L’intervento a tutto campo di Marcello Pera al
Meeting di Rimini è al centro, questi giorni, di accese discussioni,
dibattiti, prese di distanza.
Tra i tanti temi affrontati dal Presidente del
Senato (e quindi seconda carica istituzionale della Repubblica) il
nucleo duro del discorso si è incentrato sulle questioni del
multiculturalismo ed in parte su quello del relativismo.
Rispetto al primo tema Marcello Pera ha
sostenuto che "non c’è altra strada: o ci impegniamo a integrare
gli altri facendoli diventare cittadini della nostra civiltà – la
nostra educazione, la nostra lingua, la coscienza della nostra storia,
la condivisione dei nostri principi e vaori – oppure la partita
dell’integrazione è perduta". E qui ‘affondo: l’immigrazione
incontrollata dà luogo ad una popolazione di meticci.
L’Occidente, stando a Pera, attraversa una gravissima crisi morale
mentre "i nemici esterni hanno dichiarato una guerra santa, come
dicono i terroristi islamici".
Di fronte a simili affermazioni si può essere tentati di buttarla
sull’ironia, come ha fatto, stupendamente, Gian Antonio Stella su
Il corriere della sera del 23 agosto sottolineando come per Pera
il principio di non-contraddizione non abbia poi un gran valore…Pera,
scrive Stella, "ha offerto ai suoi
critici tutte le prove per accusarlo, carta canta, di aver detto
tutto e il contrario di tutto, a seconda di come gli girava al
momento. Fedele, in fondo, solo all'idea che aveva proposto anni fa a
un giornale. Quella di avere una rubrica dove "scrivere ciò che mi
passava per la testa". Propose pure il titolo: "Discorsi a Pera"").
Oppure, come Gad Lerner, ricordare che si è
meticci.
Oppure, come molti altri, condannare il discorso
del Presidente del Senato segnalando la sua pericolosità, oltre che la
sua rozzezza.
Un’altra possibilità è quella di prendere
comunque sul serio, non fosse altro per amore di argomento, le
affermazioni di Pera che, comunque la si pensi, un ruolo lo svolgono:
sdoganano la paura e la chiusura che alberga nell’universo profondo,
nella zona oscura, di molte persone in Italia e non solo.
Certo, si tratta di una operazione dubbia e che
non s’attaglia né ad una alta carica istituzionale e men che meno ad
un cultore di Popper. Ma forse Pera ha da tempo abbandonato il grande
maestro della società aperta e i suoi nemici.
Il meticcio come bastardo
Il cuore dell’argomento di Pera può esser
ravvisato nel concetto di meticcio.
Il meticcio come ciò che è impuro, che è misto, che è frutto di due
culture, due storie, due o più mondi. Il meticcio, per dirla tutta ed
usando il linguaggio che in genere si adopera per le razze dei cani,
come il bastardo.
Pera in sostanza addita il pericolo, per l’Europa, di imbastardirsi,
di perdere la sua purezza.
E qui nasce una prima domanda: che cosa è l’identità europea o
occidentale che dir si voglia? Quali sono i suoi caratteri
fondamentali?
Non è certo qui il caso di tentare una risposta a tale domanda. Si
tratta tuttavia di una domanda a cui non è possibile sfuggire.
Un gioco per capire
Propongo un gioco. Divertente e terribile come
tutti i giochi veri.
Chi legge provi solo per un istante a chiudere gli occhi e ad
elencare, dentro di sé, cinque tratti della identità "occidental-europea.
Successivamente provi a ricostruire, per ognuno di essi, il percorso
che lo ha contraddistinto, le vicende storico-culturali che lo hanno
prodotto. Credo non sarà difficile accorgersi come ciò che ognuno di
noi chiama "Europa" o Occidente è figlio di una pluralità di percorsi,
di un continuo intreccio, di fili che si snodano l’uno sull’altro. In
sostanza la nostra stessa "identità" è frutto di un laborioso e
faticoso percorso di continua ricerca che è un percorso di
meticciamento.
La nostra è una identità plurale e la sua ricchezza consiste proprio
nel riuscire a far convivere al proprio interno una molteplicità di
punti di vista.
Ora si pensi di continuare il gioco e si ipotizzi di confrontare con
altre i tratti della identità europea precedentemente identificati. Io
credo che difficilmente si resterà fermi a 5 e che invece, come in una
mappa concettuale, si potrebbe assistere ad un aumento vertiginoso di
tratti distintivi.
E, ancor più stupefacente, con molta probabilità ognuno di noi non
faticherebbe a riconoscere che i nuovi elementi costituiscono anche a
parer nostro, seppure non da noi precedentemente considerati, elementi
importanti della nostra "identità".
Un gioco interessante.
Che segnala, nel contempo, l’errore in cui cade colui che pensa come
Marcello Pera: avere lo sguardo rivolto solo al passato, all’indietro,
e non invece anche al presente ed al futuro.
Se guardiamo solo indietro, infatti, corriamo il
rischio di pensare la nostra attuale identità come un dato di fatto,
come una realtà solida che non ha vissuto alcun mutamento ed alcun
conflitto nel corso del tempo. Così non è, anzi.
Uno sguardo rivolto al solo passato
Si tratta di un pensiero che, in sostanza,
potremmo definire fondamentalista. Un pensiero che chiude l’identità
in un recinto e la assolutizza mediante la rimozione del percorso che
essa ha compiuto per giungere sino ad oggi. Si tratta di una
costruzione mito-poietica, come dicono gli antropologi, che non ha
nulla a che fare con il quotidiano negoziare che ognuno di noi compie
entro la società in cui vive.
In secondo luogo dimentica che ad incontrarsi e/o a scontrarsi non
sono mai le culture ma le persone. E le singole persone, come ci
insegna il gesuita Michel de Certeau, inventano continuamente il
quotidiano mediante strategie sempre più complesse ( di de Certeau,
morto nel 1986, l’editore Cortina ha dato recentemente alle stampe un
volume da titolo molto significativo: La scrittura dell’altro).
Pensare che ad incontrarsi e/o a scontrarsi siano le culture è una
mistificazione ideologica molto pesante, soprattutto per quanti da
sempre tessono le lodi delle persone, dei singoli, e della libertà
dell’individuo salvo poi essere i primi, … guarda guarda, a
rinchiudere questi singoli dentro strutture che negano proprio la così
tanto vantata libertà dell’individuo.
Rivolgere la lanterna verso il futuro….
Il nostro problema, il dilemma che vive ogni
società nel tempo globale, ha a che fare con il futuro, piuttosto che
con il passato.
E’ il dilemma delle società multiculturali, come ha ben messo in
evidenza recentemente Gilles Kepel argomentano sulla crisi del modello
inglese di "integrazione" (il cosiddetto Londonistan).
Un dilemma che Pera sembrerebbe voler affrontare assolutizzando le
radici (alcune delle radici!) di quella che considera
l’identità occidentale.
Dimenticando, in questo, proprio la lezione di Papa Benedetto XVI che,
da Cardinale, ha sostenuto più volte che la multiculturalità è "una
sfida da raccogliere".
Di più: "L'interculturalità mi pare oggi costituisca una dimensione
indispensabile per la discussione intorno alle questioni fondamentali
sull'essere uomo, discussione che non può essere condotta né solo
all'interno del cristianesimo né solo nell'ambito della tradizione
occidentale della ragione".
E a Colonia, prima dell'incontro con i musulmani, ha spiegato che
secondo lui l’islam moderato esiste ed anzi:
"L'area culturale islamica è caratterizzata da
analoghe tensioni: dall'assolutismo fanatico di un Osama Bin Laden
fino agli atteggiamenti che sono aperti a una razionalità tollerante,
si dispiega un ampio arco".
Insomma…. anche l’Islam è meticcio, così come ogni altra cultura.
Ed è allora qui che si colloca la sfida, culturale e sociale insieme,
che abbiamo davanti. Si tratta non tanto di preservare una inesistente
purezza quanto di fare i conti con la propria storia ed incamminarsi,
a partire da questa storia, verso un futuro che non può che essere
figlio dell’intrecciarsi di una pluralità di storie, di vicende, di
valori, di significati che si confrontano, configgono persino.
…ricordando la lezione di Metide
Forse varrà la pena, chiudendo, raccontare una
storia…
E’ la storia di Metide. Il concetto di meticcio ha infatti forti
legami con una figura della mitologia greca, Metide appunto,la prima
sposa di Zeus. Metide era la personificazione della prudenza, la più
saggia tra gli dei e i mortali. Quando rimase incinta, Urano e Gea
consigliarono Zeus di ingoiarla, in quanto il figlio che avrebbe messo
al mondo avrebbe potuto detronizzarlo, perché avrebbe unito in sé la
saggezza della madre e la potenza del padre. Seguendo il consiglio,
Zeus la divorò e fu lui a mettere al mondo una figlia: Atena, che uscì
tutta armata dalla testa del padre. Inizialmente dea della guerra
Atena ebbe anche molte altre attribuzioni: alcune città la considerano
la dea della pace, in altre è la protettrice degli artigiani, in altre
ancora personifica la virtù della saggezza dello spirito e la ragione
da cui nasce il coraggio.
Proprio quel coraggio che sarebbe necessario utilizzare quando si
parla di meticci e di società meticcia. Perché per pensare ed
edificare una società multiculturale e plurale occorre proprio la
saggezza e la ragione di cui era portatrice Atena, figlia di Metis.
Il cui animale preferito era la civetta, che rappresenta la filosofia
e che per Hegel si alza al tramonto su Atene.
Ecco, forse da un filosofo come Pera ci si poteva attendere almeno un
po’ di filosofia….
Ovvero quella ricerca mai conclusa della verità che io, nel gioco che
vi ho inviato a fare, avevo messo tra le cinque caratteristiche
fondamentali dell’identità dell’Occidente.
Ricerca continua senza mai avere la pretesa di chiudere la verità nei
nostri deboli recenti.
Quando ciò succede inizia la violenza.
Questo ci dice la civetta che ancora a oggi si alza al tramonto sulle
nostre teste