Il Disagio Mentale Professionale a scuola: distribuzione, protagonisti e dinamiche a cura di Vittorio Lodolo D’Oria, da burnout.blogscuola.it 20.10.2009
Introduzione
Mappatura del fenomeno Per una migliore comprensione del fenomeno può essere d’aiuto rappresentare i docenti, suddivisi in base alle loro condizioni di salute psicofisica, distribuiti in tre strati di un’ipotetica piramide. 1. L’apice: composto da coloro che sono oramai vittime di una psicopatologia franca. Si dovrà pensare, insieme al mondo medico-scientifico, ad individuarli, agganciarli e curarli, affinché non arrechino danni a se stessi e all’utenza. L’intervento, ad opera di personale specializzato, deve tendere a perseguire la guarigione dell’individuo, con l’obiettivo finale di favorirne il reinserimento lavorativo e sociale. 2. Lo strato intermedio: popolato da coloro che sono in una situazione di burnout. Deve essere messo a punto quello che gli anglosassoni chiamano social support; che si traduce nella creazione di strutture di ascolto, informazione, condivisione, counselling e – all’occorrenza – sostegno psicologico. L’obiettivo delle suddette iniziative consiste nell’evitare all’insegnante in difficoltà quei sentimenti di vergogna ed isolamento, tipici dell’individuo che si trova ad attraversare questa fase transitoria. Intervenire per tempo è fondamentale poiché la situazione, anziché regredire, può evolvere verso la patologia psichiatrica con la perdita delle capacità di critica e giudizio e la conseguente espulsione sociale (spesso scambiata per mobbing dall’interessato). 3. La base: vi si trovano coloro che sono in buona salute. Ci si deve occupare di preservare la loro condizione che è potenzialmente a rischio di logoramento psicofisico. Formare gli insegnanti in modo completo, senza tralasciare di metterli in guardia sugli effetti usuranti della loro professione, diviene perciò una tappa cruciale per un’oculata attività di prevenzione da parte dei dirigenti scolastici. Occorre inoltre abituare i docenti a gestire le proprie energie, non smarrire nel tempo la capacità di auto-valutare le proprie condizioni psicofisiche, monitorare sistematicamente lo stato di salute e soprattutto non scordarsi di fare ricorso a buone dosi di autoironia durante il lavoro scolastico. Diviene infine fondamentale un coinvolgimento dei mass-media per cercare quantomeno di ridurre i dannosi stereotipi sulla professione insegnante e restituire dignità alla funzione sociale dell’intera categoria.
La psicopatologia e le sue manifestazioni: osservazione sinottica di casi reali A tuttoggi sono migliaia le pubblicazioni internazionali che parlano di burnout a carico degli insegnanti mentre vi è una sola pubblicazione medico-scientifica (quella recente de La Medicina del Lavoro) che ipotizza la diretta correlazione tra professione docente e rischio psichiatrico. Per questa ragione, abbiamo voluto concentrare l’attenzione su casi clinici accertati per meglio comprendere i comportamenti del professionista in fase avanzata di disagio e le conseguenti dinamiche relazionali in ambito scolastico. Per riuscire nell’intento sono stati attentamente osservati e confrontati trenta casi d’insegnanti affetti da psicopatologia franca diagnosticata dal Collegio Medico per l’Inabilità al Lavoro. La lettura sinottica dei casi in oggetto ha consentito di riconoscere la ripetitività di atteggiamenti, segni e sintomi nelle diverse storie, individuando così peculiarità patognomoniche del disagio emesse dal docente nello svolgimento della professione. Si è inoltre provveduto ad esporre alcune sintetiche riflessioni sui ruoli chiave giocati dal dirigente scolastico e dal Collegio Medico.
Di seguito gli spunti emersi dalla rilevazione dei 30 casi osservati: Dati anagrafico-clinici 1. Sesso: 22 donne e 8 uomini. 2. Età media: 45 anni. 3. Livello scolastico di insegnamento: 12 maestre elementari, 8 insegnanti della scuola media, 10 delle superiori. 4. Patologie osservate: sono per 1/3 psicosi, 1/3 disturbi di personalità, 1/3 disturbi d’ansia e disturbi dell’umore. 5. Life-events extra-professionali: solo in 1/3 dei casi sono riportati eventi significativi legati alla vita privata che possono aver influito sull’equilibrio psicofisico della persona. Ciò può significare sia che la raccolta anamnestica effettuata dal Collegio Medico non è stata puntuale, sia che non vi erano effettivamente episodi degni di rilievo. 6. Anzianità di servizio: nella quasi totalità dei casi – inclusi dunque gran parte dei disturbi primitivi dove la familiarità gioca un ruolo importante – l’anzianità di servizio è superiore ai 20 anni, quasi a testimoniare lo stretto legame tra usura psicofisica e insegnamento. 7. Durata dei casi: mediamente trascorrono 7 anni dall’esordio dei primi sintomi/segni di malattia fino ad arrivare al provvedimento definitivo. Il protrarsi di queste vicende testimonia l’ignoranza di tutti gli attori sulla via da percorrere per tutelare insegnanti e utenza; in particolare la più disdegnata è sempre la cosiddetta “via medica”, preludio all’uscita dal giro e presupposto per intraprendere un adeguato trattamento terapeutico.
Dinamiche relazionali 1. Dirigenti Scolastici: talvolta chiedono aiuto per risolvere le situazioni complesse a chi non ne può dare (gli ex-Provveditorati, oggi CSA), talaltra s’improvvisano psichiatri formulando ipotesi diagnostiche – peraltro esatte in alcuni casi – in altre circostanze assumono atteggiamenti pilateschi; in tutte le altre assumono il ruolo di detective ricorrendo a mezzi illeciti – seppure efficaci – come la registrazione di colloqui. Ancora più spesso non sanno cosa fare e “incentivano” il docente a mettersi in ferie o in aspettativa. Due dirigenti scolastici sono stati sanzionati dal Provveditorato per “imperizia” nella gestione dei casi ritenuti “di loro competenza”. Altri due hanno vivamente “consigliato” al docente in difficoltà – atto estremamente deleterio – di richiedere un trasferimento presso altra sede. Uno soltanto si è arrischiato – senza alcun esito – a contattare il medico curante ed il neuropsichiatra del soggetto. 2. Studenti: in 1/3 dei casi alternano perplessità e rabbia di fronte al docente disorientato. Nei 3/4 dei casi riguardanti le classi elementari, gli alunni hanno manifestato sentimenti di paura o terrore. In un caso si è addirittura avuto un episodio di “pianto collettivo”. 3. Genitori: confliggono direttamente con l’insegnante. In seconda battuta si appellano al dirigente minacciandolo del possibile ritiro dei figli dalla scuola: in 1/3 dei casi i genitori hanno allontanato i ragazzi dalla classe dove insegnava il docente in difficoltà. Se quanto sopra non dovesse bastare ci si rivolge all’avvocato – spesso un genitore – e alla stampa locale. Ai genitori è del tutto sconosciuta la cosiddetta “via medica”. 4. Rapporti tra colleghi insegnanti: nei 2/3 dei casi si hanno rapporti conflittuali col docente in difficoltà. Nei restanti casi non si rilevano elementi di contrasto solo perché si tratta di insegnanti che assumono atteggiamento evitante ed apatico, accumulando assenze e attuando fughe dalla scuola o dalla classe durante le lezioni. Si registra invece un solo caso di supporto da parte dei colleghi in quanto la docente è attentamente seguita da un centro specialistico. 5. Incolumità studenti: in 1/3 dei casi è stato segnalato il rischio incolumità per l’utenza da parte degli stessi Dirigenti e dagli Ispettori Tecnici.
Segni e sintomi 1. Aggressività: è presente nella metà dei casi verso colleghi, studenti, genitori e dirigente. 2. Mania di persecuzione: è presente in metà dei casi. 3. Altri atteggiamenti rivelatori di disagio: assenze, fughe, evitamento, apatia, nonché calo di rendimento e incapacità a gestire la routine quotidiana sono presenti in quasi la metà dei casi. 4. Trasferimenti: più della metà dei casi risulta essere stata trasferita più volte. Si preferisce sistemare la faccenda allontanando il malcapitato, indirizzandolo verso un altro istituto anziché affrontare definitivamente la questione. Inutile dire che la storia si ripete – aggravata – nella nuova destinazione, fin quando non accade uno spiacevole episodio solitamente più grave dei precedenti. 5. Assenze: in più della metà dei casi si ha un alto numero di assenze – talvolta addirittura non giustificate – con una frequenza crescente, per numero e quantità, con l’aggravarsi del quadro psicopatologico del soggetto. 6. Atteggiamento verso studenti disabili: nei casi dove è presente un alunno/studente portatore di handicap, si è potuto verificare l’accanimento del docente in difficoltà sullo stesso (vedi nel testo la spiegazione psicanalitica). Nonostante ciò, alcuni insegnanti ammalati sono stati ricollocati dai dirigenti scolastici proprio nelle attività di sostegno ad alunni disabili. 7. Terapie: solo 1/8 dei docenti risulta essere sottoposto a una qualche terapia analitica o farmacologica. Ciò sta a significare la frequente misconoscenza dell’interessato della propria condizione di “ammalato”. 8. Notifica atti: in 1/6 dei casi, per assenza di recapito fisso o per opposizione dell’insegnante è stato impossibile notificare il provvedimento disciplinare assunto dal dirigente scolastico. 9. “Detonatori”: in 4 casi la settimana di gita scolastica – denominata Scuola Natura – si è rilevato l’elemento scatenante (trigger) dell’episodio psicotico-delirante.
Statistiche e annotazioni 1. Provvedimenti assunti dal Collegio Medico: solo in 1/3 dei casi appare appropriato a fronte della diagnosi. Sotto il profilo di tutela del docente stesso e dell’utenza, solleva forti perplessità nei restanti 2/3 in considerazione degli eventi occorsi. 2. Richiesta della visita per l’inabilità al lavoro per causa di salute: solo in 1/5 dei casi l’insegnante ha richiesto spontaneamente di essere sottoposto a visita. In tutti gli altri casi la richiesta è stata inoltrata dall’amministrazione scolastica. Ciò significa che non si tratta di simulazioni ma, soprattutto, che obiettività e senso critico dell’individuo sono in gran parte compromessi già al momento della visita. La persona in difficoltà ha perso la capacità di giudizio rispetto al proprio disagio, reagendo il più delle volte con la negazione della patologia ed accusando il prossimo di “avercela con lei”. Questo dato rivela come l’intervento sia oramai tardivo e destinato quasi sempre all’insuccesso. In assenza di adeguati strumenti istituzionali, per intercettare precocemente il disagio professionale tra i docenti, il Collegio Medico per l’Inabilità al Lavoro rappresenta l’unico – ma insufficiente – baluardo atto ad evitare situazioni spiacevoli barattandole con un “male minore” quale l’esclusione dell’inse-gnante dal mondo del lavoro. 3. “Dirigenti scolastici psichiatri”: in 1/4 dei casi i Dirigenti scolastici hanno posto vere e proprie diagnosi psichiatriche non di loro competenza. Anche un Ispettore Tecnico ha assunto il medesimo comportamento in una circostanza. 4. “Processi di piazza”: nei casi di sospensione dall’insegnamento, il docente è stato – secondo prassi – sottoposto a giudizio in Collegio Docenti. Tale procedura è fortemente lesiva di ciò che rimane dell’equilibrio psicofisico dell’ammalato ed equivale a condannarlo definitivamente e senza appello all’espulsione dalla scuola nonché all’isolamento sociale. 5. Biblioteca: frequentemente i docenti ritenuti inidonei all’insegnamento sono stati riutilizzati come bibliotecari. In un solo caso, chi già lavorava in biblioteca è stato ritenuto totalmente inabile a qualsiasi lavoro. A tal proposito si ricorda che l’utilizzo in mansioni amministrative, tutt’altro che conveniente per il docente, comporta, per il medesimo, la presenza obbligatoria in istituto per tutte le 36 ore contrattuali.
Interventi esterni 1. Medici di parte: il Collegio Medico si è imbattuto in 3 casi di medici di parte compiacenti che hanno certificato l’assoluta integrità psicofisica del loro assistito – che era al contrario gravemente affetto da una psicopatologia – rilasciando altresì certificazioni scritte. 2. Mass-media: in 3 casi, nei quali sono stati coinvolti gli organi d’informazione, le procedure burocratiche hanno subito un’improvvisa accelerazione per l’invio in Collegio Medico. 3. Parti sociali: nell’unico caso nel quale il sindacato è risultato essere contattato dal Dirigente scolastico per un suggerimento, si è avuta un’onesta dichiarazione d’incompetenza, dopo aver esperito alcuni lodevoli ma vani tentativi di mediazione.
Osservazioni sulla gestione del disagio mentale da parte dei Dirigenti Scolastici Tra le sempre più numerose competenze del dirigente c’è anche quella che riguarda la gestione delle risorse umane. Spetta anche questo ad un vero manager ma non sempre gli strumenti a loro disposizione sono sufficienti e soprattutto adeguati. Procedendo per ordine, potremo dapprima constatare che i dirigenti, di fronte ad un caso di disagio mentale, ricorrono a soluzioni per lo più improprie. Si passa dalla notifica di sanzioni ai conflitti personali, dai trasferimenti per incompatibilità ambientale alla sospensione dall’insegnamento; e ancora, dai catastrofici processi di piazza in collegio docenti agli incontri-scontri coi genitori, dalle registrazioni di colloqui privati alla formulazione di inopinate diagnosi mediche a rischio di ritorsioni legali. Più spesso si preferisce blindare all’interno di una barriera di protezione il docente in difficoltà confinandolo in biblioteca, oppure si “getta la spugna” chiedendo l’intervento dell’ispettore tecnico ministeriale che – a sua volta – non dispone di mezzi migliori. Da ultima, ma con ingiustificata riluttanza, viene presa in considerazione la possibilità di inviare la persona a visita presso il Collegio Medico della competente CMV, per stabilirne l’idoneità psicofisica al lavoro. Questo provvedimento è erroneamente ritenuto “punitivo” nei confronti del docente, poiché si teme di “sporcarne” lo stato di servizio. In realtà il danno viene perpetrato sia ai danni del docente sia dell’utenza, nel momento in cui si perde del tempo prezioso con i succitati provvedimenti impropri. Molto in voga sono i trasferimenti “per incompatibilità ambientale” presso altre sedi scolastiche, il cui unico esito consiste nel ritardare l’intervento medico che può facilitare l’avvicinamento dell’ammalato a chi, comprendendo il vero dramma, è in grado di porre una diagnosi e impostare la conseguente terapia. Cosa può dunque fare un dirigente scolastico? Molto. Innanzitutto dev’essere consapevole del rischio professionale di esaurimento psicofisico corso dai suoi docenti e delle sue manifestazioni, quindi deve fare in modo che essi stessi ne siano consapevoli, sappiano gestire oculatamente le energie a disposizione e arrivino, se necessario, ad effettuare un’autodiagnosi precoce, per essere in grado di richiedere per tempo un aiuto, non necessariamente medico. In seconda battuta ha il compito di monitorare – strettamente e con discrezione – il clima lavorativo, osservando attentamente i rapporti tra colleghi e con l’utenza, nonché le dinamiche ed i mutamenti degli stessi – soprattutto quelli repentini ed inspiegabili. Si deve poi adoperare per stabilire un buon clima di ascolto, e raggiungere un discreto livello di familiarità con i propri insegnanti, per avvicinare gli stessi più agevolmente nei momenti di crisi. Tuttavia, di fronte a un caso oramai patologico, dove l’attività di prevenzione e sostegno sono del tutto inutili poiché il soggetto ha smarrito la capacità critica e di giudizio – segno specifico della malattia – l’unica via per tentare “l’aggancio” della persona deve essere demandato, senza indugi, a medici specialisti. Purtroppo in queste situazioni l’unica strada da percorrere consiste nell’inviare il docente al competente Collegio Medico – con tutti i limiti analizzati nello specifico capitolo – non avendo le istituzioni scolastiche a disposizione, nemmeno a livello regionale o provinciale, un’apposita commissione di consulenti, per affrontare la grave problematica del disagio mentale dei docenti. Trattandosi dunque dell’unica carta a disposizione dei dirigenti per venire a capo di una situazione delicata, l’invio al Collegio Medico deve essere ben congegnato. La domanda, indirizzata alla Commissione per l’inabilità al lavoro (ora la competenza è passata alle Commissioni Mediche di Verifica note con la sigla CMV), dovrà essere corredata da una relazione contenente tutti gli elementi che presentino il caso in modo conciso, ma efficace, riportando altresì la situazione ed i relativi accadimenti, recenti e meno recenti.
Osservazioni sui provvedimenti assunti dal Collegio Medico
I casi analizzati sono certamente di
pertinenza specialistica e la loro prima difficoltà è rappresentata
dal cosiddetto “aggancio”. Occorre chiedersi chi abbia la facoltà,
oltreché il potere-dovere, di convincere le persone in evidente
stato di disagio mentale ad affidarsi alle cure dello specialista. A
meno di non dover ricorrere, per comprovata urgenza e in casi
estremi, al famigerato TSO (trattamento sanitario obbligatorio)
tenuto conto del rischio-incolumità corso dall’utenza. Nei casi di
psicopatia più avanzati, scattano immancabilmente meccanismi di
difesa dell’individuo; veri e propri automatismi rappresentati dalla
perdita delle capacità critica e di giudizio da cui discende, tra
l’altro, la negazione della patologia e la denuncia di mobbing.
1. stereotipi nei confronti degli
insegnanti – anche i sanitari ne sono vittima come tutta l’opinione
pubblica – e conseguente totale ignoranza dei medici sul rapporto
tra la professione docente ed il rischio di sviluppare
psicopatologie; Probabilmente la lista è incompleta ma è certamente sufficiente a far comprendere che diventa cruciale, per la risoluzione di un caso clinico complesso, la trasmissione di una documentazione sintetica ma completa da parte del dirigente scolastico al Collegio Medico.
Conclusioni
Sembrerebbe trattarsi di un
malaugurato incantesimo del ventesimo secolo, quello che impedisce
all’uomo e alla società di riconoscere l’immane dispendio di energia
psicofisica necessaria per adempiere al compito educativo, negando
dignità e prestigio a chi lo esercita. |