Il bullismo, forme di tutela civile e penale.
Avv. Ascione Maurizio da
Filodiritto del
16/2/2007
Tra le varie tipologie di danni che possono
venire in considerazione nello svolgimento di attività scolastiche,
ricomprendendo in esse, quindi, tanto i momenti di lezione in classe
quanto le parentesi extrascolastiche quali, tra tutte, i momenti delle
cd. “gite”, non possono essere trascurati i danni derivanti da
condotte cd. bullistiche.
È pur vero che attualmente manca una precisa legislazione che
disciplini i danni provocati da adolescenti nei confronti di coetanei
attraverso condotte prevaricatrici e vessatorie; tuttavia, la dottrina
ha cercato, e tuttora sta cercando, di riempire un siffatto vuoto
normativo applicando per analogia la normativa in materia di mobbing.
È chiaro, infatti, che si tratterà di adattare quest’ultima disciplina
– anch’essa diretta a reprimere vessazioni, sebbene di diversa natura
– di matrice più che altro giurisprudenziale, ai fenomeni di bullismo
tra adolescenti; non esistendo allo stato una norma che disciplini
dettagliatamente le conseguenze civilistiche che discendono da tali
condotte, dovrà farsi riferimento a casi analoghi e, per l’appunto,
per i fenomeni di bullismo medesima ratio si rinviene nel cd. mobbing.
A conferma della riconosciuta identità di ratio esistente tra i casi
di mobbing e di bullismo, la primissima dottrina che si è occupata di
tali ultimi fenomeni ha qualificato le condotte bullistiche come
“mobbing adolescenziale” ovvero “mobbing in età evolutiva”.
Negli ultimi tempi, invero, abbiamo assistito ad eclatanti episodi di
cronaca giudiziaria che hanno visto come protagonisti ragazzi violenti
che, approfittando della loro posizione di superiorità, rappresentata
dall’età, forza fisica o addirittura dal sesso, hanno compiuto atti
aventi natura prevaricatrice e persecutoria nei confronti di
coetanei-deboli, anch’essi in età adolescenziale, che, per le loro
caratteristiche fisiche o psicologiche, sono più inclini alla
vittimizzazione e non sanno, o non possono, difendersi adeguatamente.
Ora, volendo considerare innanzitutto le conseguenze civilistiche
discendenti dalle più svariate manifestazioni di bullismo, l’analisi
del problema non può prescindere da un suo inquadramento sistematico
nell’ampio schema dell’illecito civile, in particolar modo
extracontrattuale.
Come noto al lettore, l’illecito contrattuale, o meglio aquiliano, si
fonda sulla clausola generale di ingiustizia del danno, espressione
dell'imperativo, anch'esso generale, del neminem laedere.
Tale richiamata tipologia di responsabilità sussiste ogni qualvolta
concorrono tre elementi, ovverosia: dal lato oggettivo fatto materiale
e antigiuridicità; dal punto di vista soggettivo, la colpevolezza
dell’autore dell’illecito.
Proprio la colpevolezza, intesa quale imputabilità colpevole
all’autore del fatto lesivo, rappresenta l’elemento fondamentale per
affrontare un’indagine che miri a valutare le possibili responsabilità
da condotte bullistiche.
A questo proposito viene in considerazione l’art. 2046 c.c., il quale
pone una regola fondamentale del nostro ordinamento – e di eccezionale
rilevanza per i casi di bullismo – per la quale chiunque è autore di
un fatto lesivo risponde esclusivamente nei limiti in cui è in grado
di comprendere la portata ed il del significato della propria
condotta, purché lo stato di incapacità non derivi da sua colpa.
Da tale indicazione discende un’importante conseguenza: anche il
minore, se capace di intendere di volere, può essere chiamato a
rispondere degli atti compiuti in danno a terzi.
Il quadro che può delinearsi nel caso di danni
commessi da minori nei confronti di propri compagni e nell’ambito di
condotte cd. vessatorie o prevaricatrici è davvero variegato:
A) se il minore ha compiuto il fatto in uno
stato di incapacità di intendere o di volere non risponde dei danni
arrecati a terzi ai sensi dell’art. 2046 c.c.;
• in mancanza di imputabilità, tuttavia, il
nostro ordinamento viene in soccorso del danneggiato individuando
comunque un soggetto che potremo definire “patrimonialmente
responsabile”. Ecco che in questo caso viene in considerazione
innanzitutto la norma di cui all’art. 2047 c.c., che pone una
responsabilità sostitutiva in capo a colui che era tenuto alla
sorveglianza dell’incapace (cd. culpa in vigilando);
B) nel caso in cui, invece, il minore autore del
danno debba considerarsi capace di intendere e di volere, esso
risponde dei danni arrecati ai terzi;
• in questa seconda ipotesi, il legislatore ha
stabilito una fondamentale distinzione, non tanto relativamente alla
capacità naturale, quanto piuttosto con riferimento alla capacità
d’agire: viene quindi in soccorso la norma di cui all’art. 2048 c.c.,
la quale individua, in capo ai genitori e al tutore, un titolo di
responsabilità civile per i danni cagionati dai figli minori non
emancipati o dalle persone soggette alla tutela che abitano con essi;
C) nel caso di illeciti civili compiuti da
minori o interdetti, ancorché capaci di intendere e di volere, questi
rispondono del fatto in concorso (ex art. 2055 c.c.) con i genitori o
il tutore [In tal senso Cass. Civ., sez. III, 13 settembre 1996, n.
8263, la quale ha disposto che “la responsabilità dei genitori per il
fatto illecito dei figli minori ai sensi dell'art. 2048 c.c. può
concorrere con quella degli stessi minori fondata sull'art. 2043 c.c.
se capaci di intendere e di volere”, in Giust. Civ. Mass., 1996, p.
1278];
D) conclusivamente, se l’autore del fatto
illecito e lesivo sia capace di intendere e di volere e capace d’agire
– si fa riferimento, dunque, all’ipotesi del minore emancipato che ha
contratto matrimonio o direttamente del maggiore di età – questi sarà
l’unico responsabile per gli illeciti commessi.
Chiarito il quadro normativo di riferimento al quale riferirsi nel
caso di illeciti commessi da minori attraverso condotte bullistiche
nei confronti di coetanei, va segnalato – sebbene la circostanza dovrà
essere ampiamente approfondita [Sui profili giuridici del Bullismo si
veda il testo “Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva
Ministeriale n. 16/2007”, HALLEY ed. 2007] – che le norme di
riferimento sono quelle contenute agli artt. 2047, 2048 e 2049 c.c..
Lasciando da parte i dibattiti in ordine all’esatta qualificazione di
tali disposizioni che, da buona parte della dottrina sono state
definite di responsabilità cd. indiretta, mentre da altri più
coraggiosamente ritenute “per fatto altrui” o “oggettiva” e, infine,
di “responsabilità vicaria”, si tratterà di verificare se, allo stato,
attraverso l’applicazione delle disposizioni richiamate sia possibile
rispondere fermamente, e soprattutto efficacemente, alle richieste di
tutela dei minori lesi da coetanei nell’ambito di condotte
prevaricatrici e vessatorie.
Deve conclusivamente essere evidenziato che il fenomeno del bullismo,
valutate la particolarità dei soggetti che prendono parte a tali
fattispecie, richiede, per sua natura, che intervengano a supporto
forme di responsabilità per fatto altrui. Nonostante ciò, i soggetti
che rispondono per una imputazione cd. per fatto altrui, non sono
chiamati unicamente in ragione del ruolo organizzativo svolto, come è
unicamente nel caso di cui all’art. 2049 c.c., ma più frequentemente
per omessa sorveglianza discendente dalla legge o da altro titolo,
quale ad esempio una educazione non confacente o del tutto carente.
Non è di poco conto, se si presta attenzione, svolgere siffatte
considerazioni, soprattutto se si considera che la legittimazione
processuale nei casi di soggetti incapaci d’agire subisce deroghe
importanti che possono condizionare addirittura il buon esito della
domanda di ristoro dei soggetti lesi, o da parte dei loro
rappresentanti legali.
Sarà, dunque, necessario applicare forme di responsabilità che si
possono definire complesse, sia per la necessaria sussistenza di una
pluralità di circostanze per la loro operatività, sia la peculiarità
della prova liberatoria loro sottesa e, non da ultimo, per il fatto
che generalmente individuano soggetti totalmente estranei alle
dinamiche causative del danno e che di regola non sarebbero chiamati a
rispondere.
Scopo principale della responsabilità per fatto altrui, quindi, è
offrire la possibilità di garantire al soggetto leso di conseguire con
maggior probabilità il ristoro del danno patito, potendosi esso
rivolgere nei confronti di più soggetti, o meglio di un soggetto più
solvibile del minore che, nella maggior parte dei casi, è
nullatenente.
Non è né la sede né tantomeno l’occasione di indugiare su un esame
approfondito delle singole disposizioni di legge richiamate. Bastino
le generali considerazioni svolte, non mancando di ricordare che
sarebbe opportuno svolgere ulteriori specifiche argomentazioni sulla
responsabilità dei genitori, insegnanti e, addirittura, dei Dirigenti
scolastici [Per un’analisi esaustiva sul tema del bullismo dal punto
di vista giuridico, si rinvia a ASCIONE, “Bullismo, tutela giuridica
aggiornato alla Direttiva Ministeriale n. 16/2007”, Matelica (MC),
2007].
Sotto il profilo penale, invece, va rilevato che il bullismo,
all’evidenza, materializza una devianza deliberatamente prevaricatrice
dell’altrui personalità, in virtù dell’affermazione di una prepotenza
certamente del tutto eccentrica rispetto a quanto viene richiesto
anche dalle più comprensive regole esistenziali.
Non può non essere rilevato che tutti attendono un intervento
immediato ed efficace del legislatore nei confronti di un fenomeno,
quale quello del bullismo, che geneticamente possiede tutti i tipici
germi della devianza violenta ovvero minatoria, in totale
controtendenza con l’esigenza di sempre maggiore maturazione del senso
civico.
Le cronache di questi ultimi anni sono sistematicamente testificatrici
della violenza di gruppo esprimentesi nella commissione di delitti a
sfondo sessuale ovvero di regolamenti di conto tra bande rivali.
Il bullismo, di per sé, non è sempre tutto ciò, ma il discrimine è
minimo, e se anche il bullismo non sia sempre tutto ciò, occorre
riflettere circa la ragione per la quale tale forma di prevaricazione
possa essere penalmente non significativa, mentre continua ad esserlo
il piccolo insignificante illecito appropriativo di una cosa
qualsiasi, così come più sopra esemplificativamente ricordato.
Ciò premesso, va chiarito che non tutti i reati commessi da minori
denotano un comportamento connotato da atteggiamenti di bullismo.
Pertanto in primo luogo è necessario circoscrivere gli elementi
caratterizzanti della condotta per identificare tra tutti i reati
astrattamente commettibili da minori quali possono ascriversi al
fenomeno del bullismo e quali, invece, pur presentando caratteristiche
esecutive simili non si ritiene debbano essere catalogati come
espressione di bullismo.
Solo successivamente a tali valutazioni, tuttavia, ci si scontrerà con
la particolare disciplina del processo minorile e le specifiche
caratteristiche di questo, ancor più orientato rispetto al
procedimento ordinario al reinserimento del minore reo e, quindi,
fortemente condizionato nell’applicazione di severe misure
interdittive e cautelari.
Recentemente è stata istituita presso il Ministero della Pubblica
Istruzione una Commissione che analizzerà i profili giuridici ed
operativi di tale importante fenomeno e, con buona probabilità, a
breve potremmo finalmente assistere ad una normativa che si ponga
quantomeno al passo con quella dei vicini paesi europei.