Il “merito”:
considerazioni e valutazioni
in un Congresso dell’Aran. .

Renza Bertuzzi, direttore di Professione Docente, da DocentINclasse, 16/7/2006

 

Il problema del cosiddetto “merito”, esploso impetuosamente sui mass-media dopo le reazioni degli insegnanti al “Concorsone”, non è questione recente.

Oggi, l’identificazione del “merito”viene proposta in un’ottica “morale”, fuorviante ma apparentemente indiscutibile (chi, infatti, potrebbe ragionevolmente respingere il principio di retribuire di più coloro che lavorano meglio ?); tuttavia i motivi che furono alla base della differenziazioni retributive nel Pubblico Impiego risposero alla loro nascita ad esigenze essenzialmente economiche.


La sintesi che segue cercherà di tracciare un riepilogo ragionato di quell’ inversione di tendenza (dagli aumenti retributivi legati all’anzianità e uguali per tutti agli aumenti legati agli incentivi) denominata “razionalizzazione nella Pubblica Amministrazione”, ed utilizzerà i principali interventi presentati ad un Seminario tenuto dall’ARAN il 26-27/ 1/’96 a Roma e pubblicati nel “Quaderno Aran”, n.10: “Razionalizzazione e relazioni industriali nella Pubblica Amministrazione”, a cura della Franco Angeli.

 

LE ORIGINI DELL’INVERSIONE DI TENDENZA.

Dalla metà degli anni ’80 è in corso, in Europa e in altri Paesi dell’OCSE, un processo di ristrutturazione globale che ha essenzialmente l’obiettivo di porre severi vincoli alla spesa pubblica.

Questa inversione di tendenza ha assunto la forma di un modello strategico di comportamento direzionale chiamato, “The new public management”, che si basa su due presupposti:

1) il pubblico impiego sarà tanto più efficiente e reattivo verso le esigenze dell’utenza, quanto più rispecchierà l’attività manageriale del privato;

2) quest’ultima attività sarà tanto più efficace quanto più le amministrazioni pubbliche saranno organizzate sulla base di criteri di mercato.


Questi principi hanno portato a cambiamenti significativi, sia nell’organizzazione che nel finanziamento del Servizio pubblico e della Pubblica Amministrazione, e, in modo particolare, i Governi, applicando l’”ability to pay” (ovvero, la capacita di pagare) come criterio prioritario per finanziare gli aumenti retributivi richiesti, hanno legato la crescita dei salari nel settore pubblico a quella del settore privato e all'’inflazione. Inoltre, sono stati introdotti incentivi salariali legati alla prestazione (e non più all’anzianità) e nuove forme di carriera.

 

I MODELLI DELL’INVERSIONE DI TENDENZA

Due sono stati i modelli del “new public management” attuati in Europa.
Il primo, diffusosi in Inghilterra, ha realizzato alla lettera i due principi cardine del modello strategico sopra descritto.

La riforma avviata è stata impostata sulla larga discrezionalità assegnata ai manager professionali, i quali hanno:

a) pieno potere decisionale nella riorganizzazione dei servizi e nella gestione delle risorse umane;

b) responsabilità nell’ evadere le richieste dell’utenza e nel controllare le prestazioni del personale;

c) possibilità di privatizzare specifiche attività.

L’altro modello, definito di continuità istituzionale, è stato applicato in Germania, Francia e in Spagna e in generale in quasi tutti i paesi europei (per l’Italia si vedrà poi).


In questi Paesi sono stati sì introdotti salari variabili legati alla prestazione e si è cercata una certa flessibilità nel mercato del lavoro interno, ma la burocrazia tradizionale non è stata sostituita dalla nuova élite di imprenditori- manager, né il ruolo dei nuovi dirigenti ha assunto l’enfasi dell’Inghilterra. Il richiamo ai meccanismi di mercato rimane debole e le decisioni centralizzate restano determinanti.


Tra i due modelli cambia soprattutto l’orientamento verso le organizzazioni sindacali e le associazioni professionali.

Il “new public management” si basa su un contenimento dell’influenza dei sindacati e del loro peso all’interno dell’amministrazione: in Inghilterra il nuovo management è stato lo strumento con cui sono state realizzate molte decisioni del Governo per razionalizzare la Pubblica Amministrazione.

Nel modello di “continuità istituzionale”, i sindacati e le associazioni sono coinvolti nelle decisioni di riforma.

 

I RISULTATI DELL’INVERSIONE DI TENDENZA.

Quasi tutti i relatori del Seminario sono concordi nella valutazione dei risultati di questa innovazione.

Winchester e Bach, dell’Università di Warwich, autori della comunicazione sulla Gran Bretagna, avvertono che confrontare il modello tradizionale di gestione dei servizi pubblici con il modello della “migliore prestazione”del settore privato significa mettere in discussione il principio della peculiarità della “direzione nella sfera pubblica” elaborato da Stewart e Ransom, Management in the Public Domain, nel 1988, secondo il quale la gestione dei servizio pubblici differisce fondamentalmente dal settore privato in termini di obiettivi, di contesto e di vincoli sulle performance. Steward e Ramson non sono i soli nel pensare che ci siano pericoli nell’adottare in modo non critico il modello di gestione e la retorica del settore privato.


La politica del Governo sulla determinazione salariale in base alla prestazione in Gran Bretagna, secondo Winchester e Bach, ha incontrato due ostacoli:

1) la priorità del Tesoro per mantenere il controllo centralizzato che ha diretto le scelte dei dirigenti a ridurre le spese attraverso la riduzione del personale e l’accorpamento dei ruoli;

2) la difficoltà nella misurazione della produttività e dell’efficienza nella Pubblica Amministrazione.

Secondo i due relatori, le lotte in atto in quel periodo (1995) che coinvolgono personale delle ferrovie, insegnanti delle scuole superiori, e altro personale del servizio pubblico, fanno pensare ad un gran malcontento che potrebbe trasformarsi o in una ripresa del conflitto aperto o in una demotivazione del personale e nella conseguente riduzione della qualità del servizio.

Tuttavia, poiché la logica della strategia del Governo sembra inevitabile, quando le retribuzioni e le prospettive di carriera e le condizioni di lavoro si diversificheranno, ci saranno “vincitori”e “perdenti”, i quali saranno messi da parte.

E cosi, oggi, sondaggi sulla soddisfazione sul lavoro hanno rilevato condizioni di stress e demoralizzazione dovute all’intensificarsi del lavoro, all’insicurezza del posto di lavoro e al deterioramento delle prospettive di carriera.

Nel settore dell’istruzione, dove dal 1990 è stato introdotto un sistema di retribuzioni ad incentivo, sono i dirigenti locali a premiare gli insegnanti particolarmente meritevoli. Tuttavia, i rappresentanti dei presidi e dei sovrintendenti scolastici hanno sostenuto che la retribuzione in base alla prestazione avrebbe creato solo conflitto.

In sostanza, la spinta verso una retribuzione localizzata non ha avuto un gran successo nell’ambito scolastico, poiché è stata spesso accompagnata da cambiamenti nell’organizzazione del lavoro che mettono in discussione principi quali l’autonomia professionale e peggiorano le condizioni d’impiego.


Schrager e Andersson, relatori per la Svezia, rilevano che una politica salariale decentrata, legata alla performance, può essere introdotta in alcune attività dell’amministrazione centrale, dove i risultati possono essere misurati facilmente, come, per esempio, la pulizia degli uffici.

In altri servizi, di natura più complessa, che costituiscono il “cuore” dell’amministrazione centrale, la misurazione del risultato e della produttività implica difficili problemi di principio: facilmente questi tentativi possono produrre incentivi che vanno in senso contrario ai risultati attesi.

In Danimarca, alcune ricerche sull’applicazione e sugli effetti del cosiddetto salario locale o individuale, hanno mostrato come questo meccanismo non abbia ottenuto consensi da parte dei lavoratori e datori di lavoro locali.
In Francia e, soprattutto in Germania, le retribuzioni sono ancora definite a livello nazionale per tutti gli impiegati pubblici. In Francia, le indennità sono concesse sulla base dell’ anzianità di servizio, cosi come le carriere sono gestite sulla base della seniority e non attraverso prestazioni.

 

IL MODELLO ITALIANO NELL’INVERSIONE DI TENDENZA.

In Italia, la riforma della contrattazione collettiva è avvenuta con il D.Lgs. 3 Febbraio 1993, n.29, con il quale sono state apportate riforme sostanziali.

Si tratta di un modello più vicino all’Inghilterra che alla Francia e alla Germania, dove i dirigenti sono essenzialmente espressione del potere normativo e giuridico dello Stato.

Questo decreto, tra le altre cose, rafforza il ruolo dirigenziale nel settore pubblico eliminando la partecipazione dei sindacati su molti aspetti che in passato erano stati affrontati al tavolo delle trattative. In modo specifico, la dirigenza può ora adottare decisioni indipendenti, su molti aspetti di gestione del personale, quali la selezione del personale, le funzioni dei dirigenti e l’organizzazione del lavoro. senza che siano coinvolti i sindacati.

Questa riforma attribuisce ai dirigenti del settore pubblico la responsabilità del perseguimento di risultati misurabili e non della verifica della legittimità degli atti amministrativi.

Ai dirigenti, quindi, è attribuito il potere di adottare atti amministrativi e di concedere trattamenti economici accessori, di riorganizzare il lavoro e le funzioni, di definire i carichi di lavoro, l’orario di servizio, la mobilita interna e di adottare ogni altra decisione volta al miglioramento del rendimento.

Tutti questi obiettivi non hanno tenuto conto dei limiti considerevoli che l’attuale struttura dirigenziale presenta.


Sabino Cassese ha rilevato che, mentre in Francia lo Stato fu costituito attorno ad un nucleo amministrativo, in Italia questo non è mai stato l’epicentro della Costituzione. L ‘Amministrazione Pubblica in Italia ha accettato un basso profilo e scarsa visibilità poiché é sempre stata dipendente dal sistema politico, tanto che di frequente le amministrazioni locali sono state coinvolte in casi di corruzione relativi alle pratiche di assunzione e di selezione.

Per quanto attiene al contenuto delle negoziazioni, esistono due temi centrali del dibattito: la retribuzione correlata al merito e la retribuzione in rapporto alla prestazione.

L’Aran considera entrambe queste forme come prioritarie nella formulazione del rinnovamento dei contratti.

Tuttavia esistono alcune questioni, che i relatori (C. Dell’Aringa, presidente dell’Aran * e Giuseppe Della Rocca) pongono come interlocutorie.

In primo luogo, il fatto che occorra affrontare con serietà la questione dell’introduzione dei metodi privatistici nella gestione del personale e, in secondo luogo, come avvenga la misurazione dei risultati.

Infatti
“la presenza estesa di ruoli tradizionali e molti diversi tra loro, come insegnanti, vigili, costituisce una grossa difficoltà ai fini della definizione degli standards quantitativi di valutazione e incentivazione comuni a tutti i dipendenti”.

 

Inoltre,
“anche gli incentivi correlati al merito, che avrebbero potuto essere considerati come un’alternativa agli incentivi di produttività perché più compatibili, quando applicati a queste occupazioni, non hanno avuto successo. Anche a livello internazionale non è stato ancora pienamente dimostrato nella realtà operativa che la misurazione e il riconoscimento del merito abbiano migliorato le prestazioni. In alcuni casi la misurazione ha prodotto effetti contrari deteriorando il clima di lavoro nelle amministrazioni locali . Ad esempio, la retribuzione correlata al merito per gli insegnanti, secondo ricerche condotte negli Stati Uniti, incontra delle difficoltà e richiede da parte dell’amministrazione il controllo dei metodi e dei criteri di misurazione. Gli insegnanti ritengono che i premi correlati al merito siano indipendenti dalla valutazione dell’insegnamento e quindi la misurazione spesso avviene su quelle attività che non riguardano l’interazione insegnante- studente.
In conclusione, “in assenza di standard qualitativi consolidati, o criteri di tipo qualitativo accettati dalla cultura interna, che garantiscano un’equità nella valutazione dei singoli individui, e un assenza di una figura dirigenziale riconosciuta preposta alla gestione del processo, qualsiasi tipo di selezione o premio potrebbe essere percepita come atto discriminatorio ed essere causa di conflitto”.

 

Cosi parla l’Aran nei Consessi culturali. Vedremo come parlerà nei luoghi politici .

 

Renza Bertuzzi.

Da “ Professione docente”, settembre 2000


* Carlo Dell'Aringa non ricopre più la carica di presidente dell'ARAN.