dalla Luna

 

Un’ombra lunga si staglia
dietro una visione di corto respiro.

 

Autonomia ai presidi, sgravi per le paritarie, centomila assunzioni, inglese alle elementari.

A chi appartiene la lunga ombra che ispira il ddl “buona scuola” licenziato giovedì scorso dal consiglio dei ministri? Se, aldilà degli slogan, si cercano le parole chiave della nuova idea di scuola, che tanto nuova a dire il vero non è, si individua chiaramente il “padre nobile” del progetto di riforma targato Renzi: DS manager, valutabili dal governo per il loro operato (per quanto tale materia sia demandata a un futuro ddl delega); organico funzionale di istituto dimensionato sull’offerta formativa triennale eliminando le “classi pollaio” anche con l’assunzione diretta dei docenti; l’auspicio di rito sulla lingua franca internazionale “che deve essere parlata in maniera perfetta”; qualche concessione alle discipline dello “spirito” arte e musica e qualche promessa a quelle della “vil materia” diritto ed economia; 800 milioni nel 2016 alle scuole private. Infine l’affondo sul corpaccione docente: il premio a 1 prof su 20 scelto dal manager scolastico.

In effetti quest’ultima pare l’unica vera novità di una riforma che ha un sapore già noto ed è difficile non riconoscere una sorta di vendetta governativa nei confronti di una categoria che osò mandare a monte il tentativo di introdurre una netta differenziazione di carriera fra i docenti; lo sappiamo, la vendetta è un piatto che va consumato freddo: l’ombra che ha ispirato tutto ciò pare allungarsi indietro di almeno 15 anni. Cari insegnanti, non avete voluto sottoporvi allora ad un concorso per verificare la vostra capacità di insegnare? Ben vi sta, ora verrete valutati dall’”allenatore della squadra” come viene indicato il DS con frusta metafora sportiva.

Per capire meglio quale sia la “musa ispiratrice” renziana, oltre le belle parole i tweet e gli sketch, è utile riassumere vent’anni di scuola per ognuno degli aspetti sopra indicati. Presidi manager: è di fine anni ‘90 l’introduzione dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e la trasformazione dei presidi in dirigenti scolastici, ma - mentre questi ultimi hanno avuto un notevole riconoscimento economico e ora gliene viene promesso ancora – la prima è rimasta impigliata fino ad ora nelle pastoie burocratiche romane con l’andirivieni di ministri e di norme contraddittorie; ebbene, si ha l’impressione che “sia la volta buona”,  per figure per le quali la definizione del sindaco d’Italia oscilla fra quella di allenatore e di “leader educativo”, come se fossero intercambiabili. Oltre ad assumere direttamente i supplenti, potranno scegliere autonomamente i collaboratori la cui nomina fino ad oggi doveva passare in qualche modo attraverso gli organi collegiali, avranno l’ultima parola sul superamento dell’anno di prova e sulla valutazione dei docenti “in carriera”. A mio parere l’aspetto peggiore della concentrazione dei poteri organizzativi, gestionali, didattici nelle mani del DS è la poca chiarezza del suo ruolo e quindi delle competenze professionali richieste per svolgerlo degnamente: l’impossibilità di riassumere in un’unica soggetto la decisionalità amministrativa, sempre più complessa dall’avvio dell’autonomia scolastica e la leadership educativa, sempre più ardua nell’epoca della conoscenza in rete, è ormai evidente, ed è preoccupante che un politico, che per altri versi si è dimostrato preparato, non se ne avveda.

Capitolo finanziamenti alle scuole private: anche in questo caso la legge sulla parità scolastica risale a 15 anni fa, e nel tempo è stata applicata con notevoli varianti da regione a regione. In ogni caso è sempre il “modello toscano” il punto di riferimento di questo sistema, mentre – a prescindere dal dibattito ideologico-politico – è rimasto irrisolto, anzi si è aggravato, il nodo dei diplomifici: è solo una distrazione?

La voglia di mettere mano al curricolo persiste, ma invece che partire dai bisogni formativi e culturali progettando quadri orari coerenti e robusti, si tenda di riparare alla meglio i danni del passato o si strizza l’occhio a mode più o meno passeggere, salvo poi cedere alle solite lobbies disciplinari. Ricordiamo a questo proposito la sperimentazione – partita anch’essa negli anni ‘90 - del liceo tecnico con l’obiettivo di medio termine di concludere il ciclo di studi secondari a 18 anni. Eppure non sarebbe difficile aggiustare qualcosa, dopo gli enormi danni creati in questo campo dalla riforma Gelmini, che quest’anno entra a regime con la “nuova” maturità. Sappiamo che a tal proposito l’unica cosa che ha saputo fare questo governo è stato di riconfermare in ritardo la vecchia struttura degli esami di stato, anche questi inaugurati a fine anni ’90.

Infine il capitolo assunzioni, a onor del vero una enorme gatta da pelare allevata dai governi precedenti, proprio quello sul quale c’è stato il parziale dietrofront del governo, dopo la grancassa mediatica di oltre un anno sulla buona scuola. Ecco che Renzi invita il Parlamento a non allungare i tempi di approvazione del disegno di legge; traduzione per i non addetti ai lavori: provate a migliorare il testo di riforma, se ci riuscite velocemente, io posso sempre porre il voto di fiducia al momento opportuno, per scaricarvi la responsabilità politica della mancata assunzione dei precari entro l’inizio del prossimo anno scolastico. Infatti è proprio su questo punto che il testo del ddl appare particolarmente debole, tanto da aver scatenato una nuova partita di caccia dell’Anief, sindacato che sente l’odore dei ricorsi dalle Alpi alle Piramidi.

Anche qui pare aleggiare, forse inconsapevolmente, l’ombra di quel ministro che aveva introdotto le Ssis senza pensare che una sospensione dei concorsi sine die avrebbe finito per far maturare ai precari di lungo corso il diritto all’assunzione definitiva, secondo la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea.

 

17 mar. 15     

  

Astolfo sulla Luna


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