ammettere alla frequenza dei bienni di specializzazione e le commissioni per l’esame finale (entrambe prevedono la partecipazione di docenti provenienti dalle scuole).

L’Università, alla quale viene attribuito il compito di definire la politica delle risorse umane, assume un ruolo decisivo nella strategia di formazione degli insegnanti. Agli organismi universitari si chiede di "reinventare" il ruolo dei docenti, ma anche le forme per esercitarlo.

Questo obiettivo politico incontra un limite nella non ancora decisa configurazione del secondo ciclo e nella mancata riconsiderazione degli assetti e delle competenze istituzionali derivanti dalla riforma costituzionale attuata con la legge 3 novembre 2001, n. 3.

Sarà interessante vedere quali misure saranno adottate, in mancanza del piano programmatico di investimenti finanziari fermo all’approvazione preliminare del Consiglio dei Ministri del 12 settembre 2003. Per partire davvero con il 2007-2008 è necessario che il decreto legislativo venga varato al massimo entro la fine del 2004 e che i connessi provvedimenti amministrativi siano assunti entro i successivi due-tre mesi (la CISL scuola ne ha individuati almeno 14: www.cislscuola.it ). Un percorso a tappe forzate che per la complessità della materia e la pluralità dei soggetti istituzionali coinvolti richiede condivisione, consenso e partecipazione. Requisiti non agevoli da realizzare per le numerose questioni di metodo e di merito sollevate, non solo dalle forze sindacali ma anche da tutto l’arco delle forze politiche.

Immediate sono state infatti le proteste dei sindacati confederali. Molto dure e nette quelle della CGIL scuola ("il decreto viola la Costituzione" e "suona come una provocazione per le decine di migliaia di docenti inseriti nelle graduatorie permanenti") e anche quelle della UIL scuola ("Questo decreto ha una sua logica solo come anticipazione della devolution, e prefigura rischiosamente tanti sistemi di reclutamento quante sono le Regioni").

Più problematica la CISL, che critica soprattutto l’eccesso di delega e l’incursione del Governo in materie riservate alla contrattazione (la legge 53 disciplina le nuove modalità di formazione iniziale, non il reclutamento, e il legislatore delegato non può intervenire sullo stato giuridico dei docenti). Lo SNALS sollecita "una seria riflessione sulla materia, considerata la sua specificità, con le Organizzazioni Sindacali", perché considera "la formazione iniziale ed in servizio dei docenti centrale nella prospettiva dell’innovazione" e perciò "non è consentita alcuna improvvisazione e il provvedimento attuativo dovrà rispondere coerentemente al testo della legge di riforma".

La Gilda chiede a sua volta un confronto a livello politico (cioè con il Ministro), poiché non è a livello tecnico che possono essere affrontati problemi come quelli affrontati nello schema di decreto. Tra le sigle sindacali, solo l’ANP ha preso una posizione nettamente favorevole al decreto, soprattutto sulla "acquisizione da parte delle scuole autonome della possibilità di assumere direttamente i docenti" e sul coinvolgimento attivo delle scuole in tutte le fasi del futuro processo di formazione dei docenti. Riserve, invece, sul fatto che la definizione del "profilo culturale e professionale del docente" venga affidata a un decreto ministeriale.

L’ANP preferirebbe che la materia fosse regolata direttamente dal decreto legislativo. Ma al Ministero, evidentemente, si ritiene che la soluzione del decreto ministeriale sia meno dirompente nel rapporto, già difficile, con i sindacati, e più compatibile con scenari di tipo negoziale. Intanto anche il sen. Valditara, responsabile scuola di AN, ha reso noto di aver chiesto al vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, e al ministro dell'istruzione, Letizia Moratti, di rinviare l’esame dello schema di decreto in Consiglio dei ministri, poiché "occorre proseguire il confronto con il sindacato, in particolare con quello non pregiudizialmente ostile alla riforma".

Anche la sen. Soliani della Margherita prende atto con soddisfazione che settori della maggioranza invitano ad un ulteriore approfondimento su una questione che richiede un confronto più aperto nel Paese perché il ruolo degli insegnanti è decisivo per il miglioramento della qualità dei livelli di apprendimento dei ragazzi. La senatrice coglie l’occasione per sollecitare la maggioranza a considerare il passaggio del DPEF e della prossima finanziaria un momento decisivo per garantire la copertura finanziaria al piano programmatico di investimenti finanziari previsto per il quinquennio 2004-2008 e non ancora esecutivo.”

 

7.   Perché si vuole precarizzare la scuola pubblica?

Anche se, come detto in precedenza, non è possibile in questo documento approfondire in modo non dico esaustivo ma almeno sufficiente il tema della progressiva precarizzazione della professione docente e di tutta la scuola, è però possibile chiedersi quale sia il vantaggio che uno stato può trarre da una simile tendenza. Occorre anzitutto ricordare che le decisioni, in politica, non sempre vengono prese tenendo conto dell’interesse generale, ma a volte, per esigenze di carattere elettorale, di risparmio o di semplice potere. Ad esempio  quello che si può ottenere creando un sistema gerarchico il cui scopo non è tanto quello di favorire l’istruzione e l’educazione alla coscienza critica delle nuove generazioni di cittadini di una repubblica democratica, ma più semplicemente quello di separare coloro che sono predestinati per nascita e censo a diventare classe dirigente da coloro che devono diventare dei tecnici e degli operai da destinare al mercato del lavoro. Anche il mercato del consumo richiede che si educhino i giovani a diventare “consumatori” di prodotti e opinioni standardizzate e preconfezionate in funzione delle esigenze del mercato e di uno “statu quo” che intende creare le condizioni per manipolare il consenso dell’opinione pubblica allo scopo di  perpetuarsi. Per questo motivo le spinte del mercato verso la precarizzazione globale, spinte già normalmente presenti nella società, indipendentemente dalla parte politica che governa in un determinato momento, che possono essere però accelerate e rese strutturali da scelte politiche che mirano ad avere un corpo docente ed una scuola che, per frammentazione interna tra le sue componenti, necessità di difendere il posto di lavoro pur che sia e per scarsa autostima e consapevolezza del proprio ruolo e della propria funzione, non oppone sufficiente resistenza proprio  a causa della divisione in varie categorie del corpo docente e dell’assoggettamento dei singoli attraverso la costruzione di un sistema gerarchico e clientelare. Avere un corpo docente totalmente precario o comunque sottoposto a forme di controllo che limitino in modo pesante la libertà di insegnamento, nei progetti di riforma della scuola di associazioni di dirigenti scolastici e di alcune parti politiche, rappresenta lo strumento principe per sottrarre forza e dignità al corpo docente, trasformandolo così in un docile strumento di controllo della società. Si tratta di una forma più moderna e subdola di manipolazione delle coscienze, operazione già tentata con successo in tempi non remoti da regimi manifestamente totalitari

Anche se questi obiettivi non saranno dichiarati apertamente prima di essere raggiunti, le azioni di “riforma” della scuola pubblica, di balcanizzazione e precarizzazione del corpo docente mirano a svilire le capacità di pensiero critico e indipendente di tutti, giovani e meno giovani. Queste azioni, assieme al sistematico svilimento dei valori di partecipazione cosciente dei cittadini ai processi democratici ed al bombardamento mediatico e pubblicitario, dimostrano che questo progetto sta andando avanti rapidamente e con buone probabilità di successo.

 

8.   Principi da difendere per la tutela della scuola pubblica e della funzione docente, per favorire l’assorbimento del precariato docente e per la tutela professionale dei docenti a tempo determinato.

Non è questa la sede per formulare e discutere nel merito tecnico ed operativo le proposte per la soluzione positiva dell’assorbimento del precariato docente. La prima condizione da cui tutte le altre proposte discendono è la difesa della scuola di qualità, presupposto indispensabile per l’attuazione di tutte le altre proposte.

Occorre partire anzitutto dalla piena attuazione del dettato costituzionale che garantisce a tutti i cittadini il diritto all’istruzione, da realizzarsi mediante lo stanziamento di risorse adeguate, oltre che attraverso condizioni normative e organizzative che ne consentano l’effettiva e concreta realizzazione.

Né  si può prescindere dalla valorizzazione della qualità della scuola, basata sul processo di insegnamento-apprendimento, nel rispetto dell'autonomia e della libertà d'insegnamento, dell’unicità della funzione docente, della collegialità dell'azione didattica e della cooperazione tra docenti, alunni e genitori.

Non si può e non si deve rinunciare alla difesa del principio della funzione del docente inteso come professionista, intellettuale ed educatore, da contrapporre al docente inteso come tecnico dipendente. Per quanto riguarda invece le proposte per l’assorbimento e la stabilizzazione del personale con contratto a tempo determinato, crediamo che sia anzitutto indispensabile trovare la copertura finanziaria per l’attuazione del piano triennale di immissioni in ruolo previsto dalla legge 143/2004 per la copertura di tutti i posti vacanti, porre in atto la trasformazione degli organici attuali in organici funzionali e individuare forme di assorbimento e utilizzazione a domanda del corpo docente precario anche in altre amministrazioni pubbliche, con eventuale riqualificazione professionale.

Non ci dilungheremo oltre su ulteriori aspetti che richiederebbero  interi capitoli da dedicare a ciascuno di essi.

Speriamo solo di aver fornito con questo documento utili spunti di riflessione ed approfondimento, oltre che di carattere operativo, per comprendere ed affrontare in modo positivo il tema del precariato docente, senza isolarlo dal suo naturale contesto delle problematiche generali che interessano la nostra scuola.

 

* Roberto Farci è docente di lingue straniere presso il Liceo Scientifico “Giorgio Asproni” di Iglesias. E’ responsabile per il precariato della Gilda di Cagliari.

 

 

NOTE

(1) tratto da:  rapporto © Eurydice, la rete europea di informazione sull’istruzione, 2003.

(2) “Ricognizione del personale docente precario.”, studio elaborato dal Dott. Marcello Pacifico dell’Università degli Studi di Palermo e Université de Paris X-Nanterre.

(3) (dati tratti dal n. 2/2001 di Informazione, notiziario a cura dell'Unità italiana di Eurydice - INDIRE pubblicato con il contributo del MIUR Direzione Generale per le Relazioni Internazionali. La versione integrale può essere consultata in francese, inglese e tedesco sul sito www.eurydice.org. ).

(4) Francesca Ricci, ufficio stampa Uil Scuola, 27 agosto 2004.

(5)”In un Paese che ha bisogno di innovazione e ricerca per favorire lo sviluppo "commenta il segretario generale della Uil Scuola, Massimo Di Menna" invece di rafforzare investimenti e riconoscere e valorizzare le professionalità, diminuisce la spesa destinata all'istruzione. Se, ogni anno, si continua a spendere meno per ogni studente - aggiunge Di Menna - difficile dire che, spendendo meno, si migliora l'istruzione”.

(6) Elaborazione Uil Scuola su dati della relazione della Corte dei Conti sul bilancio Miur.  

(7) Vedere proposta  legge Santulli n° 4091 Camera dei Deputati con emendamenti A. Napoli  (ora: Stato giuridico e diritti degli insegnanti della scuola – T.u. C. 4091 e abb.).