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Il futuro
dell’istruzione e formazione professionale.
Astolfo sulla Luna, 10.6.2013
Dopo la riforma del titolo V della
Costituzione, preceduta dalla lunga gestazione di ben 3 commissioni
bicamerali, l’istruzione e formazione professionale è passata fra le
materie di competenza esclusiva regionale, come previsto dall’art. 117
Cost. L’idea non sarebbe in sé sbagliata – considerato che il tessuto
produttivo è molto diversificato nel territorio italiano - se non si
scontrasse con la realtà delle regioni italiane, troppo piccole in media
dal punto di vista dimensionale e soprattutto troppo diverse fra loro
come grado di sviluppo produttivo e di efficienza organizzativa. Così
una serie di necessarie norme applicative sul piano nazionale non sono
ancora state emanate o, se sì, appaiono tardive e poco realistiche, come
la recente definizione dei livelli essenziali delle prestazioni nel
secondo ciclo del sistema educativo di istruzione e di formazione
professionale (d. lg. 13/13).
Intanto, nella lunga fase di
transizione da un modello di istruzione professionale unico statale a un
modello di istruzione e formazione professionale diversificato
regionale, transizione imposta dalla riforma di cui sopra, anche per
quest’anno – con il debutto della modalità On Line - le iscrizioni agli
istituti professionali di stato hanno registrato un segno meno: -1,6 %
sul piano nazionale, a fronte di una sostanziale tenuta degli istituti
tecnici, mentre i licei confermano il trend ascendente (+1,4). Per altro
verso, fatto 100 il totale dei diplomati alla fine del primo ciclo di
istruzione, il 5,8 % ha scelto i percorsi di istruzione e formazione
professionale (IeFP): di questa parte circa 1 su 4 si è iscritto agli
istituti professionali in regime di offerta sussidiaria. I dati appena
esposti sembrerebbero indicare una sostanziale tenuta anche di
quest’ultimo comparto, purché gli istituti professionali statali
continuino ad assegnare i diplomi di qualifica triennale, come previsto
dagli accordi fra alcune regioni (segnatamente Lombardia e Veneto) ed un
gruppo di istituti professionali delle medesime, in deroga alla
normativa nazionale. In altre parole l’IeFP – offerta sia dagli enti
accreditati dalle singole regioni, sia dagli istituti professionali di
stato autorizzati - sembra destinata a rispondere ad una domanda
crescente di percorsi brevi di istruzione e formazione professionale per
una fascia di studenti desiderosi di immettersi presto sul mercato del
lavoro.
Questa tendenza è confermata da
alcune osservazioni: il numero di materie previste dal nuovo ordinamento
(cd. Riforma Gelmini) è nel primo biennio di 8 nell’area comune e 5 o 6
nell’area obbligatoria di indirizzo, con conseguente riduzione delle ore
di laboratorio a 2 (aumentabili fino a 3 o 4 solo usufruendo della
flessibilità a scapito di qualche altra disciplina). È chiaro che gli
studenti che escono dalla primaria senza una grande passione per lo
studio non vengono certo incoraggiati a scegliere l’istruzione
professionale e, a parità di materie, sceglieranno casomai l’istruzione
tecnica, se non addirittura i licei. Il risultato di questa forzatura è
il passaggio dai tecnici se non dai licei direttamente all’istruzione
professionale già nel corso del primo anno scolastico, oppure
l’iscrizione l’anno dopo previa bocciatura. Segnale del fenomeno appena
descritto, il rigonfiamento del loro organico di fatto rispetto
all’organico di diritto costruito sulle pre-iscrizioni di gennaio. Gli
studenti più portati per le attività pratiche, in alternativa al
percorso accidentato appena descritto e nel caso la regione in cui
vivono non abbia utilizzato la deroga di cui sopra per gli istituti
professionali, si iscriveranno ai Centri di Formazione Professionale
accreditati dalla regione medesima. Tuttavia questi ultimi hanno subito
un netto taglio nei finanziamenti provenienti dalle regioni (il 20% in
Veneto) mentre è previsto un ulteriore calo dei finanziamenti
provenienti dal Fondo Sociale Europeo.
È evidente che nel quadro appena
delineato, il rischio è quello di un generale abbassamento del livello
qualitativo dei percorsi di IFeP, generalmente piuttosto scadente fin
dal loro inizio. E a questo punto si pone la questione cruciale: se uno
dei fattori chiave per far uscire le nostre imprese manifatturiere dalla
quella crisi generale che prosegue ormai da 5 anni è proprio il
cosiddetto capitale umano, quali potranno essere le reali competenze
professionali che questi ragazzi acquisiranno con la qualifica triennale
come future maestranze del nostro paese?
10 giu. '13
Astolfo sulla Luna
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