Corte dei Conti Lombardia
Sentenza n. 16-2010
Atti osceni a danno di minori e danno all'immagine
della scuola -
fatti sprovvisti di prova - insussistenza - giudizio contabile -
autonomia rispetto al giudizio penale.
***
Nell'ambito dell'autonomia di giudizio riconosciuta
al giudice contabile rispetto alle statuizioni rese in sede penale,
peraltro prive di autorità di giudicato, in pendenza di appello,
deve affermarsi la insussistenza della benché minima prova che nella
scuola si siano verificati atti osceni ai danni di minori; difatti
il giudice per le indagini preliminari ha basato il proprio
convincimento esclusivamente su racconti di alcuni studenti, senza
alcun riscontro probatorio, ma anzi in presenza di fatti che
contrastavano in modo stridente con le morbose e fantasiose
narrazioni dei minori.
D'altra parte la sola mancanza di capacità di mantenere l'ordine in
classe, se valutabile sotto il profilo disciplinare, non integra
neppure lontanamente i presupposti per la configurazione del danno
all'immagine.
da
DirittoScolastico.it
***
Sentenza 16/2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER LA REGIONE LOMBARDIA
composta dai seguenti magistrati:
Dott. Antonio VETRO Presidente relatore
Dott.ssa Luisa MOTOLESE Consigliere
Dott. Luigi CASO I Referendario
S E N T E N Z A
nel
giudizio di responsabilità iscritto al n. 25726 del registro di
segreteria, ad istanza della Procura regionale della Corte dei conti
per la Lombardia, contro XXX, nata a ….. il …., residente a ……. in
via ……, rappresentata e difesa dall'avv. Carmelina Genovese ed
elettivamente domiciliata presso lo studio dell'avv. Paolo Nicolini,
in Milano, via Alfonso Lamarmora n. 4.
Visti gli atti e i documenti di causa.
Uditi nella pubblica udienza del 26.1.2010 il presidente relatore,
nonché l'avv.to Paolo Nicolini su delega dell'avv.to Genovese ed il
P.M. nella persona del Vice Procuratore generale dott. Paolo
Evangelista, che hanno confermato le rispettive tesi.
FATTO
Con atto
di citazione del 21.5.2009 la Procura regionale presso questa
Sezione giurisdizionale ha convenuto in giudizio la sig. XXX per
sentirla condannare al risarcimento dei danni arrecati all'immagine
della Scuola Media Statale "……." di ……, presso la quale la convenuta
ha insegnato come professoressa supplente di matematica.
Il danno è stato quantificato in via equitativa in €. 4.446,27, pari
al decuplo della retribuzione percepita in qualità di supplente per
17 giorni.
Nell'atto di citazione la Procura ha precisato che il presidente di
questa Sezione ha tuttavia la facoltà, ai sensi dell'art. 55 del
r.d. 12.7.1934 n. 1214 e successive modificazioni, di determinare la
somma da pagare alla "Amministrazione comunale" (riferimento errato,
in quanto il risarcimento è stato richiesto in favore della
"Amministrazione scolastica"), precisando che trattasi di "ipotesi
sulla quale si esprime preventivamente parere favorevole".
Peraltro il presidente ha disatteso tale parere, in quanto la
delicatezza del caso, riguardante alunni minorenni, con pesanti
implicazioni sull'onorabilità della persona convenuta, imponeva un
approfondito riscontro della vicenda nell'ambito processuale.
Dall'atto di citazione emerge che il dirigente del Servizio legale
dell'Ufficio scolastico regionale per la Lombardia ha comunicato con
nota del 21.6.2007 alla Procura contabile che nei confronti della
convenuta era stata esercitata azione penale per il reato previsto
dall'art. 609 quater n. 1 e 2 c.p., in relazione ad atti sessuali
nei confronti dei minori ad essa affidati per ragione di istruzione.
In esito a tale procedimento è stata emessa dal giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Monza la sentenza di
condanna n. 715 in data 31.10.2007.
Secondo la Procura attrice, dalla condotta posta in essere dalla
convenuta è derivato all'Amministrazione scolastica "un danno
patrimoniale indiretto, consistente nella perdita di prestigio e
lesione da immagine".
Con atto del 3.12.2008, la Procura regionale ha rivolto alla
presunta responsabile l'invito a fornire le proprie deduzioni,
pervenute in data 3.2.2009, nelle quali essa ha prospettato le
proprie tesi difensive, poi richiamate e sviluppate nella memoria
difensiva del 5.1.2010.
La XXX ha rinunciato all'audizione personale, per gravi difficoltà
economiche che le impedivano di sostenere le spese per il
trasferimento dal Molise a Milano.
Dall'esame dei documenti acquisiti - secondo la Procura attrice -
sono emersi sia il fatto materiale (atti sessuali nei confronti dei
minori a lei affidati per ragioni di istruzione) sia la condotta
illecita della convenuta, causativa del danno.
Nella memoria difensiva ed allegata istanza di nullità la convenuta
ha chiesto:
1) La nullità di tutti gli atti istruttori e processuali sino ad ora
compiuti nell'ambito del presente procedimento, compreso l'atto di
citazione, in quanto posti in essere al di fuori dei casi
espressamente previsti dall'art. 7 della legge n. 97/2001, ai sensi
e per gli effetti dell'art. 17, comma 30 ter., del d.l. n. 76/2009,
in assenza di una intervenuta sentenza di responsabilità
amministrativa.
2) La declaratoria di inattendibilità delle prove assunte nel
procedimento penale e degli elementi probatori e, quindi, il rigetto
della domanda.
3) In subordine, la riduzione dell'addebito in ragione della lievità
della colpa e delle precarie condizioni economiche.
4) In via istruttoria, l'ammissione della prova testimoniale della
professoressa ……, sui fatti contestati.
DIRITTO
1) In via
preliminare, occorre esaminare la prospettata eccezione di nullità.
L'eccezione è infondata e va respinta.
Questa Sezione, con sentenza 20.10.2009 n. 641, ha interpretato come
segue la novella legislativa di cui al decreto-legge 3 agosto 2009
n.103 il quale, all'art.1 lettera c), ha modificato l'art. 17 comma
30-ter del decreto-legge n.78/2009 nel testo convertito, con
modificazioni, in legge 3 agosto 2009, n. 102; a seguito di tali
modifiche, l'art. 17 comma 30 ter vigente così recita: "Le procure
della Corte dei conti possono iniziare l'attività istruttoria ai
fini dell'esercizio dell'azione di danno erariale a fronte di
specifica e concreta notizia di danno, fatte salve le fattispecie
direttamente sanzionate dalla legge. Le procure della Corte dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine
nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 dalla legge 27
marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di
prescrizione, di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14
gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del
procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto
in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma,
salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva
alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta
valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla
competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide
nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della
richiesta".
Il Collegio, con tale sentenza, ha osservato che "il riferimento
testuale - contenuto nel secondo periodo dell'art. 17 comma 30-ter
sopra citato - ai soli "modi" e "casi" previsti dall'art. 7 della
legge 27 marzo 2001, n. 97, implica che il riferimento medesimo
contempli sia la comunicazione al P.M. contabile ("modo" previsto
nel primo periodo del citato art. 7) della sentenza irrevocabile di
condanna pronunciata per i delitti contro la pubblica
amministrazione previsti nel capo 1° del titolo 2° del libro secondo
del codice penale (i "casi" previsti per tale "modo" ai sensi del
medesimo primo periodo dell'art. 7), sia l'obbligo per il P.M.
penale di comunicare al P.M. contabile, ex art. 129 delle norme di
attuazione c.p.p. (altro "modo" menzionato nel secondo periodo
dell'art. 7), l'esercizio dell'azione penale per i reati (i "casi"
previsti per tale "modo") che hanno cagionato un danno per l'erario.
Tale lettura della novella normativa … é confermata anche dalla
lettera della novella legislativa di cui al decreto-legge 103/2009.
Quest'ultimo, significativamente, ha modificato il testo del
precedente art. 17 comma 30-ter del decreto-legge 1° luglio 2009 n.
78 convertito, con modificazioni, in legge 3 agosto 2009 n. 102,
prevedendo non solamente i "casi" ma anche i "modi" di cui all'art.
7 L. n. 97/2001. Ha statuito, altresì, che "a tale ultimo fine"
(l'esercizio dell'azione), "il decorso del termine di prescrizione
di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n.
20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale". … Tale
ultima previsione normativa, a ben vedere, rileva unicamente per i
"casi" previsti dal disposto normativo di cui all'art. 129 disp.
att. c.p.p., essendo evidente che per i "casi" attinenti alla
comunicazione della sentenza irrevocabile di condanna il
procedimento penale è ormai concluso".
La citata interpretazione risulta costituzionalmente orientata, in
quanto la limitazione della perseguibilità del danno all'immagine ai
soli casi di delitti contro la P.A. e non a qualsiasi reato
suscettibile di arrecare danno all'erario risulterebbe affetta da
illogicità di grado talmente elevato - il caso in esame ne
costituisce la prova evidente: il reato di atti osceni ai danni di
alunni minorenni, non rientrando nella categoria dei delitti contro
la P.A. non comporterebbe discredito all'Istituzione scolastica,
secondo un'interpretazione restrittiva della norma - da non superare
presumibilmente il vaglio di costituzionalità da parte della
Consulta, alla quale, peraltro, la questione è stata già prospettata
dalle Sezioni giurisdizionali campana, con ordinanza del 29
settembre 2009 e siciliana, con ordinanza del 14 ottobre 2009.
Vero è che, a differenza del caso già esaminato da questa Sezione
nella sentenza 20.10.2009 n. 641, nella fattispecie non risulta che
il P.M. penale abbia fatto alla Procura contabile la comunicazione
prevista dall'art. 129 disp. att. c.p.p., ma l'inosservanza
dell'obbligo di legge da parte della Procura penale non muta i
termini della questione, dovendosi altrimenti arrivare alla
conclusione assurda che l'estensione applicativa di una norma possa
variare in conseguenza della condotta, commissiva od omissiva, di un
pubblico dipendente.
In conclusione, secondo l'interpretazione di questa Sezione,
costituzionalmente orientata, la novella legislativa consente, nella
fattispecie, l'esercizio dell'azione per il risarcimento del danno
all'immagine in quanto il reato contestato, riguardante atti
sessuali compiuti da un'insegnante nei confronti di minori
nell'ambito di una istituzione scolastica, è produttivo di danno
erariale, nella specie per le spese occorrenti per il ripristino del
prestigio della P.A.
2)Nel merito, la richiesta risarcitoria è manifestamente priva di
qualsiasi fondamento.
La Procura ha, infatti, acriticamente avallato le conclusioni del
giudice per le indagini preliminari, che, a sua volta, ha basato il
proprio convincimento esclusivamente su racconti di alcuni studenti,
senza alcun riscontro probatorio, ma anzi in presenza di fatti che
contrastavano in modo stridente con le morbose e fantasiose
narrazioni dei minori.
A)Il giudice penale ha ritenuto che "un primo fondamentale elemento
di convincimento è costituito dalla univocità e concordia della
ricostruzione fornita dai minori", pur ammettendo la presenza di una
"contraddizione di un qualche rilievo" riguardante la posizione ed
il ruolo di due minori.
La prima valutazione di questa Sezione riguarda la scarsa
attendibilità dei racconti - non univoci se si ammette la presenza
di contraddizioni sulla posizione ed il ruolo di due soggetti
interessati - da parte di minori la cui maggioranza (tre su cinque)
era composta da persone caratterizzate dal pessimo rendimento
scolastico, tanto da essere ripetenti, e da una spiccata mancanza di
decoro, tanto da essere sorprese, in un'aula scolastica, uno in
mutande e gli altri due con la cerniera dei pantaloni aperta.
B)Se, come è intuitivo, le dichiarazioni rese al momento del fatto
sono da considerare ben più convincenti rispetto a quelle rese in
momenti successivi, emerge ancor più evidente l'inattendibilità dei
racconti dei minori, i quali, sorpresi dalla professoressa ……, come
risulta dalla deposizione di quest'ultima, davano risposte che nulla
avevano a che fare con presunti atti sessuali. Infatti, uno
"sosteneva che aveva i pantaloni larghi e gli erano scesi", due
"dicevano di essersi colpiti a vicenda per gioco ed avendo ricevuto
colpi nelle parti basse si erano slacciati i pantaloni", gli altri
due "sostenevano di non aver fatto niente".
Nella sentenza penale si afferma che "ciò, a ben vedere, non mina
affatto la attendibilità dei minori, ma si spiega agevolmente con un
tentativo "difensivo" da parte loro, finalizzato ad evitare
conseguenze di qualsiasi natura nei loro confronti".
Il ragionamento risulta viziato sul piano della logica: non si
comprende, sulla base di tali premesse, perché dovrebbero essere
ritenuti attendibili i racconti resi a distanza di tempo e non
quelli forniti subito dopo il fatto, dal momento che la stessa
strategia difensiva poteva aver indotto i cinque a concordare una
versione fantasiosa, per evitare le conseguenze derivanti dalla
scoperta della loro condotta disdicevole. La prof. ...... ha,
infatti, attestato di aver detto ai cinque alunni che "le loro
risposte non erano state per nulla convincenti" e che avrebbe
"riferito il tutto al preside, per i provvedimenti del caso".
C) Nella sentenza penale, oltre alla presunta attendibilità dei
racconti dei cinque alunni, si sostiene che "altri corposi argomenti
militano in favore della prospettazione accusatoria".
Queste "corpose argomentazioni" consisterebbero nelle "dichiarazioni
rese sia dalla prof. ...... sia dal preside ……".
Occorre subito sottolineare che la deposizione del preside non è di
alcuna utilità ai fini della ricostruzione della scena apparsa alla
sola prof. ......, in quanto il primo non era neppure a scuola al
momento, ma ha soltanto dichiarato fatti riferiti da altri.
Tanto precisato, dalla narrazione della prof. ...... risulta che per
la classe stava per iniziare l'ora di educazione fisica ma, prima un
alunno, poi altri due, le si avvicinarono "insistendo anche loro
affinché rimanessero con la supplente di matematica. Io dicevo che
non era possibile. Loro insistevano ed anche l'insegnante sosteneva
che loro avevano bisogno di recuperare la materia, quindi
acconsentivo alla cosa".
Nella sentenza penale, uno dei "corposi argomenti" è individuato nel
fatto che "fu proprio la XXX a chiedere con insistenza di poter
trattenere" gli alunni.
Dalla riportata deposizione risulta che il ragionamento riposa su un
dato errato.
L'insegnante, infatti, si limitò a dire che gli studenti avevano
bisogno di ripetizioni, mentre furono solo quest'ultimi e non la XXX,
come ripetuto due volte in tale deposizione, resa ai Carabinieri il
10.11.2006, riportata testualmente a pag. 2 della sentenza penale,
ad insistere per rimanere con la supplente di matematica.
Vero è che a pag. 4 della sentenza si riportano, ma non
testualmente, le precisazioni che in data successiva, il 15.11.2006,
la prof. ...... ha fatto al P.M., dalle quale si evince che "era
stata proprio la XXX a chiederle se fosse stata d'accordo a far
rimanere con lei i tre alunni", aggiungendo l'inciso "insistendo
insieme (omissis: ai tre alunni)".
Peraltro tale precisazione, detta per inciso, non è affatto
convincente, perché contrastante con le precise e reiterate
dichiarazioni rese ai Carabinieri pochi giorni prima.
D) Secondo la sentenza penale "questa insistita richiesta appare
pienamente coerente con il racconto di tutti e cinque i minori,
secondo cui già nell'ora precedente la XXX aveva tranquillamente
accettato confidenze di ogni tipo da parte degli alunni,
apprezzamenti ed argomenti di dialogo che con la matematica non
avevano nulla a che fare".
Se il presupposto da cui muove il ragionamento è presumibilmente
errato, in quanto non risulta provata la "insistita richiesta da
parte della XXX", anche il ragionamento in sé risulta viziato sul
piano della logica.
L'unica richiesta certa formulata dalla supplente concerneva infatti
la necessità di ripetizioni in matematica e non si comprende come
ciò possa dimostrare che nell'ora precedente l'insegnante aveva
accettato indebite confidenze da parte degli alunni.
E) Altro "corposo argomento" sul verificarsi degli atti osceni
riposa sul fatto che "la stessa prof. ...... ebbe a passare fuori la
porta dell'aula di sostegno anche in precedenza, nel corso della
sesta ora, senza udire alcun rumore. Tale circostanza … risulta
assai più coerente con la ricostruzione fornita dai minori, secondo
cui nell'aula erano in atto attività sessuali tra alcuni alunni e la
prof., con il pieno consenso e la cosciente, libera e volontaria
partecipazione da parte di quest'ultima".
Sul punto va osservato come sia priva di qualsiasi valore la
incomprensibile deduzione che dal silenzio in aula possa derivare la
prova degli atti sessuali, addirittura con particolari sulla
situazione psicologica della presunta responsabile.
E' sufficiente ricordare che, dalla deposizione della prof. ......,
risulta che, in presenza della XXX, "si avvicinava la collaboratrice
scolastica …, la quale si impegnava a collaborare nella sorveglianza
degli alunni".
Quindi la XXX, pur sapendo che nell'aula sarebbe potuta entrare in
qualsiasi momento la bidella che aveva assicurato la propria
sorveglianza, avrebbe, ciò nonostante, commesso fatti irripetibili,
desumibili, secondo il giudice penale, dal silenzio in aula, ciò che
è semplicemente assurdo.
F) A parte le ricostruzioni di fantasia, è opportuno verificare lo
stato dei fatti quale emerge dalla descrizione, sicuramente degna di
fede, della prof. .......
"Decidevo di entrare ed, aperta la porta, notavo che l'alunno
(omissis) si trovava di fronte alla porta avendo i pantaloni
abbassati fino alle ginocchia. Poi, sul lato sinistro, appoggiata di
schiena alla parete, vi era in piedi la prof. XXX. Di fronte a lei
vi erano (omissis: due alunni), i quali, entrambi avevano la cintura
dei pantaloni slacciata e la cerniera della patta aperta. Gli altri
(omissis: due) alunni erano seduti normalmente al banco. Presi
dall'imbarazzo, i tre giovani frettolosamente cercavano di
ricomporsi".
Da tale descrizione può dedursi soltanto "una bravata", non si sa se
commessa nell'imminenza dell'entrata in scena della prof. ......, di
tre ragazzi che volevano mettere in difficoltà una supplente
giovane, inesperta, in quanto al suo primo approccio con la scuola,
priva delle capacità necessarie per tenere a bada dei ripetenti
privi del benché minimo senso di rispetto per l'istituzione
scolastica e meritevoli di una esemplare sanzione disciplinare.
G) Dalla sentenza penale si evince che "nel corso delle indagini
preliminari venivano anche disposte intercettazioni telefoniche -
senza che ne emergessero elementi di particolare rilievo - ed erano
acquisiti i tabulati telefonici relativi al cellulare della XXX e
quello di (omissis: un alunno), dai quali erano rilevabili contatti
fra i due", per l'esattezza una chiamata di 27 secondi e due
chiamate senza conversazione partite dal cellulare dell'insegnante.
Anche qui non si riesce a comprendere quale luce sulla vicenda possa
trarsi da una telefonata durata meno di mezzo minuto, di cui si
ignora il contenuto e da due chiamate senza colloquio.
Riguardo alla denunzia fatta dalla XXX nei confronti degli alunni
per una presunta aggressione subita, anche se la questione non
interessa direttamente in questo giudizio, nel quale l'insegnante ha
la veste di presunta responsabile e non di parte lesa, può
osservarsi, per completezza, che probabilmente vi furono
comportamenti disdicevoli ai danni della supplente da parte dei
minori ripetenti e tale presunzione è avvalorata dall'unica
dichiarazione di importanza determinante nella vicenda, resa dalla
prof. ...... nella deposizione del 10.11.2006, del seguente tenore:
"So che i tre alunni in questione sono ripetenti e messi insieme tra
loro avrebbero potuto creare problemi all'insegnante".
Peraltro non è da escludere, anzi è probabile, una esagerazione
nella ricostruzione delle presunte molestie che la supplente avrebbe
subito.
E' significativa, al riguardo, la frase contenuta nel verbale
dell'interrogatorio della XXX al P.M., trascritto a pag. 12 della
sentenza penale:
"La professoressa di educazione fisica (......) mi ha detto che se
non avessi messo io nei guai i ragazzi, mi ci avrebbero messo loro".
In conclusione, nell'ambito dell'autonomia di giudizio riconosciuta
al giudice contabile rispetto alle statuizioni rese in sede penale,
peraltro prive di autorità di giudicato, in pendenza di appello,
deve affermarsi la insussistenza della benché minima prova che nella
scuola si siano verificati atti osceni ai danni di minori.
Oltre che per l'acritica condivisione di una decisione priva di
qualsiasi consistenza, un'altra censura va formulata nei confronti
della citazione.
A pag. 8 si afferma che l'insegnante "non ha saputo esercitare la
sua funzione di docente, che esige anche di fronteggiare e
contrastare eventuali atteggiamenti di indisciplina o violenza da
parte degli alunni. In altri termini il danno all'immagine consegue
direttamente dalla incapacità dell'insegnante di assumere e
mantenere un contegno adeguato rispetto ai suoi doveri di docente,
in disparte la questione delle presunte attività sessuali".
A pag. 19, invece, si fa particolare riferimento ai fatti oggetto di
reato accertati in sede penale e quindi proprio alle "presunte
attività sessuali".
A parte la rilevata contraddizione, va sottolineato che la sola
mancanza di capacità di mantenere l'ordine in classe, se valutabile
sotto il profilo disciplinare, non integra neppure lontanamente i
presupposti per la configurazione del danno all'immagine che, in
caso contrario, dovrebbe ravvisarsi nei riguardi di buona parte
degli istituti scolastici di ogni ordine e grado, tenuto conto della
frequenza degli episodi di indisciplina degli alunni.
Un'ultima notazione: la condotta della docente, sia pure con le
attenuanti della giovane età e dell'inesperienza, non appare priva
di un certo grado di colpa, per non avere immediatamente denunziato
al preside la condotta inqualificabile di tre alunni, anche se, come
già osservato, non è possibile stabilire il momento delle infrazioni
alle norme di comune decoro, in relazione all'entrata nella scena
della prof. ...... ed inoltre quest'ultima comunque provvedeva
tempestivamente alla dovuta segnalazione al capo dell'Istituto.
Il comportamento colposo, di grado non grave, assume rilevanza ai
fini della compensazione delle spese legali.
Come stabilito da questa Sezione con sentenza 11.11.2009 n. 767, "il
potere di compensazione delle spese di giudizio, in presenza di
adeguata motivazione, resta intatto anche dopo la novella
legislativa recata dall'art. 17, co. 30-quinquies, d.l. 1 luglio
2009, n. 78, coordinato con la l. di conversione 3 agosto 2009, n.
102, che ha modificato l'art. 10-bis, comma 10, del d.l. 30
settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla l. 2
dicembre 2005, n. 248. Quest'ultima disposizione, nel dare
interpretazione autentica alla disposizione di cui all'art. 3 co. 2
bis del d.l. 23 ottobre 1996 n. 543, convertito dalla l. 20 dicembre
1996 n. 639, ha affermato che le spese legali restano a carico
dell'amministrazione di appartenenza "in caso di definitivo
proscioglimento." Pertanto, essa ha stabilito, con l'integrazione
posta dall'art. 17, co. 30-quinquies, d.l. n. 78/2009, che le
succitate norme "si interpretano nel senso che il giudice contabile,
in caso di proscioglimento nel merito e con la sentenza che
definisce il giudizio, ai sensi e con le modalità di cui all'art. 91
del codice di procedura civile, non può disporre la compensazione
delle spese del giudizio e liquida l'ammontare degli onorari e
diritti spettanti alla difesa del prosciolto….". Come appare
evidente, la novella legislativa non ha modificato il presupposto in
base al quale sorge l'obbligo di non procedere alla compensazione
delle spese e di liquidare l'ammontare delle spese legali e cioè la
sussistenza di un "proscioglimento nel merito", che però deve essere
"pieno", nel senso che non risulti accertato, come nella
fattispecie, un comportamento colposo dei soggetti convenuti. In tal
senso è la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha escluso la
sussistenza dell'indicato presupposto anche in altri casi, come nel
proscioglimento in rito o per prescrizione (sentenze Sez. III app.
n. 40/2002 ; Sez. I app. n. 88/2008). In tali casi permane il potere
di compensare le spese tra le parti, in presenza di giusti motivi
"esplicitamente indicati nella motivazione" (artt. 91 e 92, co. 2,
c.p.c., nel testo sostituito dall'art. 2, co. 1, lett. a, l. 28
dicembre 2005, n. 263). D'altra parte, come precisato dalla
giurisprudenza di legittimità, la decisione del giudice contabile di
compensare le spese di lite è espressione di un potere discrezionale
incensurabile in sede di legittimità (Cass., sez. III, 18 aprile
2007, n. 9296; id., sez. un., sez. un., 15 luglio 2005, n. 14989;
id., sez. un. 15 novembre 1994, n. 9597), quando vi è specifica
motivazione sul punto (Cass., sez. II, 21 marzo 2007, n. 6681). Va
infine osservato che una diversa interpretazione, nel senso di
imporre al solo giudice contabile, a differenza di altri giudici, il
divieto di compensazione delle spese in ogni caso di
proscioglimento, senza alcun potere di valutare, da una parte le
circostanze di diritto e di fatto che hanno portato a quella
particolare species di proscioglimento, nell'ambito del più ampio
genus, dall'altra la condotta dei convenuti, porterebbe a concludere
per una presumibile, macroscopica illegittimità costituzionale della
norma, sia per violazione dei principi di uguaglianza, ponendo il
giudice contabile in una ingiustificata, deteriore situazione di
limitazione dei propri poteri decisori, a differenza di altri
giudici, sia perché verrebbe ad interferire irrazionalmente nei
poteri giurisdizionali di questa Corte alla quale verrebbe inibito
di valutare tutti gli elementi, soggettivi ed oggettivi, della
controversia, ai fini della decisione sulle spese, che costituisce
parte integrante della statuizione giurisdizionale".
Alla luce degli indicati principi giurisprudenziali, va dichiarata
la compensazione delle spese legali.
PER QUESTI MOTIVI
La Sezione
giurisdizionale per la Lombardia, definitivamente pronunziando:
1) Respinge l'eccezione di nullità dell'azione della Procura
regionale.
2) Proscioglie la convenuta, XXX, da ogni addebito contestato dalla
Procura regionale.
3) Dichiara la compensazione delle spese legali. Nulla per le spese
di giudizio.
4) Dispone che la presente sentenza, oltre che alle parti
interessate, venga comunicata all'Ufficio scolastico regionale per
la Lombardia.
Così deciso in Milano, nella camera di consiglio del 26 gennaio
2010.
IL PRESIDENTE RELATORE
Antonio VETRO
Depositata in Segreteria in data 27/01/2010
Il Dirigente