L’uso delle immagini nella scuola
Per una corretta interpretazione della norma
di Anna Armone
Educazione & Scuola
11.9.2012
Premessa.
Il trattamento dei dati
personali diventa “problema” con la nascita della rete, che consente
a chiunque di venire a conoscenza di dati riguardanti persone
fisiche o giuridiche. Nel presente scritto ci riferiremo al
trattamento dei dati ordinari, cioè quelli che consentono di
identificare un soggetto.
Le norme giuridiche che
regolano il trattamento dei dati personali tendono a garantire
l’individuo nei confronti di chiunque abusi del trattamento stesso,
ledendo la dignità della persona o esponendola a rischi.
In questo contesto gli
alunni devono essere visti come portatori del diritto alla
riservatezza e alla protezione dei dati personali. Ma proprio in
quanto studenti la loro posizione va analizzata nel contesto di
riferimento. È quello che cercheremo di fare, evidenziando le
differenze di tutela che derivano dai diversi contesti in cui i
diritti su richiamati possono essere violati.
Il contesto scolastico
è istituzionalmente pubblico, disciplinato dalle norme di
organizzazione amministrativa. Si perseguono interessi pubblici
costituzionalmente garantiti che coincidono con l’interesse
individuale. Si tratta di una discriminante chiara tra le attività
che intercorrono tra privati per loro libera adesione e le attività
poste in essere da un soggetto che svolge una funzione sociale e,
nel caso della scuola, irrinunciabile da parte del privato
cittadino.
Il trattamento di dati
personali degli alunni, ancorché comuni, da parte della scuola, deve
tener conto della pericolosità potenziale del trattamento, avendo la
stessa una responsabilità che deve andare oltre la valutazione
dell’immediatezza. Si tratta di valutazioni che il privato non deve
fare, poiché in questo caso l’interessato decide liberamente della
disponibilità delle informazioni che lo riguardano. Proprio per
questo motivo dobbiamo comprendere perché il legislatore ha voluto
evidenziare questa differenza tra il regime del trattamento dei dati
personali riferito a soggetti privati e il regime riferito a
soggetti pubblici.
Una prima riflessione
va fatta sul concetto di interesse pubblico.
Mentre gli interessi
individuali sono quelli che fanno capo all’individuo; gli interessi
collettivi sono gli interessi di quelle entità sociali intermedie
promananti dalla comunità che l’ordinamento giuridico qualifica in
senso oggettivo, perché sono centri di interesse e di attività alle
quali sono immediatamente da riferire quegli interessi e da imputare
quelle attività e le loro conseguenze; gli interessi pubblici,
infine, sono quelli che hanno come punto di riferimento soggettivo
la stessa comunità generale o anche comunità minori che di quella
siano derivazioni o anche entità che, comunque, siano
dall’ordinamento riconosciute come figure soggettive pubbliche.
La realizzazione di
tali interessi costituisce l’interesse pubblico “concreto”
perseguito dall’amministrazione che, nel valutarlo deve regolarsi
secondo i principi di imparzialità e buon andamento.
Nel sistema
dell’istruzione e della formazione qual è l’interesse pubblico da
perseguire? Quello declinato nell’art. 30 della Costituzione e negli
articoli 1 e 2 del d.lgs n. 297/1994.
La scuola pubblica non
è un qualsiasi contraente che offre un servizio negoziabile, bensì
un soggetto che svolge una funzione sociale. Pertanto non possiamo
immaginare una scuola che agisce in veste di privato con i genitori
nell’ambito dell’attuazione del diritto alla riservatezza. La scuola
ha sempre una funzione istituzionale da svolgere; al di fuori di
essa non è ammissibile alcuna attività.
I dati che riguardano gli alunni
La scuola rappresenta
un settore delicato per la mole di dati personali che circolano al
suo interno e verso l’esterno. Il legislatore ha ritenuto di
dedicare due soli articoli a questo comparto, articoli che,
peraltro, riprendono precedenti normative.
L’art. 96 del Codice
conferma il diritto alla riservatezza degli studenti già previsto
dallo Statuto delle studentesse e degli studenti. Il contenuto
generico della disposizione – la comunità scolastica promuove la
solidarietà tra i suoi componenti e tutela il diritto dello studente
alla riservatezza – si presta all’individuazione di una molteplicità
di situazioni. La tutela della riservatezza in ambito scolastico
mira ad evitare che divulgazioni non corrette di dati personali
possano ledere la personalità dello studente, indipendentemente dai
soggetti che possono realizzare la turbativa, siano essi docenti che
personale di segreteria che terzi.
Nell’ambito dei dati
relativi agli alunni, una gran parte vengono forniti direttamente
dagli stessi o dalla famiglia, altri sono frutto dell’attività
svolta nella scuola. Tra le attività scolastiche vanno annoverati
eventi, quali le recite, che nulla hanno a che fare con le norme
sulla privacy. Come ha spiegato il Garante, le riprese filmate o
fotografiche dei propri figli sono fatte a fini personali e
destinate ad un ambiente familiare, per cui il loro uso è legittimo.
L’uso delle immagini e dei filmati nella scuola. I limiti e
le modalità di utilizzazione
Le finalità della
scuola sono rinvenibili nel sistema normativo e in particolare nelle
modalità di realizzazione del diritto individuale all’istruzione e
all’educazione. Tale missione comporta che la scuola persegua il suo
obiettivo anche in dissonanza con la volontà degli stessi genitori.
Richiamiamo questo comportamento perché nel caso specifico delle
immagini, accade spesso che siano gli stessi genitori a chiederne
l’uso o siano oltremodo orgogliosi dell’apparire del proprio figlio.
Purtroppo la diffusione e la rete in particolare espongono i minori
ad una serie di pericoli che non possono essere tutti previsti, né
prevedibili.
La scuola non può
considerare il bambino come un utente qualsiasi, ma un soggetto di
cui ha responsabilità sociale. Ecco perché non si ritengono
applicabili in modo analogico le regole applicabili nei rapporti tra
la famiglia e l’editore (la negoziazione del consenso).
Abbiamo più volte
richiamato le varie attività dell’istituzione scolastica che portano
ad utilizzare dati personali degli alunni. Le immagini e i filmati
costituiscono dati personali o fonti di rinvenimento di dati
personali.
Quando e perché la
scuola deve utilizzare immagini degli alunni? Rientra tale attività
tra quelle finalizzate al raggiungimento delle finalità
istituzionali? Se ci attestassimo su questa domanda non faremmo
molta strada, visto che il percorso didattico pedagogico può
intraprendere diversi percorsi per la sua realizzazione.
Dobbiamo, invece,
partire dai alcuni punti fermi:
|
le immagini
costituiscono dati personali; |
|
la comunicazione di
immagini deve seguire il dettato normativo dell’art. 19 del
Codice. Ciò significa che deve essere prevista da norme di legge
o regolamento o, in mancanza, essere necessaria alla
realizzazione delle finalità istituzionali;
|
|
la diffusione deve,
parimenti, attenersi al successivo comma dello stesso articolo
19, va a dire deve essere prevista esplicitamente da una norma
di legge: “La comunicazione da
parte di un soggetto pubblico a privati o a enti pubblici
economici e la diffusione da parte di un soggetto pubblico sono
ammesse unicamente quando sono previste da una norma di legge o
di regolamento”. |
Nella scuola sono
diverse le occasioni che possono portare alla comunicazione e alla
diffusione dell’immagine di un minore. Il primo caso è quello di
operatori esterni, fotografi, che riprendono il minore al fine di
documentare un certo evento (l’inizio dell’anno scolastico, la
recita, la manifestazione sportiva ecc.). In questo caso il
comportamento che la scuola deve tenere deve essere improntato alla
massima vigilanza sulle attività che si svolgono al suo interno.
Relativamente al caso concreto il dirigente deve verificare le
credenziali del fotografo e fare in modo di mettere lo stesso in
contatto con le famiglie. Saranno le stesse a decidere se prestare
il loro consenso alla realizzazione fotografica. In questo caso il
consenso è necessario, trattandosi di soggetto privato.
La stessa procedura va
adottata nel caso in cui la scuola, nel corso di un partenariato con
soggetti esterni, gestisca eventi o manifestazioni, le cui
rappresentazioni fotografiche verranno usate per comunicare l’evento
a mezzo stampa o televisione. La scuola può esclusivamente mettere
in contatto il soggetto esterno con le famiglie per la gestione
della procedura di richiesta del consenso. Pensiamo ad un percorso
teatrale che prevede la ripresa finale, che il soggetto partner
vorrebbe utilizzare a fini divulgativi. La scuola deve fare in modo
che le famiglie vengano informate sull’uso che si vuole fare della
ripresa e in quel contesto, se d’accordo, può esprimere il consenso
al trattamento delle immagini.
La scuola, al
contrario, potrebbe organizzare essa stessa la realizzazione di un
servizio fotografico mirato a documentare un certo evento.
L’attività è lecita se esercitata nell’ambito di attività
istituzionali, ma, per quanto riguarda la diffusione di tali
immagini, non si rinviene una disposizione che lo consenta. Le
immagini devono rimanere agli atti della scuola, in qualità di
documentazione del percorso didattico e/o formativo.
Gli stessi principi
valgono per i filmati aventi come soggetto i bambini. Al fine della
realizzazione o documentazione di attività istituzionali, la scuola
deve provvedere alla loro conservazione documentale. Se, invece, la
scuola intende utilizzare i filmati per la partecipazione a mostre,
fiere, concorsi, occorre fare in modo che il soggetto titolare del
trattamento (ad es. Rai, tv locale, associazioni, ecc.) ottenga
dall’interessato il consenso. La scuola farà da tramite tra il
titolare e la famiglia.
Affrontiamo il caso più
delicato relativo alla riproduzione di immagini di minori su
giornalini di scuola e/o su siti web di libero accesso.
Il giornale di classe o
di scuola rientra nella consuetudine della didattica di ogni ordine
e grado; nasce dalla voglia di comunicare degli studenti, e dalla
necessità di avere uno strumento rappresentativo che possa far
conoscere il proprio pensiero agli altri. In quest’ottica il
giornale scolastico è un elemento forte di comunicazione ed un
ambiente in cui si sperimentano vari tipi di scrittura. Le cautele
da adottare dipendono dal grado di diffusione del giornalino stesso.
Una distribuzione limitata alle famiglie degli allievi va gestita
come comunicazione di dati personali. Pertanto, il genitore,
all’inizio dell’anno scolastico, in occasione della consegna
dell’informativa, ex art. 13 del Codice, avrà notizia dell’uso che
sarà fatto delle immagini e, se lo riterrà opportuno, chiederà, ai
sensi dell’art. 7 del Codice, che le immagini non vengano
utilizzate.
Se, diversamente, il
giornalino ha una diffusione indiscriminata, ad esempio viene
distribuito sul territorio, non v’è dubbio che si tratti di
diffusione di dati personali. In questo caso non è consentito
pubblicare foto di minori riconoscibili, anche se legate ad eventi
positivi. La ragione di tale comportamento da tenere sta
nell’analisi degli indicatori di liceità che devono condurre
l’azione. Gli indicatori della pertinenza e non eccedenza sono in
primo piano Essi comportano una scrupolosa verifica dell’adeguatezza
dei dati agli scopi del trattamento. Se scopo del trattamento
specifico è il riconoscimento di un merito al minore per un suo
successo scolastico, non v’è ragione di divulgare una sua foto
corredata da nome e cognome, poiché basterebbe citare il suo nome di
battesimo e la classe per evidenziarne i meriti.
Caso ancora più
potenzialmente pericoloso è il sito web della scuola e la
pubblicazione sullo stesso del giornalino scolastico. La messa a
disposizione della rete, senza alcuna limitazione dell’accesso, crea
rischi potenziali di utilizzo delle informazioni illimitati. Ma,
senza considerare questo estremo effetto dell’uso delle immagini,
basta soffermarsi sul concetto di necessarietà del trattamento del
dato. Lo sforzo che bisogna compiere è quello di mirare al
raggiungimento del risultato, sia esso il riconoscimento di un
merito del bambino, sia esso l’informazione sulle attività che la
scuola svolge. È l’invasività che va tenuta sotto controllo. Gli
stessi risultati vanno perseguiti con il mezzo e le modalità meno
invasive. Esse non devono essere potenzialmente foriere di danno per
il minore e non solo in modo diretto, ma anche indiretto (basta
pensare a relazioni familiari e parentali difficili, effetti di
problemi economici ecc.).
Per concludere, sembra
azzardato estendere le disposizioni relative all’attività
giornalistica alla scuola, assumendo per analogia la determinazione
contenuta in un provvedimento del Garante (Provv. 31 luglio 2002
doc. web n. 1065798), il quale prevede l’applicazione delle regole
contenute nella l. 675/1996, art. 25, comma 4 bis, a chiunque si
trovi a svolgere, anche occasionalmente, attività di pubblicazione o
diffusione di articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero[1].
Il legislatore ha voluto differenziare il regime legale del
trattamento della comunicazione e diffusione di dati personali da
parte di soggetti pubblici. La specialità della posizione di tali
soggetti non ammette deroghe, ma continui richiami alla funzione di
garanzia che devono svolgere.
L’uso delle
immagini e dei filmati da parte di soggetti interni alla scuola per
fini personali
Sin dalla Direttiva
MIUR del 30 novembre 2007 sono state diverse le sollecitazioni per
un uso personale corretto delle immagini nella scuola da parte di
studenti e operatori scolastici. Da ultimo il Garante alla privacy
ha in una nota, ha elencato, tra gli altri, tali trattamenti.
Purtroppo, non è stato abbastanza chiaro sulle caratteristiche e le
finalità di tali operazioni. Infatti, il consenso di cui tratta la
nota, si riferisce a trattamenti operati ad uso personale da
studenti e operatori scolastici. Sono coloro che a titolo personale
utilizzano strumenti elettronici per registrare immagini, filmati o
suoni. La richiesta di consenso qui richiamata non riguarda
l’istituzione scolastica nell’esercizio delle sue attività
istituzionali, ma singoli e privati cittadini che devono rispettare
le disposizioni del codice della privacy, tra cui l’art. 23 che
prevede la richiesta del consenso da parte dei soggetti privati.
La videosorveglianza a scuola
Atti di vandalismo
posti in essere da studenti o da soggetti estranei alla scuola,
stanno portando sempre più spesso alla considerazione della
possibilità di installare sistemi di videosorveglianza.
Il Garante ha
affrontato in modo specifico il problema con un provvedimento del 29
aprile 2004, introducendo quattro principi fondamentali.
Principio di Liceità: i dati devono
essere trattati in maniera lecita, cioè secondo le prescrizioni
normative. In base a questo principio il trattamento di dati
raccolti attraverso un sistema di videosorveglianza è possibile solo
se fondato su uno dei presupposti di liceità previsti dal Codice
della Privacy. Tali presupposti, indicati dal Garante, si
differenziano a seconda del soggetto titolare del trattamento dei
dati. Noi esamineremo esclusivamente il caso in cui il trattamento è
effettuato da soggetto pubblico.
Relativamente all’uso
di strumenti di videosorveglianza da parte di soggetti pubblici, il
Garante afferma che “un soggetto pubblico può effettuare
attività di videosorveglianza solo ed esclusivamente per svolgere
funzioni istituzionali (art. 18-22 del Codice della Privacy)
che deve individuare ed esplicitare con esattezza e di cui sia
realmente titolare in base all’ordinamento di riferimento.
Diversamente, il trattamento dei dati non è lecito, anche se l’ente
designa esponenti delle forze dell’ordine in qualità di responsabili
del trattamento, oppure utilizza un collegamento telematico in
violazione del Codice”. Si sottolinea comunque che la
differenza principale con quanto previsto in precedenza consiste nel
fatto che la videosorveglianza per fini istituzionali non è soggetta
al preventivo consenso dell’interessato, come stabilisce l’ultimo
comma del paragrafo 5.2 del provvedimento sulla videosorveglianza
che richiama l’art. 18 comma 4 del Codice della Privacy.
Non è quindi lecito,
nemmeno per un soggetto pubblico, procedere ad una videosorveglianza
capillare di intere aree cittadine, riprese integralmente e
costantemente e senza adeguate esigenze.
Del pari è vietato il
collegamento telematico tra più soggetti, a volte raccordati ad un
“centro” elettronico, che possa registrare un numero elevato di dati
personali e ricostruire interi percorsi effettuati in un determinato
arco di tempo.
Contrariamente a quanto
prospettato da alcuni enti locali, l’informativa agli interessati
deve essere fornita nei termini illustrati nel paragrafo 3.1 del
provvedimento sulla videosorveglianza e non solo mediante
pubblicazione sull’albo dell’ente, oppure attraverso una temporanea
affissione di manifesti.
Tali soluzioni possono
concorrere ad assicurare trasparenza in materia, ma non sono di per
sé sufficienti per l’informativa che deve aver luogo nei punti e
nelle aree in cui si svolge la videosorveglianza.
Contrariamente a quanto
si potrebbe pensare il Garante specifica che: “Benché effettuata
per la cura di un interesse pubblico, la videosorveglianza deve
rispettare i principi già richiamati”.
I principi richiamati
sono quelli di liceità, proporzionalità, necessità e finalità in
esame. Ciò significa che l’ente pubblico per perseguire le sue
finalità con la videosorveglianza è comunque soggetto a tutti gli
altri adempimenti previsti dalla legge eccetto che richiedere la
manifestazione del consenso da parte degli interessati. Insomma non
si applica il principio di bilanciamento degli interessi, non è
necessario.
Principio di necessità: evitare un uso
superfluo della videosorveglianza e, in particolare, fare a meno di
identificare le persone quando l’obiettivo delle riprese può essere
raggiunto anche attraverso inquadrature anonime (si pensi, per
esempio, al monitoraggio del traffico); altro accorgimento è quello
di predisporre l’impianto in modo che possa automaticamente e
periodicamente cancellare le immagini eventualmente registrate;
Principio di proporzionalità: i
dati non devono essere eccedenti rispetto alle finalità e devono
essere conservati solo per il tempo necessario in relazione ai quali
sono raccolti e trattati. In base a questo principio bisogna
commisurare la necessità del sistema di videosorveglianza al
concreto rischio che vuole essere evitato con l’installazione dello
stesso sistema, escludendo quindi la videosorveglianza in aree che
non sono soggette a pericolo, con particolare riferimento a quei
sistemi installati a mero fine di prestigio; la videosorveglianza è
lecita solo se è rispettato questo principio sia in relazione a “se
installare” sia in relazione a che “cosa e quali apparecchiature
installare”. Sul punto si richiama integralmente il paragrafo 2.3
del provvedimento generale sulla videosorveglianza che deve essere
letto con attenzione.
Procedendo ad
un’analisi dettagliata è necessario evidenziare i seguenti precetti.
- Si deve evitare la
rilevazione di dati in aree che non sono soggette a concreti
pericoli analogamente con riferimento ad attività che non sono
soggette a pericoli o per le quali non ricorre un’effettiva esigenza
di deterrenza, esempio tipico sono le telecamere che vengono
installate per meri fini di apparenza o di “prestigio.
- Prima d’installare un
sistema di videosorveglianza (anche se il Garante utilizza il
termine ambiguo di “attivare”, come se fosse utile e possibile
installare e non attivare un sistema di videosorveglianza) è
necessario valutare che altre misure sono da considerarsi
insufficienti o inattuabili, in sostanza la videosorveglianza
dovrebbe essere l’estrema ratio.
Principio di finalità: i dati
devono essere raccolti e trattati per scopi determinati, espliciti e
legittimi. In base a questo principio il titolare del trattamento
può perseguire con la videosorveglianza solo finalità di sua
pertinenza, esclusivamente per scopi determinati, espliciti e
legittimi.
Il Garante ha invece
constatato che taluni soggetti (pubblici e privati) si propongono
abusivamente, quale scopo della videosorveglianza, finalità di
sicurezza pubblica, prevenzione o accertamento dei reati, finalità
queste che invece competono solo ad organi giudiziari o di polizia
giudiziaria oppure a forze armate o di polizia.
Ciò significa, (come
scrive Corrado Giustozzi) che, ad esempio, la sorveglianza di
aree pubbliche, scuole, musei, contro il vandalismo non può essere
svolto da istituzioni diverse dalla polizia, alla quale
evidentemente occorre rivolgersi per fare installare telecamere
laddove serva… e ammesso soprattutto che la polizia abbia tempo e
possibilità di occuparsi anche di queste cose.
Diversi i casi in cui i
sistemi di videosorveglianza sono in realtà introdotti come misura
complementare volta a migliorare la sicurezza all’interno o
all’esterno di edifici o impianti ove si svolgono attività
produttive, industriali, commerciali o di servizi, o che hanno lo
scopo di agevolare l’eventuale esercizio, in sede di giudizio civile
o penale, del diritto di difesa del titolare del trattamento o di
terzi sulla base di immagini utili in caso di fatti illeciti. In
ogni caso possono essere perseguite solo le finalità comunicate
attraverso l’informativa, ossia direttamente conoscibili attraverso
comunicazioni e/o cartelli di avvertimento al pubblico (fatta salva
l’eventuale attività di acquisizione di dati disposta da organi
giudiziari o di polizia giudiziaria), e non finalità generiche o
indeterminate, tanto più quando esse siano incompatibili con gli
scopi che vanno esplicitamente dichiarati e legittimamente
perseguiti (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice). Le finalità
così individuate devono essere correttamente riportate
nell’informativa.
A scuola le telecamere
sono ammesse solo in casi eccezionali come, ad esempio, il controllo
dell’Istituto dopo il protrarsi di atti vandalici. L’impianto va
attivato dopo l’orario di chiusura della scuola.
Adempimenti
Informativa – Il primo e
fondamentale degli adempimenti richiamati dal Garante, a cui il
titolare non può sottrarsi, è costituito dall’obbligo d’informare
tutti i soggetti che potranno potenzialmente essere ripresi dal
sistema di videosorveglianza.
E’ necessario cioè
informare gli interessati che stanno per accedere o che si trovano
in un’area videosorveglianza. Inoltre il titolare deve avvertire gli
interessati se le immagini raccolte con il sistema di
videosorveglianza vengono semplicemente rilevate oppure registrate e
deve informare anche delle finalità del trattamento.
L’informativa circa la
presenza di sistemi di videosorveglianza deve avvenire sempre, anche
in occasione di spettacoli pubblici o attività pubblicitarie e deve
fornire gli elementi previsti dall’art. 13 del Codice della Privacy,
anche con formule sintetiche ma chiare.
Il Garante ha dato
un’indicazione di massima dell’avviso sintetico che può essere
affisso in aree esterne, precisando che in luoghi diversi dalle aree
esterne l’avviso semplificato va integrato con almeno un avviso
circostanziato, il quale deve riportare tutti gli
elementi indicati nell’art. 13 del Codice della Privacy.
Il supporto con
l’informativa semplificata:
- deve essere collocato
nei luoghi ripresi o nelle immediate vicinanze ma non
necessariamente a contatto con la telecamera;
- deve avere
formato e posizionamento che lo rendano immediatamente visibile;
- può inglobare
un simbolo d’immediata comprensione (il logo o l’immagine di una
telecamera);
- non è necessario che
sia indicata la presenza di tutte le telecamere, ma è necessario che
tutte le aree che vengono video sorvegliate siano dotate degli
appositi cartelli di avvertimento.
L’avvertimento circa la
presenza delle telecamere è necessario in relazione al principio di
necessità. Infatti, la videosorveglianza costituisce un sostanziale
vincolo alla libertà dei cittadini, che può estrinsecarsi anche solo
in un condizionamento del loro comportamento. E’ per questo motivo
che viene vietato ogni uso superfluo di telecamere.
Documentazione delle scelte –
Il titolare deve documentare le ragioni delle scelte effettuate
in un atto autonomo, il quale dovrà essere conservato presso il
titolare (o il responsabile ove designato). Tale documento dovrà
essere redatto per iscritto (sarà bene dargli anche data certa).
Il documento delle
scelte deve indicare quali soluzioni operative del sistema di
videosorveglianza sono state adottate e i motivi di tali scelte che
dovranno essere suffragati, se del caso, da casi precedenti che
hanno imposto la scelta indicata.
Il documento delle
scelte deve quindi indicare:
- se sia sufficiente,
ai fini della sicurezza, rilevare immagini che non rendono
identificabili i singoli cittadini, anche tramite ingrandimenti,
ovvero se sia realmente essenziale, ai fini prefissi, raccogliere
immagini dettagliate e per quale motivo;
- quali dati vengono
rilevati e se essi vengono o no registrati e, in tale caso, per
quale periodo di tempo verrà conservata la registrazione e il motivo
di tale scelta, indicando eventualmente i casi precedenti a cui si
fa riferimento per giustificare tale scelta;
- se ci si avvale di
una rete di comunicazione o una banca di dati indicizzata, ovvero se
si utilizzano funzioni di fermo-immagine o tecnologie digitali,
anche se abbinate ad altre informazioni o interconnesse con altri
sistemi gestiti dallo stesso titolare o da terzi, ed il motivo di
tale scelta;
- se avviene la ripresa
di luoghi privati o accessi di edifici e per quale motivo;
- se vengono utilizzate
specifiche soluzioni quali il collegamento ad appositi “centri” cui
inviare segnali di allarme sonoro o visivo, oppure l’adozione di
interventi automatici per effetto di meccanismi o sistemi
automatizzati d’allarme (chiusura accessi, afflusso di personale di
vigilanza, ecc.) ed il motivo di tale scelta;
- se avviene
l’eventuale duplicazione delle immagini registrate e per quale
motivo;
- i soggetti designati
quali incaricati del trattamento dei dati (a visionare le immagini),
anche se soggetti “esterni” al titolare, e la diversificazione dei
diversi livelli di accesso al sistema e all’utilizzo delle
informazioni con esso raccolte, anche con riferimento alle eventuali
esigenze di manutenzione.
Si tratta in sostanza
dell’obbligo per il titolare di documentare le scelte effettuate ed
i motivi specifici che le giustificano.
Il documento delle
scelte, che costituisce una chiave di lettura del sistema di
sicurezza installato, dovrà essere conservato presso il titolare e
dovrà essere messo a disposizione degli interessati che, muniti di
un documento d’identità valido, intendano far valere i diritti di
cui all’art. 7 del Codice della Privacy.
Misure di sicurezza – Se i
dati vengono conservati dovranno, inoltre, essere protetti da idonee
misure di sicurezza, in modo da ridurre il rischio di perdita
accidentale dei dati o di accesso non autorizzato ovvero di
trattamento non consentito o non conforme alla finalità indicata. In
particolare la banca dati, ove vengano raccolte le immagini
registrate, deve essere sempre protetta da una doppia chiave fisica
o logica.
Le misure minime
obbligatorie, indicate all’art. 33 del Codice della Privacy e
specificate nell’allegato B al Codice, dovranno essere rispettate al
fine di evitare le sanzioni di carattere penale previste dal Codice
stesso24.
La seconda parte del
paragrafo 3.3.2 del provvedimento sulla videosorveglianza dispone:
“Alcune misure,
c.d. “misure minime”, sono obbligatorie anche sul piano penale. Il
titolare del trattamento che si avvale di un soggetto esterno deve
ricevere dall’installatore una descrizione scritta dell’intervento
effettuato che ne attesti la conformità alle regole in materia”.
Tra queste regole il
Garante richiama espressamente l’allegato B al Codice della Privacy
il quale dispone: “Il titolare che adotta misure minime di
sicurezza avvalendosi di soggetti esterni alla propria struttura,
per provvedere all’esecuzione riceve dall’installatore una
descrizione scritta dell’intervento effettuato che ne attesta la
conformità alle disposizioni del presente disciplinare tecnico”.
Va detto che la
terminologia usata dal Garante nel provvedimento sulla
videosorveglianza è soggetta a differente interpretazione e può far
nascere gravi incomprensioni.
La confusione nasce per
l’utilizzazione fatta dal Garante del termine INSTALLATORE che
genericamente identifica il soggetto che installa un sistema di
videosorveglianza, ma che è anche il termine utilizzato per
individuare il soggetto che, su incarico del titolare, provvede a
conformare un determinato sistema alle misure minime di sicurezza
volute dal Codice della Privacy. Lampante è la differenza che c’è
tra l’installatore del sistema di videosorveglianza e l’installatore
delle misure minime di sicurezza.
Verifica preliminare
– Quando il sistema di videosorveglianza è
potenzialmente lesivo di diritti, libertà fondamentali e/o dignità
dei cittadini è necessario interpellare preventivamente il Garante
per una verifica preliminare circa la liceità del suo
utilizzo.
In particolare il
Garante prescrive la verifica preliminare quando il sistema di
videosorveglianza preveda una raccolta d’immagini collegata e/o
incrociata e/o confrontata con particolari dati personali (quali ad
esempio quelli biometrici), oppure con codici identificativi di
carte elettroniche o con dispositivi che rendono identificabile la
voce (sistemi di riconoscimento vocale); la verifica preliminare
occorre anche quando le immagini sono digitalizzate o indicizzate,
cioè risulta possibile una ricerca automatizzata o nominativa (ad
esempio quando inserendo nella banca dati delle immagini registrate
un nominativo è possibile consultare tutte le immagini che lo
ritraggono), ovvero, infine, nel caso di videosorveglianza dinamico
– preventiva che non si limiti a riprendere luoghi in via statica,
ma rilevi percorsi o caratteristiche fisionomiche (riconoscimento
facciale) o eventi improvvisi, oppure comportamenti non
preventivamente classificati.
In tali casi deve
essere il Garante, in via preventiva, ad autorizzare il trattamento
(anche attraverso autorizzazioni generali.
Notificazione –
L’art. 37 del Codice della Privacy viene richiamato dal Garante nel
provvedimento sulla videosorveglianza solo per ricordare che
l’adempimento della notificazione deve essere effettuato dal
titolare esclusivamente se rientra nei casi specifici indicati dalla
norma di legge.
La notificazione al
Garante della Privacy è una dichiarazione con la quale un soggetto
pubblico o privato rende noto al Garante per la protezione dei dati
personali l’esistenza di un’attività di raccolta e di utilizzazione
dei dati personali da egli svolta quale autonomo Titolare del
trattamento.
Conclusioni
Nel corso di
un’intervista, Stefano Rodotà, già Garante per la privacy fino al
2003, raccontava che in una scuola elementare Usa, posero al collo
dei bambini un medaglione Rfid per controllarli anche in bagno. Una
bambina tornando a casa aveva protestato: “Non voglio diventare un
pacchetto di cereali”. In una scuola elementare italiana, per
bloccare gli atti di vandalismo, un preside chiese l’autorizzazione
a mettere la videosorveglianza. Rodotà alzò il telefono e gli ha
chiese “è un educatore o un poliziotto? E poi che fa, denuncia il
bambino vandalo? Non si preoccupa di verificare perché il bimbo non
ama la scuola?».
Alla domanda
dell’intervistatore sulla risposta fornita dal Preside, Rodotà
raccontò che quello, imbarazzato, rispose: “Lei dice?”.
La videosorveglianza è
uno strumento da utilizzare in modo intelligente, altrimenti delega
la difesa alla tecnologia e de-responsabilizza. E’ un sistema
peraltro costosissimo, inefficiente, che ha effetti boomerang. E’
vero che ci sono aree metropolitane a rischio: il problema è
bonificarle, non solo acciuffare i delinquenti. E quando si tratta
di una scuola è opportuno valutare le variabili esterne, ma anche
ciò che si offre e si comunica all’interno.