Responsabilità oggettiva in caso di inadeguata vigilanza da parte dei docenti.

Per i danni causati dagli scolari in gita

paga il Ministero.

(Cassazione 9752/05)

 da Cittadino Lex dell'8/6/2005

 

Il Ministero della Pubblica Istruzione è tenuto a pagare i danni causati dagli alunni di una scuola nel corso di gite scolastiche. Lo ha stabilito la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione annullando la sentenza del Giudice di Pace di Afragola che aveva condannato al pagamento il dirigente scolastico insieme all'istituto, escludendo ogni responsabilità dei professori in quanto non avrebbero potuto fare nulla per impedire i danni. La Suprema Corte ha invece annullato la sentenza del Giudice di Pace affermando che gli atti illeciti ascrivibili all'inadeguato espletamento della vigilanza sugli allievi da parte del personale docente devono essere ''direttamente riferibili al Ministero della Pubblica Istruzione'', e condannando quest'ultimo a pagare i danni, in quanto, "in base all’art. 28 della Costituzione la responsabilità dei funzionari si estende allo Stato in virtù del rapporto di immedesimazione organica; quindi se non sussiste responsabilità dei primi non sussiste neanche quella del soggetto pubblico".(08 giugno 2005)

 

Suprema Corte di Cassazione,

Sezione Seconda Civile,

sentenza n.9752/2005

(Presidente: P. Vittoria; Relatore: I. Purcaro)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, la Società Piana delle Cinque Vie a.r.l. convenne innanzi al Giudice di pace di Afragola i professori C., A., A., F., E., G. e G, chiedendo la condanna degli stessi alla restituzione della somma di £ 1.087.800.

Premetteva di avere organizzato, per conto del Liceo Scientifico Statale F. Brunelleschi di Afragola, una gita scolastica a Parigi nei giorni 14- 19 aprile 1997, con alloggio nell’albergo Battandis.

Durante la notte fra il 17 e il 18 gli alunni, eludendo la sorveglianza dei professori, avevano prodotto schiamazzi tali da indurre la direzione dell’albergo a chiamare la sorveglianza, e, in seguito all’episodio, a pretendere il pagamento della somma di 3.700 franchi, pari a £ 1.087.800per il pregiudizio subito.

La somma era stata versata dai professori accompagnatori, i quali, una volta rientrati in Italia, ne avevano preteso la rifusione dalla Società Piana, la quale aveva effettuato il pagamento, ma successivamente ne aveva chiesto la restituzione, e, non avendola ottenuta, instaurò il giudizio innanzi al Giudice di Pace di Afragola.

Costituitosi il contraddittorio, i docenti si opposero alla domanda, chiedendo di chiamare in causa il liceo Brunelleschi in persona del suo legale rappresentante; il Giudice autorizzò la chiamata di tale soggetto ed, altresì, quella del Provveditorato agli Studi di Napoli e del Ministero della Pubblica istruzione.

Nella contumacia di tali chiamati, il Giudice di Pace, con sentenza depositata in data 25 luglio 2000, ha deciso la causa nel seguente modo: ha estromesso dal giudizio il Provveditorato ed il Ministero per carenza di legittimazione passiva; ha rigettato, per carenza di legittimazione passiva, la domanda nei confronti dei docenti convenuti; ha condannato il Dirigente Scolastico, in solido con il Liceo Scientifico Brunelleschi al pagamento della somma per cui è causa, oltre interessi e spese.

Per la cassazione di tale sentenza il Ministero della Pubblica Istruzione ha proposto ricorso, sulla base di tre motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento (art. 360 n. 4 c.p.c.), assumendo che la sentenza impugnata e tutto il procedimento innanzi al primo giudice erano affetti da nullità, ai sensi degli art. 11 r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, 144 e 160 c.p.c., per essere stato l’atto di chiamata in causa del ministero, del provveditorato agli studi e del liceo Brunelleschi notificato direttamente presso gli uffici dell’amministrazione e non presso l’Avvocatura dello Stato.

La nullità, non sanata, della notificazione dell’atto di vocativo in ius comportava la nullità del giudizio e della sentenza che lo aveva concluso.

La censura va disattesa.

Se, in linea di principio, è esatto quanto dedotto dal ricorrente, e cioè, ove siano convenuti lo Stato o altro ente pubblico ammesso alla difesa erariale, è necessaria la notifica dell’atto introduttivo della lite presso l’Avvocatura dello Stato, alla stregua di quanto testualmente disposto dall’art. 11 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, che, nelle ipotesi di patrocinio ex lege dell’Avvocatura, prescrive siano presso di essa notificate tutte le citazioni ed i ricorsi davanti ai giudici.

Peraltro, nella specie, il ricorrente non ha provveduto, come era suo onere, a provare quanto dedotto, depositando una copia dell’atto di chiamata in causa dei convenuti, davanti al giudice di pace, con la relativa notifica.

Con il secondo motivo, denunziando violazione dei principi sul contraddittorio art. 101 c.p.c. (art. 360 n. 3 e 4 c.p.c.), si assume che la chiamata in causa del liceo scientifico statale F. Brunelleschi era contraria alle norme sulla rappresentanza e personificazione delle amministrazioni dello Stato, in quanto il liceo era, all’epoca, sprovvisto di personalità giuridica, e costituiva soltanto un organo dell’Amministrazione della Pubblica Istruzione: l’instaurazione del contraddittorio nei confronti della Scuola era, pertanto, affetta da nullità e tale era la pronuncia di condanna del Liceo come oggetto distinto dal Ministero.

Il motivo merita accoglimento.

Invero, all’epoca del fatto per cui è causa, i licei scientifici erano sforniti di personalità giuridica, acquisita solo successivamente, per effetto della legge delega n. 59 del 15 marzo 1997 e dei successivi provvedimenti di attuazione.

Peraltro, la circostanza dell’acquisto della personalità giuridica ha, a ben vedere, una rilevanza del tutto marginale, ai fini della legittimazione passiva in ordine all’azione risarcitoria promossa dalla società Piana delle Cinque Vie con l’atto introduttivo della lite.

Come si evince dall’art. 1 della menzionata legge (che dispone testualmente: attuando a tal fine anche l’estensione ai circoli didattici, alle scuole medie, alle scuole e agli istituti di istruzione secondaria, dalla personalità giuridica degli istituti tecnici e professionali e degli istituti d’arte ed ampliando l’autonomia per tutte le tipologie degli istituti di istruzione, anche in deroga alle norme vigenti in materia di contabilità dello Stato), in effetti con tale legge si è conferita ad ogni tipo di istituto di istruzione secondaria la personalità giuridica, della quale erano precedentemente forniti solo gli istituti tecnici professionali e quelli di arte.

Orbene, relativamente agli istituti tecnici statali, muniti di personalità giuridica e di autonomia, nel loro funzionamento, in virtù dell’art. 3 della legge 15 giugno 1931, n. 889, questa Suprema Corte, con riguardo a fatti dannosi procurati a terzi da minori nel omento in cui gli stessi dovevano ritenersi affidati agli insegnanti e sottoposti alla loro vigilanza, ha sempre ritenuto sussistere la legittimazione passiva del Ministero della P.I.

Infatti, è stato affermato, con giurisprudenza costante, che il personale docente degli istituti statali di istruzione superiore, che costituiscono organi dello Stato, muniti di personalità giuridica ed inseriti dell’organizzazione statale, si trova in rapporto organico con l’Amministrazione della Pubblica Istituzione dello Stato e non con i singoli istituti, dotati di mera autonomia amministrativa (Cass. 17 gennaio 1996, n. 341).

Al riguardo l’art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312 testualmente dispone: la responsabilità patrimoniale del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali per danni arrecati direttamente all’Amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell’esercizio della vigilanza sugli alunni stessi.

La limitazione di cui al comma precedente si applica anche alla responsabilità del predetto personale verso l’Amministrazione che risarcisca il terzo dei danni subiti per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza.

Salvo rivalsa nei casi di dolo o colpa grave, l’Amministrazione si surroga al personale medesimo nelle responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi.

Con la norma de qua si sancisce, in primo luogo: che la responsabilità del personale scolastico delle scuole statali, per fatti commessi agli alunni, è limitata ai soli casi di dolo e colpa grave, per i danni arrecati all’Amministrazione, nell’esercizio dell’obbligo di vigilanza; che la limitazione di cui sopra si riferisce anche alla responsabilità del menzionato personale per danni subiti da terzi per comportamenti degli alunni sottoposti alla vigilanza.

Inoltre, come si deduce dall’ultima parte del comma II del citato art. 61, l’amministrazione (statale) sui surroga al personale di cui sopra per gli illeciti commessi dal personale medesimo.

Peraltro, non di ogni tipo di illecito si tratta, come potrebbe apparire a prima vista dalla lettura del testo legislativo, che, in effetti, contiene un riferimento del tutto generico alle responsabilità civili del personale scolastico, ma esclusivamente dell’illecito connesso alla culpa in vigilando, come, invece, appare più logicamente dedurre dallo stretto collegamento della disposizione in esame con le norme precedenti, che disciplinano appunto la culpa in vigilando del personale scolastico.

Ed in effetti, siffatta interpretazione è stata recepita anche dal giudice delle leggi, con la sentenza n. 64 del 5 febbraio 1992, la quale, ritenendo infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 61, comma II L. 11 luglio 1980, n. 312, sollevata in riferimento all’art. 28 Cost., ha posto in luce come in virtù di tale normativa, gli insegnanti statali, limitatamente alla materia di responsabilità per culpa in vigilando, cessano di essere legittimati personalmente verso terzi, sulla quale gravano, in via diretta, le responsabilità civili derivanti da azioni giudiziarie promosse da terzi.

Lo Stato potrà rivalersi sugli insegnanti, ove il difetto di vigilanza sia ascrivibile a dolo o colpa grave e, in tali ipotesi, potrà anche agire contro di essi per i danni arrecatigli direttamente dal comportamento degli alunni.

Alla stregua di tali principi, consegue che gli atti illeciti, ascrivibili al personale docente di un istituto scientifico (per inadeguato espletamento della vigilanza sugli allievi ad essi affidati), siano direttamente riferibili al Ministero della Pubblica Istruzione.

Ha errato, pertanto, nella specie il giudice di pace, estromettendo dal giudizio, per difetto di legittimazione passiva, il Ministero della P.I. ed affermando, al contrario, la sussistenza della legittimazione passiva dell’istituto convenuto.

Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione dell’art. 28 della Costituzione, dei principi generali dell’ordinamento e delle norme processuali (art. 360 n. 3 c.p.c.) nonché inesistenza o mera apparenza della motivazione (art. 360 n. 5 c.p.c.).

Deduce che il giudice di pace, nell’esaminare la fattispecie, aveva escluso la responsabilità dei professori che accompagnavano gli studenti, osservando che, poiché il comportamento generatore del danno era avvenuto nelle ore notturne, normalmente destinate al riposo, essi non potevano prevederlo ne potevano fare alcunché per evitarlo; aveva poi, argomentato sulla riforma dell’Amministrazione della Pubblica Istruzione, con la creazione delle autonomie e della figura del Dirigente scolastico, per dedurne che questo ultimo si sostituisce.. nel nuovo quadro dei principi dell’autonomia scolastica, al Provveditorato agli Studi e al Ministero della P. I., nella responsabilità verso terzi, anche per un illecito commesso da un allievo, con salvezza di ogni azione di rivalsa per dolo o colpa grave verso i responsabili del fatto, siano essi personale scolastico e amministrativo.

Orbene, apparte la già evidenziata carenza di legittimazione passiva del liceo e l’impropria condanna del dirigente del liceo in proprio, la sentenza era meritevole di censura anche per una totale assenza di motivazione, posto che le osservazioni relative all’impossibilità per i docenti che accompagnavano i ragazzi di impedire il comportamento dannoso avrebbe dovuto condurre necessariamente alla conclusione dell’esclusione della responsabilità dell’Amministrazione, atteso che in base all’art. 28 della Costituzione la responsabilità dei funzionari si estende allo Stato in virtù del rapporto di immedesimazione organica; quindi se non sussiste responsabilità dei primi non sussiste neanche quella del soggetto pubblico.

La doglianza è infondata.

Occorre premettere che le sentenze decise dal giudice di pace secondo equità, ai sensi del II comma dell’art. 113 c.p.c., sono impugnabili per Cassazione, oltre che per i motivi e la violazione previsti dai numeri 1 e 2 dell’art. 360 c.p.c., anche (con riferimento al n. 3 dello stesso art.) per violazioni della Costituzione, del diritto comunitario, dei principi generali dell’ordinamento e della legge processuale, mentre la recente sentenza 206/2004 della Corte Costituzionale ha sostanzialmente esteso l’impugnazione anche alla violazione dei principi informatori della materia, dichiarando l’illegittimità costituzionale del II comma dell’art. 113 c.p.c., nella parte in cui non la prevedeva perciò restando escluse anche dopo tale pronuncia le altre violazioni di legge.

Sotto un secondo profilo, tali sentenza sono impugnabili per Cassazione (in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.) per nullità della sentenza attinente alla sua motivazione, che sia assolutamente mancante o apparente, ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse, o comunque inidonee ad evidenziare la ratio decidendi.

Orbene, nella specie, le censure avanzate dal ricorrente non rientrano in alcuna delle categorie suddette, laddove non può dirsi che la motivazione sia apparente ovvero fondata su affermazioni contrastanti o perplesse, solo perché è stata esclusa la responsabilità dei docenti incaricati di accompagnare gli studenti, che determinarono l’evento dannoso.

Peraltro, per vincere la presunzione di responsabilità ex art. 2048 c.c.[1], a carico della P. A., in virtù del rapporto organico con gli insegnanti, nel caso in cui il fatto dannoso si sia verificato nell’ambito di una scuola pubblica, occorre la dimostrazione di aver esercitato la vigilanza nella misura dovuta, il che presuppone, oltre che l’adozione, in via preventiva, di misure organizzative e disciplinari idonee ad evitare una situazione di pericolo, che la prova dell’imprevedibilità e repentinità, in concreto, dell’azione dannosa.

In concreto, l’argomentazione, che è a base della decisione di merito, secondo cui non è stata vinta la presunzione di responsabilità di cui alla menzionata norma codicistico, si compone di un ragionamento che non presenta intrinseci vizi illogici e, quindi, da un punto di vista giuridico costituisce motivazione.

In conclusione, il ricorso è accolto limitatamente al secondo motivo e la sentenza impugnata va cassata in relazione.

Ricorrendo l’ipotesi prevista dall’ultima parte del I comma dell’art. 384 del codice di rito, può decidersi nel merito, con la condanna del Ministero della Pubblica Istruzione, in luogo dell’Istituto Scientifico Brunelleschi.

Nessuna decisione va presa in ordine alle spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso, rigetta gli altri, cassa in relazione la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito, condanna il Ministero della Pubblica Istruzione, in luogo dell’Istituto Scientifico Brunelleschi di Afragola; nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Roma, 28 feb. 2005.

 

Depositata in Cancelleria il 10 maggio 2005.

 

Note:

[1] L'art.2048 del codice civile sancisce la responsabilità dei precettori e dei maestri per i danni cagionati dal fatto illecito dei loro allievi ed apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. In virtù di tale principio, la legge pone una presunzione di responsabilità per c.d. "culpa in vigilando", alla quale possono sottrarsi solo dimostrando di non aver potuto impedire il fatto.