Modesta proposta per la risoluzione

del problema delle gite scolastiche.

Renato Lo Schiavo, da DocentINclasse, 26/4/2006

 

Italia o Estero? Solo le classi terminali o la facciamo per tutti? La scuola deve dare un contributo oppure speculiamo indirettamente sulla selezione per censo?

Come è facile intuire, stiamo parlando delle gite scolastiche, pardon, dei viaggi d’istruzione, vero tormentone di ogni inizio d’anno scolastico, fra liti per la destinazione e scongiuri per non essere precettati come accompagnatori.

Al di là di facili ironie, credo che sia necessario riflettere seriamente sul senso di questo tipo d’esperienza e voglio cominciare con una provocazione: secondo me, oggi come oggi, sarebbe meglio abolirle. Tanto stress per progettarle, non meno per realizzarne la parte organizzativa, forte carico di tensione per quello che i pargoletti potrebbero combinare (e che di solito si riferisce a molto meno di quello che poi effettivamente fanno), capatine al pronto soccorso o al commissariato ed altre amenità che un po’ tutti noi abbiamo sperimentato. Non dite che sono molti i casi in cui tutto va bene, perché il più delle volte ciò significa soltanto che abbiamo voluto chiudere gli occhi, le orecchie e la bocca.

Qualcuno potrebbe obiettare che si possono correre certi rischi pur di offrire ai ‘ragazzi’ l’occasione di visitare luoghi che forse non tutti potrebbero vedere per via delle elevate spese che le loro famiglie dovrebbero altrimenti sostenere.

Obiezione che io non ritengo valida: la scuola non è una organizzazione di turismo a prezzi stracciati e pertanto questa non può essere una motivazione che stia alla base di tali viaggi.

Sappiamo bene tutti che quando si propone un viaggio si adducono (spesso in buona fede) montagne di valide ragioni per le destinazioni suggerite, ma sappiamo altrettanto bene che il più delle volte si tratta soltanto di coperture per scelte che hanno altre motivazioni (è un posto dove non sono mai stato, sono curioso di vedere la tale cosa, ci sono certe discoteche...).

Per quanto l’attuale ministero abbia cancellato l’aggettivo ‘Pubblica’ dalla propria intestazione, a mio avviso è comunque la dimensione pubblica a permeare ogni atto della Scuola di Stato e ad essa dobbiamo quindi richiamarci: nel momento stesso in cui gli alunni (o i professori) dicono “a me piacerebbe…” si è entrati nella logica individualistica della ‘comodità’ e pertanto si è al di fuori del ‘pubblico’.

A costo di correre il rischio d’essere accusato di essere portatore delle peggiori nefandezze pregiudiziali, dico chiaro e tondo che al 99% dei ragazzi (e forse anche a qualche professore) in realtà interessa soltanto di poter stare alcuni giorni lontani dal controllo delle famiglie, per avere così la speranza di maggiore facilità di fare certe ‘esperienze’. Sarà anche questo un aspetto ‘educativo’ di primaria importanza, ma secondo me è qualcosa che pertiene alla sfera del ‘privato’ e che pertanto non può stare alla base di una attività ‘pubblica’. Vero è che la nostra esperienza di solito ci fa considerare un notevolissimo traguardo qualcosa che vada bene per l’1% degli alunni, ma non so quale manager sarebbe soddisfatto di un simile margine nel rapporto costi/benefici. Solo per la scuola di una volta ciò andava bene, e non perché fosse elitaria.

“Ma così, con la tua pregiudiziale del ‘pubblico’ – mi potreste dire – allora non si farebbe mai un viaggio d’istruzione”.

Appunto; proprio per questo infatti propongo di abolirli.

“Ma allora – continuerebbero i miei interlocutori – cosa vorresti offrire in cambio ai nostri ragazzi? Non credi che avrebbero comunque bisogno di un confronto con realtà diverse dalla loro?”

Perfetto: vi do ragione al 100%. Istituzionalizziamo gli scambi di studio, possibilmente fra nazioni diverse, cercando di curarne il più possibile la serietà d’impegno. Chi lo fa già di solito ne parla molto bene; si tratta di evitare che tali esperienze siano affidate allo spontaneismo ed al dilettantismo, che altrimenti rischierebbero di trasformarle in brutti surrogati delle gite scolastiche. E non vorrei essere proprio io a rimpiangerle.