dalla Luna

 

Che c’azzeccano i libri con la scuola:
a proposito di welfare dello studente

Astolfo sulla Luna,  17.11.2013


Lasciamo ad altri il commento puntuale del recente provvedimento governativo battezzato “welfare dello studente”, per dedicarci ad alcune osservazioni in ordine sparso seguite da qualche semplice riflessione. A prima vista sembra chiaro che si tratta sostanzialmente di una serie di misure a costo quasi zero, a parte la promessa immissione definitiva nell’organico dei docenti di sostegno di 26000 insegnanti precari, in parte dalle graduatorie specifiche, in parte probabilmente da classi di concorso in esubero.

A questo proposito, venire incontro alle esigenze specifiche di una fetta crescente di popolazione scolastica in difficoltà sembrerebbe senz’altro un’azione condivisibile, mentre per concordare con chi considera tale misura negativa per “gli insegnanti di sostegno, visto che con i BES (i Bisogni educativi speciali, riconfermati nel decreto) li si vorrebbe progressivamente eliminare, affidando tale delicatissimo incarico a docenti qualsiasi” ci si riserva di capire con quali criteri tali insegnanti verranno selezionati, ma soprattutto se e con quali criteri verrà applicata la normativa sui BES, che si è avuto occasione di analizzare in precedenza.

Piuttosto mi sembra degno di riflessione il fatto che il provvedimento prevede l’unificazione delle quattro aree di specializzazione per i futuri insegnanti di sostegno: considerata la delicatezza di un Piano Didattico Personalizzato sia sul versante psico-pedagogico sia su quello della didattica disciplinare, credo che un docente di sostegno che condivida una professionalità di area disciplinare con i docenti titolari dei rispettivi insegnamenti sia una risorsa preziosa dell’attuale impostazione, che sarebbe poco saggio disperdere.

In apparenza, il provvedimento stanzia 15 ml di euro per il cosiddetto merito scolastico, con riferimento all’art. 34 co. 3 e 4 della Costituzione. Si tratterebbe di coprire fra l’altro le spese di trasporto, in primis degli studenti diversamente abili. La misura è stata criticata da vicina fonte sindacale in quanto invece di premiare – secondo il dettato costituzionale - il merito dei capaci privi di mezzi, tenderebbe a trasformare la scuola in una sorta di “centro sociale”. A parere di chi scrive, resta comunque dovere inderogabile per una comunità che si proclami civile, quello di garantire l’effettivo diritto allo studio dei suoi soggetti più deboli. Si tenga presente a tal proposito che la politica sociale è stata falcidiata in questi anni di crisi: nel 2008 lo stanziamento per i fondi sociali nazionali era di oltre 2.500 ml, portato in tre anni di governo di centro destra a circa 200 ml, mentre il governo Monti ha riportato a quasi 800 ml l’impegno. Nel Veneto – regione storicamente d’avanguardia nelle politiche sociali - ciò significa che i servizi essenziali diurni e domiciliari verranno negati per molte persone in situazione di grave disabilità.

Piuttosto tale stanziamento, considerate le competenze regionali in tema di trasporto pubblico e assistenza scolastica, assomiglia ad una sorta di partita di giro fra amministrazioni pubbliche: con una mano si tolgono a regioni ed enti locali risorse vitali per la mobilità e il welfare territoriale, con l’altra si danno altre risorse “travestite” da borse di studio: va infatti sottolineato che il secondo dei tre criteri individuati dal provvedimento per erogare tal sussidi, riguarda la “esigenza di servizi di ristorazione o trasporto non soddisfatta con altri benefici erogati da amministrazioni pubbliche”. Per farsi un’idea della perdita netta in termini di welfare sociale causata da questa partita di giro, si osservi che la Regione Veneto ha erogato lo scorso anno buoni scuola di 200 Euro alle famiglie con redditi inferiori a 30.000 annui. L’entità di tale intervento è progressivamente diminuita a partire dal 2010, quando ne avevano beneficiato oltre 10 mila studenti, per un impegno complessivo di 9,5 ml di euro; per l’anno 2011-12 sono in pagamento 3,3 ml di euro. Alla voce “borse di studio” si legge l’avvertenza “Al momento non è presente nessun bando” mentre quella “buono trasporto” avverte: “Per l'anno scolastico formativo 2013-2014 il contributo non è attivato”. Ciò significa - a prescindere da valutazioni politiche sull’equità del buono scuola - che solo tre anni fa un’amministrazione locale poteva permettersi di spendere oltre la metà del totale nazionale di quest’anno per un unico strumento di politica scolastica; e ciò mentre per gli altri strumenti di politica scolastica non sono previste al momento erogazioni, e tutto ciò solo per il Veneto. A questo punto possiamo chiederci quale cifra di questi famosi 15 ml potrà essere destinata a coprire il fabbisogno di politica scolastica di ognuna delle venti regioni italiane.

Capitolo formazione e apprendistato: difficile valutarne l’effettiva portata, aldilà della fumosa promessa del comunicato stampa di “far conoscere agli studenti il valore educativo e formativo del lavoro, anche attraverso giornate formative in azienda” e di un programma biennale sperimentale dal 2014 di “periodi di formazione presso le aziende” per gli studenti degli ultimi due anni delle superiori. Innanzitutto sembra piuttosto fuorviante l’affermazione secondo la quale le aziende assumerebbero “gli studenti dell’ultimo biennio delle superiori, con “contratti di apprendistato” che li allontanerebbero dalla scuola, al fine, recita l’art.8, “di far conoscere il valore educativo e formativo del lavoro”: in realtà il suddetto art. 8 fa riferimento ai “Percorsi di orientamento” di cui all’art.3 del d.lg. 21/2008, che ci risultano non essere mai stati attivati perché tale norma li prevedeva nell’ultimo anno delle superiori mentre le classi quinte di quest’anno sono ancora a vecchio ordinamento. In altre parole si tratterebbe solo di una questione di tempo, con una sola precisazione: dall’anno prossimo la cd. Riforma Gelmini andrà a regime, ma i percorsi di orientamento inizialmente previsti solo per le classi quinte a nuovo ordinamento, riguarderanno anche le quarte.

Ma alla fine cosa saranno questi fantomatici percorsi di orientamento? A ben leggere la lunga lista di obiettivi che vengono fissati dalla norma del 2008, essi raggruppano una serie di “esperienze formative” compiute in diversi contesti, dall’università alle altre agenzie formative post-secondarie, alle aziende, nelle quali gli studenti dell’ultimo biennio potranno in particolare “c) conoscere anche aree disciplinari, ambiti professionali, settori emergenti che non rientrano direttamente nei curricoli scolastici o che non sono adeguatamente conosciuti”. A conferma di questa interpretazione della norma viene – sotto l’altisonante voce “Rafforzata l’alternanza scuola-lavoro” - la promessa adozione di “un regolamento sui diritti e i doveri degli studenti impegnati nei percorsi di formazione”.

Possiamo trarre un paio di provvisorie conclusioni da questa interessante disamina: in attesa del decreto interministeriale che dovrà definire il programma sperimentale per il triennio 2014-2016, si può ipotizzare che verrà estesa anche alle scuole statali la possibilità di essere controparte di un contratto di apprendistato, nell’ambito dell’istituto dell’apprendistato per l’assolvimento dell’obbligo formativo dai 15 ai 18 anni, poco applicato a quanto ci risulta per la mancata sinergia fra aziende ed enti autorizzati dalle regioni ad erogare l’istruzione formale per completare tale percorso formativo. Viene specificato tuttavia che resteranno a carico delle imprese interessate gli oneri dei suddetti contratti di apprendistato. Prevedendo che tale tipologia contrattuale resterà scarsamente utilizzata, pensiamo invece che chi insiste nel considerare la formazione professionale una sorta di sfruttamento di manodopera infantile non sia al corrente della realtà degli istituti professionali, che registrano un tasso a due cifre di abbandono degli studenti che hanno raggiunto i 16 anni. Temiamo che sia ancora prigioniero della beata illusione degli anni ’60, quando si pensava che la liberalizzazione dell’accesso all’università avrebbe garantito indefinitamente la realizzazione umana e professionale per tutti.

Seconda conclusione: se solo si avesse presente qual era la reale esperienza di alternanza scuola-lavoro prima della deliberata distruzione dell’istruzione professionale statale da parte dell’on. Gelmini, non si cadrebbe nell’inganno propagandistico del Ministero. Sarà bene sapere che dallo scorso anno le regioni non autorizzano più l’attività di convenzione fra istituzioni scolastiche ed aziende che era la premessa giuridica per lo svolgimento di periodi di tirocinio aziendale in alternanza scuola-lavoro da parte degli studenti dell’ultimo biennio degli istituti professionali che avevano già conseguito la qualifica triennale: è per questo forse che in sede di conversione del decreto è stato inserito l’art. 8-bis che prevede piani di intervento di tre anni per la realizzazione di tirocini formativi in orario extracurricolare presso imprese, altre strutture produttive di beni e servizi o enti pubblici rivolti in particolare agli studenti degli istituti tecnici e professionali, organizzati dai poli tecnico-professionali. Sarà bene restare un po’ in attesa prima di parlare di rafforzamento dell’alternanza.

Fra le pieghe del decreto, sembra nascondersi una novità apparentemente positiva che mi sembra sia stata trascurata da tutti i commentatori: nel comunicato stampa si legge che “l’adozione dei testi scolastici diventa facoltativa: i docenti potranno decidere di sostituirli con altri materiali. Incuriosito da quella che – se non ricordo male – era una richiesta storica della Gilda, vado a spulciare nella normativa: effettivamente l’art. 6 del nostro provvedimento, rubricato “riduzione del costo dei libri scolastici” alla lettera b) cita il d.l. 112/08  (il famigerato decreto Brunetta) e al n 1) precisa che:

all'articolo 15, comma 1, le  parole:  "nell'adozione"  sono sostituite dalle seguenti: "nell'eventuale adozione"; mi affretto a recuperare l’art 15 “costo dei libri scolastici” del decreto di cui sopra che ora va così letto: “A partire dall'anno scolastico 2013-2014, nel rispetto della normativa vigente e fatta salva l'autonomia didattica nell'eventuale adozione dei libri di testo nelle scuole di ogni ordine e grado, tenuto conto dell'organizzazione didattica esistente, i competenti organi individuano preferibilmente i libri di testo disponibili, in tutto o in parte, nella rete internet. Gli studenti accedono ai testi disponibili tramite internet, gratuitamente o dietro pagamento a seconda dei casi previsti dalla normativa vigente.”

Il significato è chiaro, peccato che nessuno ne abbia parlato, quindi per quest’anno avremo i soliti libri di testo più o meno infarciti di “nuvole elettroniche”, “apps” o miracolosi eserciziari on line. Alla fine non è male, ho più tempo per riorganizzare i materiali che ho prodotto in vent’anni di onorata carriera, e al diavolo l’Invalsi e i suoi quiz. A proposito di diavolo, è proprio vero che, a volte, si nasconde nei dettagli.

 

Trento, 17/11/13                                                     
 

Astolfo sulla Luna


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