Bullismo come mobbing: profili giuridici.
Avv. Viola Luigi da
Filodiritto del
20/2/2007
Introduzione
Di recente, il fenomeno del bullismo ha avuto
un’espansione impensata e preoccupante, fino a riempire
quotidianamente le prime pagine dei giornali.
Si tratta di un fenomeno di prevaricazione che porta, nella sostanza,
un soggetto a comportarsi in modo illecito (o illegittimo) verso un
altro soggetto, tendenzialmente più debole (per condizione fisica,
sociale, psicologica, economica, ecc.); il bullismo viene
tradizionalmente considerato un fenomeno orizzontale, perchè si
concreta nell’ambito di rapporti tra soggetti formalmente appartenenti
al medesimo contesto relazionale e paritario (come nel caso di
compagni di scuola e diversamente dal rapporto tra docente e discente,
che viene definito verticale).
Vi è, quindi, un contesto formale comune, a cui fa capo un contesto
sostanziale asimmetrico, in quanto un soggetto è più debole degli
altri e finisce per divenire vittima di fenomeni di bullismo.
Inoltre, si suole distinguere il bullismo [per un’analisi esaustiva
sul tema del bullismo dal punto di vista giuridico, si rinvia a
ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica alla luce della Direttiva
Ministeriale n. 16/2007, Matelica (MC), 2007] in diretto ed indiretto,
dove il primo è caratterizzato dal comportamento univocamente
direzionato del soggetto attivo (o soggetti attivi) verso la vittima
designata, mentre il secondo riguarda, per lo più, comportamenti che
danneggiano in modo mediato la vittima, come nel caso di soggetti che
diffondono voci infondate sulla vittima, ovvero deridono la vittima al
suo passaggio nei corridoi.
Di fronte a queste tematiche relativamente nuove, il giurista si è
trovato di fronte al problema interpretativo relativo alla
qualificazione di detta fattispecie: si tratta di un fenomeno simile
al mobbing? Quale norma può trovare applicazione nell’ambito di
situazioni di bullismo?
Tesi del bullismo come mobbing
Secondo una prima ricostruzione, il problema
posto ben potrebbe essere risolto in termini positivi, con la
conseguenza di poter applicare, mutatis mutandis, le evoluzioni
giurisprudenziali [Si veda la sentenza della Cassazione civile
4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url:
http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49] in tema di mobbing
[sul tema del mobbing, si veda STAIANO, Dequalificazione professionale
e mobbing, Matelica (MC), 2006. Si veda anche LOMBARDO, Mobbing: un
possibile intreccio tra titoli di responsabilità, in Il Nuovo Diritto,
4/2005, pag. 205, nonché VIOLA, Il mobbing dal basso verso l’alto, in
Studium Iuris, 12/2006. Si veda, altresì, MONATERI, BONA, ULIVA,
Mobbing, vessazioni sul lavoro, Milano, 2000] anche al bullismo, al
fine di perimetrarne correttamente l’ambito di illiceità.
In particolare, il bullismo, al pari del mobbing, sembrerebbe
riguardare una condotta ripetuta nel tempo (soprattutto nel caso di
bullismo indiretto) posta in essere ai danni di un soggetto più
debole, con atteggiamento vessatorio e finalità emulative; il bullismo
avrebbe proprio ad oggetto un comportamento vessatorio.
In effetti, il soggetto attivo del bullismo, come nell’ipotesi
classica del datore di lavoro, si trova in una situazione giuridica di
asimmetria del potere, nel senso che un soggetto è, in concreto, molto
più forte di un altro e ne approfitta per danneggiare il più debole;
il contesto giuridico scatenante il bullismo, quindi, è al pari del
mobbing [La responsabilità da mobbing viene considerata contrattuale;
sul punto si veda Cass. Civ. 8438/2004, in diritto-in-rete.com, 2004,
Url: http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=10], fondato su
un’asimmetria del potere (da verificare in concreto e non in astratto
[L’asimmetria del potere andrebbe vista in concreto, tanto che
potrebbe sussistere un mobbing del dipendente (o dipendenti) di lavoro
verso il datore, come ipotizzato in VIOLA, Il mobbing del debole verso
il forte, in Il Nuovo Diritto, 9/10-2006]) che si esprime attraverso
forme di prevaricazione.
Inoltre, viene detto, anche l’elemento psicologico sarebbe comune alle
due fattispecie prese in esame, in quanto ben potrebbe sussistere la
finalità emulativa ovvero dolo intenzionale [sul concetto di dolo
intenzionale, si veda ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Milano,
1999], che si traduce nella volontà di danneggiare la vittima senza
alcun vantaggio personale (che possa ritenersi ragionevole e serio).
In questo senso, allora, il bullismo, al pari del mobbing, ben
potrebbe essere un comportamento vessatorio, ripetuto nel tempo, con
finalità emulative a danno di un soggetto più debole (per condizione
sociale, economica, culturale, ecc.).
Tesi preferibile del bullismo come
fattispecie autonoma
Invero, secondo altra ricostruzione, che sembra
preferibile, il problema posto andrebbe risolto in termini negativi,
nel senso, cioè, che l’inquadramento giuridico del bullismo sarebbe
ben diverso da quello relativo al mobbing.
Il referente normativo del mobbing, innanzitutto, non sarebbe
estensibile alle ipotesi del bullismo; in particolare, l’art. 2087 c.c.,
che viene considerato l’articolo più idoneo a perimetrare il mobbing [STAIANO,
Dequalificazione professionale e mobbing, già cit.], riguarda il
datore di lavoro, nel senso che quest’ultimo deve impegnarsi ad
adottare le misure che sono necessarie a tutelare la personalità
morale del prestatore di lavoro, mentre nulla viene detto con
riferimento al soggetto attivo del bullismo.
In termini più chiari, i destinatari dell’art. 2087 c.c. sono i datori
di lavoro e non i soggetti attivi del bullismo (cc.dd. bulli), con la
conseguenza logico-deduttiva che la suddetta norma sarà applicabile
limitatamente ai rapporti di lavoro e non a rapporti orizzontali tra
amici o compagni di scuola; id est, l’articolo 2087 c.c. riguarda il
datore di lavoro e non il ragazzo bullo.
Inoltre, la condotta del bullo, a rigore, non sarebbe uguale o
equivalente a quella del mobber perché non sarebbe necessaria la
ripetitività del fatto, essendo sufficiente, nel bullismo, anche un
solo episodio idoneo a cagionare un danno, fisico e/o psichico,
esistenziale e/o morale, alla vittima; nel bullismo non sarebbe
necessario un minimum di reiterazione nel tempo del comportamento
antigiuridico come nel caso di mobbing [sul punto, si veda anche
STAIANO in Atti del convegno, Università degli studi della Basilicata,
Mobbing: osservato speciale, 21-11-2006, in fase di pubblicazione].
Altresì, ulteriore elemento differenziale tra bullismo e mobbing,
sembra emergere dall’analisi dell’elemento psicologico, in quanto nel
primo caso non sembra si possa parlare di dolo intenzionale, come nel
secondo caso [si ricorda che la giurisprudenza più recente in tema di
mobbing, ha individuato l’elemento psicologico del mobber nella
finalità emulativa che, si traduce, in base alle categorie più
classiche del dolo, in dolo intenzionale. Si veda, Cassazione civile
4774/2006, su diritto-in-rete.com, 2006, Url:
http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=49];
specificatamente, il bullo non sembra agire allo scopo esclusivo di
danneggiare la vittima, quanto piuttosto allo scopo di ridere con
amici (c.d. bullismo di gruppo) ovvero dimostrare a se e ad altri di
essere il più forte, quasi in una “incosciente attività ludica”.
A titolo meramente esemplificativo basti pensare al problema del
cyberbullismo, dove i bulli di turno diffondono on-line [sul problema
della diffamazione via web, si rinvia a CULTRERA, Diffamazione,
internet e libertà di stampa, Matelica (MC), 2006] le immagini del
loro comportamento lesivo della vittima, proprio allo scopo di
auto-elogiarsi e far sapere a tutti i compagni della loro “bravata”;
non vi è, come nel mobbing, un comportamento formalmente lecito ma
sostanzialmente illecito, nonché velato e nascosto, quanto piuttosto
un comportamento formalmente e sostanzialmente illecito, realizzato in
modo tale da renderlo pubblico.
Nel mobbing, quindi, vi è un dolo diverso che nel bullismo; nel primo,
vi è una finalità diretta a danneggiare il soggetto passivo, mentre
nel bullismo vi è una finalità diretta ad auto-elogiarsi e ridere,
accettando il rischio di cagionare un danno alla vittima.
In termini diversi, nel mobbing l’agente agirebbe al fine di
danneggiare la vittima, mentre nel bullismo l’agente agirebbe al fine
di divertirsi, lato sensu, accettando il rischio di cagionare un danno
alla vittima, con il corollario applicativo che nel primo caso vi
sarebbe un dolo intenzionale, mentre nel secondo caso un dolo
eventuale [per un approfondimento su queste distinzioni relative
all’elemento psicologico, prese “in prestito” dal diritto penale, si
rinvia a ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, già cit.; si veda anche
CONTENTO, Corso di diritto penale, Bari, 1997. Si veda anche VIOLA,
Dolo eventuale e colpa cosciente, con particolare riferimento al
contagio da virus HIV in caso di rapporto sessuale non protetto, in
overlex.com, 2005, Url:
http://www.overlex.com/leggiarticolo.asp?id=210] (dolo
indiretto).
Semplicisticamente, tralasciando le innumerevoli dispute dottrinali e
giurisprudenziali sulla definizione di dolo eventuale, si può dire che
nel mobbing il dolo è diretto a danneggiare, mentre nel bullismo si
accetta il rischio di cagionare un danno (dolo indiretto), fermo
restando che, naturalmente, il bullo potrebbe anche ritenere,
presuntivamente ed erroneamente, di non cagionare danni effettivi alla
vittima (colpa cosciente); id est, il dolo del mobbing è diverso da
quello presente nelle condotte di bullismo.
Infine, nella problematica del bullismo emerge il problema,
soventemente, della minore età del bullo, diversamente dal mobbing.
Infatti, il soggetto attivo del bullismo spesso è minorenne, con la
conseguenza che il fatto antigiuridico dovrà essere imputato ai
genitori [per una trattazione esaustiva sul punto, si rinvia
all’ottimo testo ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] (culpa
in educando), ex art. 2048 c.c., ovvero alla scuola ed ai docenti [di
massima, la responsabilità dell’insegnante per i comportamenti dei
propri allievi viene definita “da contatto sociale qualificato”; per
un approfondimento sul punto si rinvia a VIOLA, TESTINI, La
responsabilità da contatto con la Pubblica Amministrazione, Matelica (MC),
2005].
Si tratterebbe, cioè, di una prospettiva di responsabilità del tutto
diversa da quella del mobbing: il mobber, se datore di lavoro,
risponde in via contrattuale verso il dipendente mobbizzato (mobbing
verticale), mentre in via extracontrattuale [si veda LOMBARDO, Mobbing:
un possibile intreccio tra titoli di responsabilità, già cit.] se il
mobbing si realizza tra colleghi (mobbing orizzontale), diversamente
dal problema giuridico del bullismo, dove non vi è mai un bullismo
verticale ovvero un datore di lavoro che vuole mobbizzare i suoi
dipendenti o docente di scuola che vuole danneggiare gli studenti (al
più solo un problema di posizione di garanzia).
Pertanto, alla luce di quanto detto, sembra giuridicamente più
corretto distinguere il fenomeno del bullismo da quello del mobbing,
perché il referente normativo sembrerebbe diverso, nonché la condotta
richiesta ed il relativo elemento psicologico, con la conseguenza
logico-applicativa di non poterne estendere analogicamente le
evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali.
Brevi riflessioni conclusive
Il problema del bullismo pone, invero,
significativi problemi di responsabilità in ordine alla culpa in
educando [Sul problema della famiglia di fatto, si rinvia a MASCIA,
Famiglia di fatto: riconoscimento e tutela, Matelica (MC), 2006] dei
genitori (estensibile, per taluni profili, anche al personale docente)
nonché alla culpa in vigilando [per un’analisi completa, si rinvia ad
ASCIONE, Bullismo, tutela giuridica, già cit.] dei professori; si
tratta di problematiche del tutto diverse da quelle del mobbing, dove,
non vi è traccia di culpa in educando.
Altresì, sarebbe ipotizzabile, nel bullismo scolastico, anche una
certa culpa in organizzando nella misura in cui l’organizzazione
strutturale della scuola non permetta il monitoraggio continuo sui
comportamenti degli studenti, ovvero non predisponga consultori o
uffici ad hoc, affinché esperti del settore possano prevenire fenomeni
di bullismo, prima che il malessere del singolo bullo “sfoci” in
comportamenti prevaricatori verso altri compagni ed altamente lesivi
della loro dignità [soprattutto alla luce del fenomeno del
cyberbullismo], e prima che la vittima subisca danni irreparabili,
sotto il profilo psichico ed esistenziale [sul concetto di danno
esistenziale, sia consentito il rinvio a VIOLA, Il danno esistenziale
come mancato guadagno non patrimoniale, in altalex.com, 2005, Url:
http://www.altalex.com/index.php?idnot=9855, nonché a VIOLA,
Il mancato guadagno esistenziale, in Studium Iuris, 2/2006].