Il buon maestro è severo.
Giuseppe Porro, Stefano M. Iacusda
La Voce del
13/9/2007
Insegnanti più esigenti
ottengono dai propri studenti risultati mediamente migliori. Lo
confermano anche analisi empiriche: gli apprendimenti medi nelle
classi dove vengono applicati criteri più rigidi superano anche del 20
per cento i valori registrati laddove gli standard di valutazione sono
piuttosto generosi. E basta guardare alla poco confortante dinamica
della produttività del lavoro per convincersi dell'urgenza di
reintrodurre, a scuola come nel mercato del lavoro, processi di
valutazione fondati sul merito e sull'effettiva competenza.
Una scuola allo
sbando? Il tema, sempre caldo, ha trovato nuovi spunti nei giornali
estivi: questa volta ad arricchire la letteratura sull'istituzione in
declino ci hanno pensato i genitori. Pare infatti, che siano in
preoccupante aumento i casi di famiglie che, a fronte di un
insuccesso scolastico dei figli, presentano lettere di protesta
agli istituti e al ministro competente, ricorrono al Tar o più
semplicemente trasferiscono il figliolo a un istituto "più adeguato".
E sembra che si tratti, spesso, solo di ragazzi che hanno maturato un
debito o ottenuto un'insufficienza di troppo rispetto alle attese
proprie o della famiglia. (1)
Voti e
apprendimento
Ma qual è la
relazione tra la severità che i docenti mostrano e l'effettivo
apprendimento degli studenti? È giusto, in altri termini,
preoccuparsi che i sonni dei ragazzi non vengano turbati da
insufficienze, debiti formativi, esami di riparazione (che pare il
ministro Fioroni voglia reintrodurre), e che non vengano scoraggiati,
nel percorso di apprendimento, dall'evidenza di un risultato
insufficiente o scarso?
La relazione tra votazione scolastica e apprendimento non ha un
andamento scontato: inasprire i criteri di valutazione ha, per un
verso, l'effetto di incentivare gli studenti a impegnarsi di
più, facendo crescere, in tal modo, i livelli di apprendimento. Per
altro verso, criteri di valutazione troppo severi scoraggiano
gli studenti: se occorre un impegno troppo grande per ottenere la
sufficienza o un buon voto, è verosimile che rinuncino a impegnarsi,
ritenendo l'obiettivo non raggiungibile.
Il problema, allora, è empirico: gli standard di valutazione adottati
dagli insegnanti sono un utile incentivo (nel senso che un loro
innalzamento produce maggiore impegno e maggiore apprendimento) o sono
troppo severi (e quindi scoraggiano gli studenti, deprimendo i livelli
medi di apprendimento)?
Non molti studi sono stati condotti su questo tema. I lavori
pubblicati, tuttavia, sono concordi nel ritenere che, nella generalità
dei casi, criteri di valutazione più severi favoriscano, in
media, l'apprendimento degli studenti e che, di converso, assegnare
voti più alti per lo stesso livello di apprendimento (il cosiddetto
fenomeno di grade inflation, registrato in molte istituzioni
scolastiche e universitarie) abbia l'effetto di deprimere il grado di
conoscenza medio degli studenti. Per tutti, si vedano Betts e Grogger,
Bonesronning, Figlio e Lucas, che analizzano casi statunitensi o
scandinavi. (2) Naturalmente, il costo della maggiore severità
è spesso un aumento degli abbandoni scolastici, e questi
effetti negativi sono maggiormente avvertiti dalle frange marginali
della popolazione studentesca: i più poveri, le minoranze. (3)
I dati
dell’Italia
E per quanto
riguarda l'Italia?
Anche qui, gli studi scarseggiano: a parte i risultati dell'indagine
Pisa (4), che non ci consentono però di esaminare il nesso tra
il comportamento del singolo insegnante e l'apprendimento effettivo
dei suoi studenti, possiamo ricorrere, per farci un'idea, a
un'indagine condotta negli anni 2003-2005 da Irer e Irre Lombardia
su un campione di 77 classi di scuole medie inferiori della
Regione. (5) L'indagine ha, tra l'altro, il vantaggio di
riguardare la scuola dell'obbligo, nella quale il fenomeno degli
abbandoni e dei trasferimenti dovrebbe essere più ridotto rispetto
alla scuola superiore.
Le tavole mostrano la relazione tra la valutazione scolastica e
l'apprendimento in
italiano
e
matematica
registrata nel 2005 nelle 77 classi oggetto dell'indagine. Sull'asse
orizzontale viene riportato l'indicatore di apprendimento e sull'asse
verticale il giudizio scolastico. Una interpolazione non parametrica
della relazione tra giudizi e apprendimento (linea rossa) mostra come
non sia facile decifrare dai dati se l'insegnante sia più o meno
severo: ci sono insegnanti che premiano le eccellenze, altri che
premiano la medietas, altri ancora che non fanno uso di tutta
la gamma dei giudizi disponibile, e così via. Quindi, osservando la
relazione tra giudizi e apprendimento, non si può stilare una
classifica di severità degli insegnanti, e si potrebbe persino
sostenere che i criteri di valutazione siano, talora, difficilmente
razionalizzabili. D'altro canto, il voto è notoriamente uno
strumento strategico nelle mani dell'insegnante, che serve a
incoraggiare, a incentivare, a punire, ed è quindi arduo ricostruire
da una "foto" scattata al termine del primo quadrimestre di terza
media un complesso di fenomeni e di rapporti per loro natura dinamici,
che si dipanano nel corso di uno o più anni di scuola.
È però possibile, con semplici tecniche di cluster analysis,
costruire una tipologia di comportamenti, raccogliendo gli
insegnanti che hanno maggiore tendenza alla severità e quelli che
mostrano maggiori segni di generosità nelle valutazioni: se ne può
così studiare l'impatto sull'apprendimento degli studenti. L'analisi
che è stata condotta, cui rimandiamo per ulteriori dettagli, mostra
con una certa chiarezza che anche per gli studenti italiani vale
quanto indicato dagli studi prima menzionati: insegnanti più severi
ottengono dai propri studenti risultati mediamente migliori in
termini di apprendimento effettivo. Nel processo di apprendimento
conta non poco anche il background familiare, qualche volta il
percorso scolastico o il genere dello studente, ma l'effetto del
criterio di giudizio dell'insegnante sembra inequivoco e anche
rilevante: si nota infatti che gli apprendimenti medi nelle classi
dove vengono applicati criteri di una qualche rigidità superano anche
del 20 per cento i valori registrati nelle classi in cui gli
standard di valutazione sono piuttosto generosi.
Pensando anche al
mercato del lavoro
Chi crede nelle
virtù del mercato, dovrebbe quindi temere una scuola troppo
indulgente, che finisce per mandare giovani poco attrezzati su un
mercato del lavoro meno incline di quanto non sia l’istituzione
scolastica a cedere alle sollecitazioni delle famiglie.
Che cosa dunque induce le famiglie a preferire una scuola
"facile"? Forse la convinzione che il mercato del lavoro non premi
il merito e la competenza e che il compito della scuola sia ridotto a
poco più della elargizione di un diploma? Come dar loro tutti i torti?
Anche l'ultima indagine Unioncamere - ministero del Lavoro suggerisce
che per trovare lavoro in Italia contano ancora, nella larga
maggioranza dei casi, "conoscenza diretta del candidato" e
"segnalazioni".
Ma, anche se i timori delle famiglie fossero fondati, basterebbe
guardare alla poco confortante dinamica della produttività del
lavoro per convincersi dell'urgenza di reintrodurre, tanto nella
scuola quanto nel mercato del lavoro, processi di valutazione fondati
sul merito e sull'effettiva competenza. La ripresa economica,
forse, passa anche attraverso qualche insufficienza scolastica in più.
Con buona pace dei genitori ansiosi.
(1) Vedi
Il Corriere della Sera del 6 agosto 2007 nella Cronaca
milanese
(2) I
riferimenti sono a Betts J.R. e Grogger J. (2003), "The impact of
grading standards on student achievement, educational attainment, and
entry-level earnings", Economics of Education Review, 22,
343-352. Bonesronning H. (2004), "Do the teachers’ grading practices
affect student achievement?", Education Economics, 12, 151-167.
Figlio D.N. e Lucas M.E. (2004), "Do high grading standards affect
student performance?" Journal of Public Economics, 88,
1815-1834.
(3) Lillard
D.R. e DeCicca P.P. (2001), "Higher standards, more dropouts? Evidence
within and across time", Economics of Education Review, 20,
459-473.
(4) Si tratta
del Programme for International Student Assessment sulle
competenze dei quindicenni, condotto sotto la supervisione dell'Oecd.
(5) Vedi la
ricerca "Risultati scolastici, percezioni delle competenze e decisioni
di investimento in capitale umano", patrocinata da Invalsi e
realizzata da Irer, Irre Lombardia e Università di Milano.
Rapporto_ita.pdf
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Rapporto_mat.pdf
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Score_ita_giudizi.pdf
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Score_mat_giudizi.pdf
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