La responsabilità giuridica dell’insegnante

a cura dell’avv. Bruno Sechi del Foro di Cagliari

 da Educazione & Scuola del 22/XI/2000

 

La responsabilità giuridica dell’insegnante è essenzialmente disciplinata dall’art. 61 della l. 11 luglio 1980 n° 312 che così recita:

«la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all’amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell’esercizio della vigilanza.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l’amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza. Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l’amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi.»

L’ultimo comma suesposto prevede la responsabilità civile diretta dell’Amministrazione scolastica, la quale esercita il diritto di rivalsa nei confronti dell’insegnante, che abbia tenuto un comportamento colposo o doloso, nella causazione del danno.

La giurisprudenza più recente ha confermato la responsabilità civile diretta dell’Amministrazio-ne scolastica (Cass. civ. Sez. III 6331/98; Corte Conti Sez. Giur. Lazio n. 40 del 15/05/1998; Corte Conti Sez. Giur. Piemonte n. 1590 dell’11/X/1999).

L’istituto in questione ha dapprima trovato sistemazione nell’art. 2048 c.c.

Esso, unitamente alla responsabilità dei genitori, dei tutori (art. 2048 c.c), dei committenti (art. 2049 c.c.) rientra tradizionalmente nella categoria della responsabilità per fatto altrui.

Secondo la dottrina tradizionale e lo stesso spirito del codice civile (come si desume dalla Relazione del Ministro), la responsabilità per fatto altrui è una species del genus della responsabilità per fatto proprio.

Non può esistere una responsabilità senza che vi sia una colpa; essa trova fondamento nel particolare rapporto tra il responsabile e l’autore materiale del fatto (v. la responsabilità dei genitori ex art. 2048 c.c.).

L’autore del fatto è una fonte di danno che i «responsabile» ha l’obbligo di controllare, per evitarne l’insorgenza, in conformità a specifiche disposizioni di legge (artt 2047-2054 c.c.).

La costruzione tradizionale della figura in oggetto è posta a difesa del principio della colpa.

Quest’ultima è il criterio fondamentale d’imputazione della responsabilità civile.

La dottrina dell’ultimo trentennio ha trascurato, invero, le problematiche concernenti la figura in esame.

Alcuni la reputano un’eccezione alla regola espressa nell’art. 2043 c.c. (responsabilità civile per fatto proprio); altri, pongono l’accento sulla posizione di garanzia e di tutela del soggetto responsabile.

Parte della dottrina moderna distingue, nell’ambito dell’istituto in oggetto, le ipotesi di responsabilità per fatto altrui, che prescindono dalla colpa del responsabile, (art. 2049 c.c.: responsabilità dei padroni e dei committenti), dalle ipotesi in cui la colpa è l’elemento fondante la responsabilità medesima (art. 2047 c.c.: danno cagionato dall’incapace; art. 2048 c.c.: responsabilità dei genitori, dei tutori, dei precettori e dei maestri d’arte).

La responsabilità dei datori di lavoro per i fatti illeciti commessi dai dipendenti è assoluta.

Infatti, l’art. 2049 c.c. non ammette la prova liberatoria, neanche nell’ipotesi di caso fortuito o forza maggiore.

Parte della dottrina ritiene che, nella ipotesi succitata, il responsabile riveste una posizione di garanzia nei confronti di terzi, per il comportamento dei suoi dipendenti.

Nelle fattispecie di cui agli artt. 2047, 2048 c.c. i genitori e gli insegnanti hanno l’obbligo di vigilare sui soggetti sottoposti alla loro tutela.

Il mancato adempimento dell’obbligo di sorveglianza concorre alla causazione del danno, commesso dal minore o dall’alunno.

La prova liberatoria del «responsabile» consiste nel dimostrare al giudice che egli non ha potuto impedire il fatto dannoso.

La responsabilità dei genitori e degli insegnanti è agganciata, in qualche modo, al principio della colpa.

E’ opportuno evidenziare che nell’ipotesi di un fatto dannoso, commesso dall’alunno a se medesimo o ad un terzo, l’Amministrazione scolastica si surroga al personale docente nella responsabilità civile.

In altri termini, nell’ipotesi di cui sopra, il genitore dell’alunno danneggiato, al fine di ottenere il risarcimento del danno, deve citare, davanti al Tribunale civile, l’Amministrazione scolastica, quale unica legittimata passiva.

La Corte Costituzionale, nella sentenza n. 64 del 1992, precisa che la responsabilità diretta dell’Amministrazione scolastica, in via surrogatoria rispetto agli insegnanti, è limitata ai soli casi d’omissione dei doveri di vigilanza (culpa in vigilando), da parte di quest’ultimi.

Pertanto, nelle ipotesi di culpa in vigilando è esclusa l’azione civile diretta nei confronti degli insegnanti, «mentre questi continuano a rispondere in via diretta nelle ipotesi diverse da quelle commesse in culpa in vigilando».

L’orientamento suesposto è stato confermato dalla Giurisprudenza di legittimità (Cass. SS. UU. n. 7454/1997; Cass. civ. Sez. III n. 2463 del 1995).

E’ fatto salvo il diritto di rivalsa dell’Amministrazione, condannata in sede civile, nei confronti dell’insegnante, il quale abbia tenuto, in occasione del fatto dannoso dell’allievo, un comportamento connotato da dolo o colpa grave (v. art. 61 2 co. l. 11 luglio 1980 n. 312).

Le nozioni di dolo e di colpa si ricavano dal codice penale:

  • l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione ................. è dall’agente preveduto e voluto come conseguenza della propria azione od omissione»;

  • non è voluto dall’agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline».

Il dolo o la colpa sono l’elemento psicologico essenziale del fatto illecito.

Nelle ipotesi di dolo o colpa grave dell’insegnante, l’Amministrazione scolastica, qualora sia stata condannata al risarcimento dei danni in favore del danneggiato, in forza della sentenza del Giudice civile, deve rivalersi nei confronti del medesimo insegnante, davanti alla Corte dei Conti.

Infatti, il comportamento colposo dell’insegnante, che contribuisca alla verificazione del fatto dannoso dell’alunno, causa un danno economico all’Amministrazione scolastica, equivalente all’importo monetario, corrisposto al medesimo alunno, a titolo di risarcimento dei danni.

Secondo l’unanime Giurisprudenza, la colpa grave sussiste nelle ipotesi di mancata adozione delle più elementari regole di prudenza, diligenza e perizia.

Nell’ambito della responsabilità in oggetto, autorevole Giurisprudenza (Corte dei Conti Sez. Giur. Piemonte n. 1590 dell’11 ottobre 1999) stabilisce che la mancata sorveglianza, durante la pausa di ricreazione, concretizza un’ipotesi di colpa grave.

Infatti, secondo la giurisprudenza de qua, in tale momento si richiede una vigilanza maggiore, considerata la prevedibile «esuberanza degli alunni», che determina maggiori rischi d’eventi dannosi.

Nell’ipotesi di un alunno, caduto nella tromba delle scale, al momento dell’uscita dall’edificio scolastico, la Corte dei Conti, nella sent. n. 40 del 15/05/1998, ha accertato la responsabilità dell’insegnante 64enne, nella misura del 20%; perciò, a fronte di un risarcimento dei danni di £. 120 milioni, l’insegnante è stato condannato alla rifusione di £. 5 milioni, in favore dell’Amministrazione scolastica, in virtù della riduzione concessa dai giudici.

La riduzione del grado di responsabilità, e per l’effetto, della somma di danaro da pagare, a titolo di risarcimento, rientra nei poteri attribuiti dalla legge alla Corte dei Conti.

Nella fattispecie in esame, gli elementi che hanno giustificato la riduzione dell’entità del risarcimento sono: l’età avanzata dell’insegnante, il suo impeccabile curriculum vitae, «le condizioni economiche non floride» e il suo stato di salute precario, l’esuberanza degli alunni, la pericolosità oggettiva della scala, la mancata predisposizione d’adeguate misure preventive, da parte dell’Amministrazione scolastica.

La disorganizzazione di quest’ultima non deve aggravare il carico di responsabilità dell’inse-gnante, ma non necessariamente eliderlo.

La giurisprudenza, ormai unanime, (Cass. civ. Sez. III n.6331/98) stabilisce la presunzione di negligenza dell’Amministrazione scolastica; da ciò consegue che, in sede civile, il danneggiato deve provare che l’evento lesivo si è verificato durante il periodo d’affidamento dell’allievo alla scuola (dal momento dell’ingresso a quello dell’uscita); non ha l’onere di provare il dolo o la colpa grave del personale addetto alla vigilanza.

Spetterà all’Amministrazione dimostrare davanti al Giudice che essa non ha potuto impedire il fatto illecito.

In altri termini, l’Amministrazione deve dimostrare, al fine di liberarsi dalla responsabilità, «che è stata esercitata la sorveglianza sugli allievi con una diligenza idonea ad impedire il fatto e cioè quel grado di sorveglianza correlato alla prevedibilità di quanto può accadere».

Occorre adottare «le più elementari misure organizzative per mantenere la disciplina fra gli allievi», in particolar modo nei momenti di maggiore esuberanza degli allievi e, pertanto, di maggior rischio d’incidenti.

Qualora sia mancata la sorveglianza, non si può invocare l’imprevedibilità del fatto dannoso, commesso nel momento della ricreazione, poiché quest’ultimo è intrinsecamente pericoloso.

Secondo una valutazione comune si reputa che, durante il periodo della ricreazione, siano prevedibili eventi dannosi per gli allievi (Cass. civ. Sez. III n. 916 dello 03/02/1999).

La responsabilità dell’Amministrazione scolastica e degli insegnanti presenta due limiti:

  • il limite esterno è rappresentato dal periodo d’affidamento dell’alunno alla scuola: questo decorre dal momento dell’ingresso e termina al momento dell’uscita da scuola;

  • il limite interno è costituito dalla impossibilità di impedire il fatto (Cass. civ. Sez. III sent. 6331/98).

La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. III n. 12501/2000; Cass. civ. n. 2606/1997) stabilisce che, nelle ipotesi di fatti illeciti, commessi da alunni durante l’orario scolastico, sussiste la responsabilità concorrente del genitore ex art. 2048 c.c., il quale non abbia saputo impartire un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti.

Trattasi di responsabilità solidale ex art. c.c. e non alternativa.

Il grado della colpa e l’entità dei danni sono accertati ai fini dell’azionabilità del diritto di regresso nei confronti degli altri soggetti responsabili.

Il pagamento dell’intero debito extracontrattuale di un solo responsabile, non libera gli altri, in virtù del vincolo di solidarietà giuridica.

Colui che ha risarcito l’intero danno, può esercitare il diritto di regresso nei confronti degli altri condannati, al fine di ottenere, da questi, la restituzione delle somme pagate nella misura superiore al grado di responsabilità accertato.

Se, nella causazione del fatto illecito dell’allievo, il genitore ha avuto una responsabilità del 20% e l’insegnante nella misura dell’80%, colui che ha pagato l’intero debito, per es . di £. 100 milioni, avrà diritto alla restituzione di £. 80 milioni, se genitore o di £. 20 milioni, se insegnante.

La giurisprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. III n. 12501/2000;n. 2606 del 25 marzo 1997) stabilisce che la responsabilità del genitore e dell’insegnante sono concorrenti, di natura solidale e non tra loro alternative.

La Corte di Cassazione (Sez. Civ. Sez. III n. 12501/2000) stabilisce che «l’affidamento del minore alla custodia di terzi (insegnanti) solleva il genitore dalla presunzione di colpa in vigilando (dal momento che dell’adeguatezza della vigilanza esercitata sul minore risponde il precettore cui lo stesso è affidato), ma non anche da quella di colpa in educando, i genitori rimanendo comunque tenuti a dimostrare, per liberarsi da responsabilità per il fatto compiuto dal minore in un momento in cui lo stesso si trovava soggetto alla vigilanza di terzi, di avere impartito al minore stesso un’educazione adeguata a prevenire comportamenti illeciti».

Il genitore, per andare esente da qualsiasi responsabilità giuridica relativa al fatto del figlio-alunno, deve superare la presunzione di culpa in educando ex art. 2048 c.c., attraverso la prova liberatoria.

Quest’ultima consiste nel dimostrare «di avere impartito al figlio un’educazione normalmente idonea, in relazione al suo ambiente, alle sue attitudini ed alla sua personalità, ad avviarlo ad una corretta vita di relazione e, quindi, a prevenire un suo comportamento illecito, nonché, in particolare, a correggere quei difetti (come l’imprudenza e la leggerezza) che il minore ha rivelato» (v. Cass. civ. n. 7247 del 6 dicembre 1986).

Inoltre, la giurisprudenza in esame stabilisce che il genitore deve accertarsi che il minore abbia assimilato l’educazione ricevuta, che il medesimo tenga una condotta abituale conforme ai precetti impartitigli.

«Nell’opera d’educazione, in altri termini, è insita un’attività di vigilanza sulla rispondenza del comportamento del minore e sui risultati concreti dell’attività educativa».