dalla Luna

 

Il punto della situazione sulla “buona scuola”


A tre mesi dall’inizio dell’anno scolastico e a due dal lancio dell’operazione mediatica “buona scuola”, finalmente dal governo giungono notizie sull’esame di Stato 2015. Cerchiamo di esaminarle in breve. In coda un paio di considerazioni sulla recente sentenza della Corte di Giustizia UE.

Lo schema di regolamento per lo svolgimento della seconda prova scritta, divulgato ufficiosamente il 26 nov. scorso, recita: “Considerate, tuttavia, le ragioni d’urgenza dettate dall’interesse degli organi collegiali e dei futuri candidati .. si è ritenuto opportuno anticipare sin d’ora i principali contenuti”. E quali sono questi contenuti?
La circolare, a firma di Carmela Palumbo, vecchia conoscenza dalle nostre parti, “individua ed esplicita le materie caratterizzanti” ciascun indirizzo di studio previsto dalla “riforma” Gelmini. Nel far questo si sottolinea che è “la prima volta”, dimenticando che in realtà si tratta un atto dovuto, visto che appunto quest’anno la suddetta “riforma” entra a regime. Evidentemente, nonostante si rivolga ad articolazioni interne del ministero, Direttori di Uffici Scolastici Regionali, Dirigenti Scolastici e così via, il Direttore Generale per gli ordinamenti scolastici, Palumbo, scrive pensando al pubblico dei non addetti ai lavori, a meno che non ritenga che i destinatari della sua circolare siano all’oscuro di queste elementari nozioni.
La circolare contiene un passaggio apparentemente innocuo: “con riferimento alla scelta delle tipologie delle prove di verifica, le istituzioni scolastiche dovranno porre attenzione alle discipline di indirizzo e in particolare a quelle caratterizzanti che potranno essere oggetto della seconda prova scritta.” Potrebbe sembrare la sottolineatura di una prassi ormai invalsa da quindici anni, dato che risale all’introduzione dell’attuale Esame di Stato, ma così non è perché quel “potranno” lascia aperta l’ipotesi che la scelta di quale fra le discipline caratterizzanti rientri nella seconda prova sia di competenza delle singole scuole. Che tale ipotesi abbia una qualche consistenza oppure no, anche una bassa probabilità che si avveri implica un’imbarazzante situazione aleatoria per l’intera didattica della classe quinta, nonostante gran parte dei docenti nell’incertezza abbia avviato le ormai tradizionali simulazioni.
Arriva poi l’invito ad effettuare su tali discipline “anche verifiche scritte in coerenza con gli obiettivi di apprendimento delle indicazioni nazionali o – come nel caso degli istituti tecnici e professionali di cui personalmente mi occupo - delle linee guida”. Sebbene le suddette linee guida abbiano apportato qualche novità più o meno valida ai vecchi programmi ministeriali, vecchia resta – come avevo già avuto modo di osservare – la concezione generale del curricolo scolastico: si pretende dalla dozzina di insegnanti di una classe che lavorino in modo collegiale costringendoli però a seguire obiettivi calati dall’alto. Non si capisce che in questo modo viene minata la libertà di insegnamento, finora confinata alla scelta individuale delle metodologie didattiche. Se si vuole veramente favorire la condivisione di percorsi didattici interdisciplinari nelle classi, bisogna avere il coraggio di dare agli insegnanti libertà nella scelta degli obiettivi di apprendimento, cioè dei contenuti da insegnare.
Entrando poi nello specifico, la circolare segnala solo le novità principali sulle modalità di svolgimento della seconda prova. Per quanto riguarda gli istituti tecnici del settore economico si tratta di “Situazioni o casi specifici tratti dall’ambito economico-aziendale e richiede, oltre all’analisi, anche l’individuazione di scelte operative e la motivazione delle soluzioni adottate.” Ancora una volta, per gli addetti ai lavori non si tratta certo di novità. Per concludere, ecco l’unica vera novità degna di rilievo: “gli studenti potranno eventualmente avvalersi anche delle conoscenze e competenze maturate attraverso esperienze di ASL”. Peccato però di nuovo che la scelta di verbi, avverbi e congiunzioni – non escludendo ma nemmeno favorendo un approccio che finalmente valorizzi il saper fare – tradisce la cattiva coscienza dei decisori ministeriali i quali, mantenendo l’impianto della riforma voluta dall’indimenticata ministra dell’ultimo governo Berlusconi, continua ad ostacolare oggettivamente le esperienze di collaborazione col mondo del lavoro.
Un emendamento alla Legge di stabilità - approvato con tutto il provvedimento lunedì 2 dic. scorso alla Camera – stabilisce che “con decreto del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono disciplinati, con effetto dall’anno 2015, i nuovi criteri per le definizione della composizione delle commissioni d’esame delle scuole secondarie di secondo grado”. In pratica, la ministra Giannini entro febbraio porrà fine al tormentone commissari esterni/interni. Altri hanno commentato meglio di me l’aspetto finanziario della manovra, tesa a risparmiare pochi spiccioli a prezzo di un salto nel buio sul piano didattico, perciò può essere interessante tentare di capire quale sia la visione pedagogico/educativa sottostante: Elena Centemero, una dei tre forzisti proponenti, ha dichiarato “Sottrarre l'esame di maturità ad una componente di 'casualità' della composizione della commissione, consentendo la valutazione dell'intero percorso di studi dei ragazzi, di cui i docenti interni sono sicuramente a conoscenza, è un principio doveroso. Mi chiedo perché la professionalità e la serietà dei docenti commissari interni debba essere ritenuta inferiore a quella dei docenti commissari esterni”. La prof. Centemero insegna dai padri Dehoniani di Monza e ha collaborato all’istituzione dell’Università della Brianza, quindi è senz’altro un’addetta ai lavori; la sua dichiarazione, dal punto di vista di una scuola di tendenza, è perfettamente logica; par che stia dicendo: “il percorso educativo che le famiglie scelgono quando vengono da noi, non è valutabile da estranei”. Peccato che fra le scuole “paritarie” che rientrano nel sistema scolastico nazionale troviamo un numero crescente di diplomifici, che pubblicizzano sfacciatamente il loro prodotto – la maturità facile - su tutti i media: non credo che la prof. ignori che, in questo caso, il suo “doveroso principio” non farà che aumentare vertiginosamente questo tipo di scuole “paritarie” diminuendo contemporaneamente la “qualità” del “prodotto offerto”.
Per finire, un cenno alla sentenza della Corte di giustizia dell’UE che, sempre il 26 novembre scorso, ha “condannato” lo Stato italiano a prevedere una misura adeguata per sanzionare debitamente il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato - quelli di alcuni ricorrenti che erano stati impiegati nell’amministrazione scolastica per non meno di 45 mesi in 5 anni – e ciò in quanto “non è ammesso autorizzare il rinnovo di contratti a t.d. per la copertura di posti vacanti e disponibili senza indicare tempi certi per l’espletamento delle procedure concorsuali.” Ora, se è vero che spetta al giudice nazionale risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte, come è già stato rilevato i cd. precari storici potranno ricorrere in massa con la legittima aspettativa che tutti i giudici italiani saranno vincolati a tale decisione. Mi si permettano tuttavia due brevi riflessioni, una di carattere generale relativa all’impossibilità di immettere nell’amministrazione scolastica un numero di precari che - secondo fonti sindacali – arriva a 250.000 lavoratori, senza violare gli obblighi di bilancio imposti dalla stessa UE che ci condanna a “sanare” la situazione. La seconda riflessione è ancora più triste, e considera la motivazione della sentenza, che è la sospensione dei concorsi pubblici per oltre 10 anni: in effetti tale periodo è coinciso in gran parte con la sperimentazione delle Ssis, chiuse malamente 6 anni fa da quell’ineffabile ministra Gelmini che dette avvio alla fase più inconcludente e contraddittoria del sistema di reclutamento di tutta la politica scolastica italiana. Le Ssis erano un modello anch’esso in parte incoerente, ma comunque migliorabile, grazie alla possibilità di tesaurizzare le migliori pratiche didattiche. Ora non abbiamo più modelli da adottare nel settore della formazione degli insegnanti, li abbiamo bruciati tutti: se quanto detto è corretto, chi sarà in grado di suggerire a coloro che dichiarano di voler investire nella formazione dei giovani quale modello adottare per realizzare tale pur condivisibile proposito?

10 dic. 14 Astolfo sulla Luna

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