Vi racconto la mia ora di religione.

 Amos Luzzato Fegiz, da Il Nuovo Riformista del 14/3/2006

 

L’insegnamento della religione (cattolica) nelle scuole (pubbliche) italiane tiene banco da anni in una polemica rassegnata, che non è riuscita a incidere sulla situazione di fatto, che progressivamente è diventata una situazione di diritto. Quand’ecco che avanza una nuova richiesta che non desta certamente sorpresa, data l’entità della minoranza musulmana in Italia: sia insegnata anche la religione musulmana, se gli utenti della scuola che appartengono a tale confessione ne fanno richiesta. Ciò che desta sorpresa, semmai, è la pronta disponibilità di una parte delle gerarchie cattoliche, che ha manifestato la sua disponibilità a favore di tale proposta.

È vero che la minoranza musulmana è ormai la seconda religione in Italia. Però nessuna disposizione di legge o di organizzazione di un settore pubblico può essere pensata, fino a questo momento, in funzione del peso specifico delle sue componenti. In linea di principio deve essere valida per qualsiasi minoranza; è possibile pertanto immaginare in futuro analoghe richieste da parte di altre utenze scolastiche appartenenti ad altre religioni diverse da quella cattolica o da quella musulmana. Ne deriverebbe un quadro a dir poco singolare. A una certa ora, la scuola pubblica verrebbe suddivisa in scomparti distinti e separati, ciascuno ad approfondire la sua dottrina, ciascuno con la sua assodata verità, consapevole del fatto che, nell’aula accanto, altri alunni si starebbero contemporaneamente dedicando alla conoscenza di una verità incompatibile con quella del vicino. Si parla del vicino di banco con il quale si condividono le altre lezioni. Sarebbe interessante pensare che cosa potrebbe succedere se un gruppo di famiglie, dichiaratamente atee-illuministe-voltairiane, chiedesse di avvalersi del medesimo diritto. Ma forse tutto il male non viene per nuocere, forse è questa una buona occasione per una riflessione seria sul significato di “scuola pubblica” e sui suoi contenuti. Si badi bene: non su quello che non vi si dovrebbe insegnare, ma l’esatto contrario, su quello che dovrebbe essere insegnato non tanto in una scuola qualsiasi ma in una scuola pubblica.

A mio modo di vedere, vi sarebbe un sottile ma robusto filo che collega tutti gli insegnamenti e che darebbe un significato comune al lavoro di tutti i docenti: quello di preparare gli alunni (tutti!) ad essere cittadini di questa Repubblica, e d’Europa, portatori degli stessi diritti e sottoposti agli stessi doveri. Quanto ai diritti, non si tratta solo del diritto di votare e di essere votati, ma anche di quello di accedere, con l’esercizio della libera critica, all’informazione, compresa quella accessibile in una lingua europea diversa dall’italiano; del diritto alla propria sicurezza, che comprende il lavoro, l’abitazione, la difesa della salute e del proprio ambiente; e infine del diritto a soddisfare i propri “bisogni” culturali e di svago e anche, last but not least, dei propri “bisogni spirituali”. Saremmo ciechi e sordi se non comprendessimo fra questi i bisogni di religiosità che spesso cercano soddisfazione molto al di là del nostro orizzonte, ad esempio in direzione delle cosiddette religioni “orientali”, o peggio delle sette.

Questi particolari bisogni travalicano i principi e la ritualità delle singole religioni e rappresentano motivazioni e spinte razionali e irrazionali che non possono essere trascurate nel programma educativo. Ma se questo è vero, allora esistono aspetti educativi, problemi e domande non soddisfatte, che devono essere trattate e discusse fra docenti e discenti; ad esempio, ma solo ad esempio, i limiti della conoscenza, il senso del trascendente, l’amore del prossimo o la concorrenza selvaggia, il confronto fra i sessi. Se tradizioni differenti danno risposte diverse ad alcuni di questi problemi, che siano date assieme, per aiutarsi reciprocamente, “contaminandosi” fino dagli anni scolastici perché anche dopo, da adulti maturi e da “cittadini”, possa continuare questa benefica contaminazione.

Questa dovrebbe e potrebbe essere l’ora di religione - senza aggettivi - nella scuola pubblica e in questo senso la religione e la laicità avrebbero tutti i titoli per convivere. L’educazione alla propria specifica religione andrebbe fatta, liberamente, e con tutti i sostegni del caso, in altre sedi. In caso contrario, la scuola cesserebbe di essere pubblica e diventerebbe, per bene che vada, un consorzio di privati.