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Associazione Professionale degli Insegnanti

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Gilda degli insegnanti della Lombardia

Una categoria a rischio di DEPRESSIONE.

Il docente nei fatti si trova sollecitato continuamente da stimoli a cui deve rispondere in modo appropriato, mantenendo sempre calma e controllo per tutte le sue manifestazioni, e insieme a ciò deve sempre progettare strategie per un migliore apprendimento degli allievi. Questo deve accadere ogni giorno, tutte le settimane, tutti gli anni, per più di trentacinque anni  (oggi si pensa che possa accadere anche per quaranta anni).

di Francesco Zaffuto dalla Gilda degli insegnanti della Lombardia, 29/11/2007

 

Certo l'immagine di un docente che va in cattedra per 18 ore settimanali, che si siede in un posto caldo e ben protetto e che riveste un ruolo in qualche modo di prestigio anche se mal pagato, non è facile da considerare come facente parte di una categoria di lavoratori a rischio usura.

Eppure le statistiche dimostrano che trattasi di una delle categorie più esposte alla depressione; i dati richiamati dal Corriere della sera del 26 novembre 07  ci fanno ricordare  gli studi sul burnout del Dott. Lodolo D'Oria che la stessa GILDA degli insegnanti ha presentato in conferenze in diverse città d'Italia.

Se consideriamo che chi soffre di patologie psichiatriche  difficilmente è disposto ad ammetterle perché le considera mortificanti, possiamo sicuramente affermare che il fenomeno è più esteso di quanto dimostrato dalle statistiche stesse.

Per quali motivazioni i docenti sono esposti a tali rischi? Proviamo a fare un elenco.

Intanto, sgombriamo il primo luogo comune, le 18 ore di cattedra non sono 18 ore di conferenze di fronte ad un uditorio attento e interessato che prende appunti e pende dalle labbra del docente.

Precisiamo anche che in fasce di età molto problematiche abbiamo 22 ore per gli insegnanti delle elementari e 25 ore per le materne.

 Quindi un numero di ore dove bisogna non solo divulgare del sapere ma confrontarsi con tutte le esigenze che esprimono i giovani a diverse fasce di età e che si esprimono in dinamiche complesse di gruppo.
 Se un impiegato stressato manda al diavolo un suo collega o un cliente la cosa si può risolvere in un litigio con conseguenze spesso limitate;  se un insegnante manda al diavolo un ragazzino la questione diventa molto più grave,  tutta la sua professionalità viene messa in discussione e anche gli stessi passati meriti vengono come annullati.

Riguardo ai possibili meriti e riconoscimenti ai docenti;  l'oziosa discussione va avanti da anni nel nostro paese,  con fior di studi e tanto blaterale di ministri, e fino ad ora non ha portato ad alcuna decisione,  decisione che in ogni caso si rivelerebbe sempre un po' ingiusta data la difficoltà di misurazione dei meriti.

La dote principale di calma-pazienza che spesso sta alla base dei migliori risultati viene considerata come una dote che si possiede naturalmente e non come un requisito professionale che il docente faticosamente costruisce e cerca di mantenere sempre alto.

I risultati didattici di apprendimento spesso vengono attribuiti alle stesse doti degli allievi e alle loro qualità che vengono magnificate in giudizi complessivi, difficilmente vengono attribuiti ai docenti. Ed effettivamente non è facile l’attribuzione perché il risultato è il frutto di una particolare interazione dove capacità dell’allievo e qualità del docente interagiscono.

 Solo chi ha fatto il docente per tanti anni sa che dopo tanto lavoro  che filava liscio poi  capita la classe difficile o l’alunno estremamente problematico e in quelle situazioni si gioca tutta la calma-pazienza e tutta la professionalità.

 Dunque il complesso rapporto con gli alunni e il gruppo classe mette a dura prova costantemente il docente in modo ininterrotto in tutto il processo atto a veicolare il sapere.

 Ma oltre al già difficile compito di veicolare il sapere, si aggiungono altri carichi :

-   deve sorvegliare sul comportamento disciplinare degli allievi, insegnare la buona educazione;

-   deve sorvegliare nelle prove degli allievi, che “normalmente” tendono ad arrangiarsi

-   deve valutare ed esprimere giudizi sugli allievi, che spesso contrastano con quelli che hanno studenti e famiglie;

-    deve esprimere valutazioni su prove scritte, che pare debbano conservarsi negli archivi della Storia;

-    deve mantenere rapporti con le famiglie cercando di dire le cose senza colpire la suscettibilità;

-    deve rapportarsi con i colleghi, e i rapporti non sempre sono improntati alla solidarietà;

-    deve rapportarsi con il dirigente scolastico, che spesso è più sensibile all’utenza.

Il docente nei fatti si trova sollecitato continuamente da stimoli a cui deve rispondere in modo appropriato, mantenendo sempre calma e controllo per tutte le sue manifestazioni, e insieme a ciò deve sempre progettare strategie per un migliore apprendimento degli allievi. Questo deve accadere ogni giorno, tutte le settimane, tutti gli anni, per più di trentacinque anni  (oggi si pensa che possa accadere anche per quaranta anni).

La realtà ci dimostra che si può scoppiare (burnout), depressione o altra manifestazione psicotica, spesso il tutto è annunciato da semplice grande stanchezza.

Per fortuna non accade a tutti: ci sono colleghi che hanno avuto magari qualche difficoltà iniziale e poi in vecchiaia chiedono perfino il prolungamento per restare qualche anno in più in cattedra, come ci sono colleghi che chiedono loro stessi la visita fiscale per essere assegnati ad altra mansione, come ci sono colleghi che contano i giorni per andare in pensione. Non siamo tutti uguali perché la natura stessa  ci ha fatti diversi e viviamo tempi e condizioni di vita diversi.

Ma il problema dell’usura per gli insegnanti esiste e non può essere sottovalutato dal legislatore.

Mantenere una flessibilità di uscita a 57 anni per il pensionamento è il minimo che si possa chiedere, in questa fase di ventilate riforme pensionistiche.

Vanno articolate inoltre possibilità di mobilità verso altri compiti della pubblica amministrazione per chi si trovasse senza i requisiti contributivi per andare in pensione.

Qualcuno potrà obiettare che simili proposte  si riversano sulla collettività come costo sociale. Allora si possono fare due conti; il docente depresso in condizione di non prestare il servizio d’insegnamento nei fatti produce un mancato servizio, il costo sociale lo si ha lo stesso ottenendo in più  un danno. Certo lo si può licenziare magari dopo trenta anni d’insegnamento e mandarlo a dormire sotto i ponti, magari aggiungendo che non aveva mai avuto alcun merito.


29 novembre 2007