Normativa.

Attività incompatibili

a cura del prof. Enzo Gallo,

 responsabile dell’ufficio legale della Gilda degli insegnanti di Napoli, 23/10/2004

 

La disciplina sulle attività compatibili con l’insegnamento presenta molteplici risvolti giuridici, contrattuali, disciplinari e di responsabilità, che hanno dato luogo, anche in giurisprudenza, a dubbi interpretativi e a soluzioni controverse, non sempre illuminanti per chiarezza. La normativa risente della connotazione di esclusività che la stessa Costituzione(art.87) dà al rapporto di pubblico impiego, qualificazione che oggi,almeno nel suo significato letterale, appare datata.

Alcuni interpreti ritengono che la privatizzazione dei rapporti lavorativi abbia fatto venir meno le ragioni giustificative delle regole di incompatibilità per i pubblici dipendenti ma tale opinione appare in contrasto non solo con analoghi divieti legislativi previsti nel settore privato ma anche con le innovazioni introdotte all’impianto normativo esistente dalla legge n. 662/1996, applicabili anche al personale scolastico. In particolare, l’art. 1, commi da 56 a 60, della legge 662 ha ribadito, in generale, il divieto per il dipendente di "… svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa". Il divieto è sanzionabile, in caso di violazione, con il configurarsi di giusta causa di recesso e causa di decadenza dall’impiego. Eccezioni al divieto sono state configurate nei casi di part/time e di svolgimento di libere professioni nonché nei casi in cui le prestazioni di lavoro subordinato o autonomo svolte al di fuori del rapporto di impiego "…siano rese a titolo gratuito, presso associazioni di volontariato o cooperative a carattere socio-assistenziale senza scopo di lucro".

Da un’analisi comparata delle fonti legislative, della complessa congerie di norme di vario livello (decreti ministeriali, circolari, norme contrattuali) e della vasta giurisprudenza in materia emerge che, in via generale e allo stato odierno della normativa, con il rapporto di lavoro part/time e con orario di lavoro non superiore al 50% si ha un’attenuazione del dovere di esclusività e la legittimità di altre attività diventa la regola mentre il lavoro extraistituzionale è vietato solo se intercorre con un’altra amministrazione pubblica o si pone in conflitto di interessi con l’amministrazione di appartenenza.

Nel caso, invece, di lavoro a tempo pieno o di part-time a orario maggiore del 50%, il già vigente dovere di esclusività resta confermato nella sua portata generale e anzi viene rafforzato. La regola, in questi casi, è nel senso che tutte le attività lavorative extraistituzionali - anche se astrattamente compatibili con quella principale in conformità dell’ordinamento proprio di ciascun comparto pubblico e degli indirizzi applicativi di settore finora seguiti - devono essere preventivamente autorizzate, pur se occasionalmente svolte e la violazione del divieto di attività non autorizzata diventa giusta causa di licenziamento.

E’ opportuno tuttavia precisare che le regole (spesso generiche) esistenti in materia, devono essere applicate esaminando accuratamente ed analiticamente il "caso concreto", cioè verificando e valutando tutte le circostanze di fatto e di diritto contrassegnanti le specifiche attività che il docente intende svolgere.

Nell’ambito dell’incompatibilità si colloca l’ipotesi più specifica del cd. cumulo di impieghi pubblici, in linea generale vietato e comportante un provvedimento meramente dichiarativo di cessazione dall’impiego precedente, quale atto dovuto con effetti dal momento stesso in cui si è instaurato il nuovo rapporto (Cons. Stato, 11.05.1989 n. 287; 14.11.1995, n. 934), a differenza della verificata incompatibilità con rapporto di lavoro privato (che esige la previa diffida a cessare dall’attività incompatibile).

Il pubblico dipendente è pertanto obbligato - all’atto della stipulazione di contratto di lavoro individuale (a tempo indeterminato o determinato)- entro 30 giorni e sotto la sua responsabilità - a dichiarare di non avere altri rapporti di impiego pubblico o privato e di non trovarsi in nessuna delle situazioni di incompatibilità ovvero, in caso contrario, a presentare dichiarazione di opzione per il nuovo rapporto di lavoro. L’inosservanza delle suddette prescrizioni comporta la mancata stipulazione del contratto o, per i rapporti già instaurati, l’immediata risoluzione dei medesimi

Al fine di escludere l’incompatibilità non è utile la circostanza che il dipendente abbia svolto regolarmente il suo lavoro istituzionale, in quanto la normativa mira anche a salvaguardare le energie lavorative ai fini del miglior rendimento nei confronti della P.A. (Cons. Stato, VI, 24 settembre 1993, n. 629). La normativa, peraltro, è applicabile anche se l’incompatibilità insorge durante periodi di legittima assenza dal lavoro (Cons. Stato, 03.05.1974 n. 318) e si estende al personale non di ruolo (Cons. Stato, 25.10.1966 n. 754).

Relativamente al rapporto di lavoro a tempo pieno sono inoltre vietate le attività, onerose o gratuite, che oltrepassino i limiti della saltuarietà e occasionalità, salvo disposizioni specifiche, e l’assunzione di cariche in società a fini di lucro.

Riguardo all’individuazione delle attività incompatibili la circolare Funzione Pubblica n. 6/1997 sottolinea la necessità che ciascuna amministrazione provveda all’emanazione di decreti interministeriali per la più esatta tipizzazione delle attività non consentite e delle procedure di autorizzazione. A tutt’oggi il Ministero della P.I. non ha però emanato alcuna regolamentazione di settore esaustiva e risolutrice delle non poche incertezze applicative per cui è compito dell’interprete ricostruire, sulla base della normativa esistente e dei principi generali, il quadro delle attività libere, di quelle vietate e di quelle condizionate ad una preventiva autorizzazione.

La disciplina specifica è attualmente rinvenibile nell’art. 508 del T.U. n. 297/1994, nell’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001 e in alcune clausole dei contratti collettivi in vigore nel comparto.

Per le procedure di autorizzazione, va applicato l’art. 53, comma 10, del d.lgs. n. 165/2001 citato. Nel caso di incarichi conferibili da parte di pubbliche amministrazioni, l’autorizzazione si intende accordata se entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta non venga adottato un motivato provvedimento di diniego (cd. silenzio-assenso). Negli altri casi, la mancata adozione di un provvedimento esplicito equivale a diniego di autorizzazione.

La competenza al rilascio dell’autorizzazione è da ritenersi intestata al dirigente scolastico ed essa, una volta concessa, dispiega i suoi effetti fino a che non muti la situazione di fatto e di diritto posta a base della valutazione di compatibilità tra le varie attività.

Ai docenti è fatto divieto di impartire lezioni private agli alunni frequentanti il proprio istituto; per gli alunni appartenenti ad altra scuola, invece, c’è l’obbligo di informare il capo di istituto ed è necessario che l’attività non sia di fatto incompatibile con le esigenze di funzionamento della scuola (Cons. Stato, 18.10.1993, n. 393). La violazione delle prescrizioni in materia di lezioni private può comportare responsabilità disciplinari, nonché ulteriori conseguenze nel caso previsto dal comma 5 dell’art. 508 (nullità degli scrutini o prove di esame).

Quanto all’attività di insegnamento in scuole non statali esse sono ammissibili se la prestazione non rivesta i caratteri di continuità, subordinazione e professionalità potendo essere invece configurato l’esercizio di libera professione intellettuale.

Le libere professioni intellettuali possono essere esercitate-anche dall’insegnante a tempo pieno- purché non siano di pregiudizio alla funzione docente (comprensiva di tutte le attività ad essa riferite), siano pienamente compatibili con l’orario di insegnamento e di servizio e siano esplicate previa autorizzazione del dirigente scolastico. La Corte costituzionale con sentenza 4-11 giugno 2001, n. 189, respingendo l’eccezione di incostituzionalità delle disposizioni della legge 626/1997 che consentono al dipendente part/time di esercitare una libera professione, ha ribadito tuttavia la necessità che le singole amministrazioni regolamentino i casi di conflitto di interesse, di incompatibilità assoluta per interferenza con compiti istituzionali, nonché applichino altre esplicite disposizioni in tal senso.

Sono inoltre astrattamente compatibili, ma devono essere preventivamente autorizzati gli incarichi conferiti da altre amministrazioni pubbliche per i quali deve essere valutata la non interferenza con l’attività principale.

L’espletamento di attività lavorative incompatibili con il rapporto di pubblico impiego, oltre che provocare effetti decadenziali o disciplinari, può causare situazioni rilevanti sul piano della responsabilità patrimoniale per danno erariale (v. Corte dei conti Sez. Umbria sent.11.3.1996 n.152 che ha ravvisato il danno sia nella prestazione non dovuta per periodi in cui il docente si astiene totalmente dal lavoro principale, sia nel pregiudizio arrecato al regolare svolgimento del servizio pubblico di istituto, con un obiettivo e patologico disservizio quantificabile in via equitativa dal giudice contabile).

Il provvedimento di decadenza dall’impiego importa la risoluzione del rapporto di lavoro del dipendente che non abbia, a seguito di diffida e nel tempo assegnatogli per la opzione, ottemperato all’invito di scegliere per la cessazione dell’attività incompatibile, ha natura dichiarativa e pertanto produce i suoi effetti a far data dalla scadenza del termine entro il quale egli avrebbe dovuto rimuovere la causa di incompatibilità (Cons. Giust. Amm. Sicilia, 01.06.1993, n. 210).