Burnout in cattedra.

Quando pensiamo agli insegnanti siamo tutti tentati di dare ascolto

ai luoghi comuni sulla professione: orario breve, tempo libero a disposizione,

lunghi periodi di vacanza, stipendio tutto sommato adeguato…

di Agnese Bertello, “Yourself”, n.6, giugno 2005,
da Orizzonte scuola del 29 giugno 2005

 

Insomma, una situazione invidiabile. In realtà, i più, dell'universo scuola conservano ricordi personali datati, e che cosa significhi davvero stare in classe oggi, tra riforme continue calate dall'alto, studenti immigrati, nuove tecnologie, disabili, tagli a risorse e personale, cercando di stare al passo con i cambiamenti tumultuosi del nostro tempo, ci è difficile intuirlo. A fotografare finalmente la realtà concreta degli insegnanti è uno studio condotto tra gli insegnanti della provincia di Milano, e questo studio, "Golgota" ci dice esattamente il contrario delle verità stereotipate che abbiamo in mente: gli insegnanti - quelli italiani, ma il fenomeno è noto in tutto il mondo sviluppato - non ce la fanno più.

Dallo studio, realizzato da Vittorio Lodolo D'Oria, medico INPDAP, insieme ad altri studiosi e psichiatri, sappiamo ora cosa significhi - e quali conseguenze ha sulla salute psicofisica - confrontarsi quotidianamente con una classe di adolescenti moderni, con i loro genitori, i colleghi e i presidi, in un lavoro che è soprattutto un tessere relazioni. Lavorando all'interno della commissione della Asl della Provincia di Milano che esamina le domande di inabilità al lavoro dei dipendenti pubblici, Lodolo ha avuto modo di raccogliere le storie di tutti quegli insegnanti che desideravano smettere almeno temporaneamente di insegnare.

Pubblicato su riviste scientifiche come "Medicina Sociale" e "Medicina del Lavoro", la ricerca dà risultati difficilmente equivocabili: su 3447 domande analizzate in 12 anni, 774 erano di insegnanti e il 49,8% di queste era per motivazioni psichiatriche: dalla depressione fino alla schizofrenia. "Queste malattie non sono che la punta dell'iceberg", sostiene Lodolo D'Oria, "sindromi che magari erano latenti, ma che un contesto di un certo tipo, una situazione stressante prolungata ha fatto esplodere. Quello che mi preoccupa è ciò che c'è sotto."

Sotto c'è la sindrome da burnout: stress prolungato, disinteresse verso il lavoro, apatia, difficoltà nelle relazioni con i colleghi, perdita di autocontrollo, incapacità di staccare la spina, sentimento di profonda frustrazione.
Sociologi, psicologi, psichiatri, esperti come Tullio De Mauro, che ha firmato la prefazione al libro di Lodolo D'Oria, "Scuola di follia", da pochi giorni in libreria, si interrogano oggi sulle cause strutturali e sugli interventi necessari per cercare di invertire la tendenza. Al di là di fattori personali, di situazioni drammatiche contigenti - un lutto, un divorzio - che certamente influiscono, ciò che è in causa è l'identità professionale dell'insegnante. Un corpo che non riesce più a far fronte alle mille pressioni che vengono dall'esterno, alle nuove richieste educative - educazione stradale, sessuale, ecologica, alla legalità -, ai cambiamenti velocissimi che i ragazzi recepiscono senza battere ciglio e che a loro costano fatica; una classe che non vede riconosciuti all'esterno i suoi sforzi e la sua capacità, che non si sente compresa né considerata, come racconta Augusto Iossa Fasano, psichiatra coautore del libro e membro della commissione esaminatrice della Asl della Provincia di Milano, e come drammaticamente testimoniano le storie che abbiamo raccolto.

 

Intervista Augusto Iossa Fasano, psichiatra

Il libro "Scuola di follia" uscito in questi giorni, di cui lei è coautore, esamina casi di insegnanti che soffrono di malattie psichiatriche sviluppatesi all'interno della scuola…
Il libro si concentra su situazioni limite e lo studio "Golgota", da cui il libro prende il via, ha riguardato molti soggetti, circa 3400 in 12 anni, ciascuno con un suo percorso di vita. Quello che possiamo dire è che all'interno della scuola ci sono situazioni di tensione estrema. Abbiamo descritto situazioni di paranoia e schizofrenia, disturbi di personalità, disturbi bipolari, con fasi depressive o maniacali. Ci sono nevrosi, con attacchi di panico, disturbi ossessivo-compulsivi, fobie. Queste sono vere e proprie malattie psichiatriche, ma c'è tutto uno spettro di disagio intermedio degli insegnanti che invece possiamo a ragione definire burnout; disagio a cui, almeno fino ad oggi, si è risposto in maniera inadeguata.

Quali sono gli elementi specifici della professione che possono provocare burnout?

Il burnout degli insegnanti viene paragonato al burnout delle altre helping profession, professioni d'aiuto. Statisticamente sappiamo che alcune categorie di lavoratori sono esposte più di altre al rischio di burnout. Questo fenomeno insorge quando c'è un contatto diretto e costante o prolungato di un lavoratore con aspetti simbolici molto forti, come la sofferenza mentale, la morte. Stare su questa soglia è una sollecitazione intensa e richiederebbe di essere processata, analizzata nei suoi componenti, altrimenti l'impatto sul soggetto dal punto di vista umano è troppo forte per essere sostenuto. A rischio quindi sono psichiatri, anestesisti, educatori, infermieri che lavorano con i malati terminali… Per gli insegnanti, la materia da trattare è altrettanto esplosiva: hanno a che fare con le forze vitali di bambini e adolescenti e devono gestire le cariche distruttive e libidiche che da questi soggetti vengono.

 

Alcuni sociologi sottolineano l'importanza del fattore personale e propongono oggi una selezione più dura all'inizio della carriera, che valuti attentamente le motivazioni… che cosa ne pensa?

Una selezione più attenta è certamente necessaria, per più ragioni. Innanzitutto, perché la scelta di insegnare può essere fatta già sulla base di una serie di incertezze e demotivazioni, diventa cioè un tentativo di rispondere a un malessere personale, esistenziale. In secondo luogo, la necessità di una selezione sta nella consapevolezza che le risorse umane sono importanti. Ed è proprio la mancanza di considerazione una delle prime cause di burnout per gli insegnanti.

 

Insomma, l'insegnante rischia di esaurirsi quando non vede riconosciute né le sue capacità, né il suo impegno, né gli sforzi profusi…

Certo. Questo demotiva molto. L'insegnante oggi all'interno della scuola non viene considerato come un soggetto vivo che interagisce e può strutturare un suo profilo professionale, un soggetto che può crescere. La scuola come istituzione vede l'insegnante come una figura inanimata: lo dimostra il fatto che non ci sia formazione permanente, che non ci sia la possibilità di un anno sabbatico, che non esistano percorsi di carriera…

 

Quali consigli si sente di dare a chi soffre di burnout?

Innanzitutto, bisogna dirla questa cosa, senza sentimenti di imbarazzo e senza allarmismi. Il burnout è un fenomeno gestibile, deve essere considerato in maniera individuale, scolastica, locale. E bisogna far crescere una cultura che faccia del burnout la consapevolezza di un limite. Poi direi di fare attenzione all'uso di psicofarmaci.

 

Cioè?

Alcuni dati ci dicono che il 27% degli insegnanti assume psicofarmaci. Da una parte può essere un fattore positivo: gli insegnanti che stanno male si curano. Ma il problema è che manca in Italia una cultura psicoterapeutica profonda e il farmaco viene dato in maniera selvaggia, quando non è autosomministrato: questo può essere pericoloso.

 

 

TESTIMONIANZA 1
Anna Di Gennaro, 52 anni insegnante elementare, Milano
(battute 1271)

Avevo 24 quando sono giunta in quella che sarebbe stata la mia scuola, e la mia grande famiglia, per altri 5 lustri. La scuola funzionava a meraviglia attirando allievi da tutta la città.

Quando il nostro direttore se ne andò, gli eventi presero a precipitare. Prima l'inserimento di un bambino down e di un ipercinetico, poi un'altra bambina con un ritardo mentale notevolissimo e infine l'inserimento di due bimbi rom, e la conflittualità con la mia collega ridussero a zero le mie - notevoli - riserve di energia e di passione per il mio lavoro.

Assumevo ormai da mesi Voltaren retard, per una protusione alla schiena, ma il farmaco funzionava come droga quotidiana; credevo di avere l'Alzheimer, non so più per quale sintomo. Temevo il peggio anche in automobile per gli attacchi di panico improvvisi. Non dormivo quasi più, volevo nascondermi e desideravo la solitudine più di ogni altra cosa.

Nel 2003 finalmente mi decisi a parlarne in Provveditorato. Feci due visite collegiali e sentii parlare di burnout e scoprii di non essere l'unica. Mi diagnosticarono una depressione e scelsi di andare in pensione. Oggi, collaborando con testate on line, cerco di diffondere il più possibile la mia esperienza e le conoscenze che ho accumulato su questo tema, e sono rinata.

 

TESTIMONIANZA 2
Roberta Andreetti, XX anni, insegnante istituto tecnico, Milano
(battute 1038)

Insegno matematica, lavoro da più di vent'anni a Corsico, in provincia di Milano, in un istituto onnicomprensivo.

La nostra è sicuramente una periferia a rischio: le famiglie sono disgregate, e a scuola arrivano spesso casi davvero difficili. Situazioni di questo tipo non possono non generare ansia e stress. Avremmo bisogno della presenza nella scuola di uno psicologo, che ci consigliasse come comportarci, perché di fronte ai problemi di certi ragazzi, ti senti assolutamente incompetente, non sai come reagire e hai paura di fare altri danni.

Reagisco, ma le cose mi restano dentro, non riesco a staccare, mi porto tutto a casa e poi magari in un momento complessivamente sereno, ho delle ricadute fortissime.

Pochi si rendono conto di che cosa vuol dire oggi stare in classe. Noi facciamo le mamme, le psicologhe, le educatrici sociali, i guardiani del cortile e occasionalmente insegniamo anche qualcosa di matematica o lettere o economia. È come se tutta questa parte del nostro lavoro rimanesse sempre sommerso, non considerato.

 

I DATI DELLO STUDIO GOLGOTA
(battute 1187)

Lo studio Golgota ha analizzato 3447 domande di inabilità al lavoro presentate dai dipendenti pubblici della Provincia di Milano nell'arco di 12 anni, dal 1992 al 2003.
Di questi, 774 erano insegnanti, 651 erano impiegati, 1.556 operatori manuali, 466 operatori sanitari.

Tra gli insegnanti, il 49,8% ha presentato domanda di inabilità per ragioni di tipo psichiatrico, contro il 23,9% delle altre categorie: gli insegnanti hanno dunque, secondo lo studio, il doppio delle possibilità di sviluppare malattie psichiatriche. Il 49,7% di queste domande era presentato da donne, mentre il 50,3% da uomini. L'età media è di 50 anni. Indifferente pare essere il tipo di scuola presso cui l'insegnante opera.

La commissione esaminatrice, di cui in questi casi fa sempre parte uno psichiatra, ha valutato non idonei al lavoro di insegnante l'80,8% dei casi esaminati, mentre ha riconosciuto il 9,9% "assolutamente e permanentemente inabile a qualunque tipo di lavoro proficuo".

A preoccupare è anche il trend di crescita di questi dati: nell'ultimo triennio le domande di inabilità al lavoro per ragioni psichiatriche tra gli insegnanti rappresentano il 56,9%, contro il 44,5% del primo triennio.