Cosa resta della scuola
dopo il riconoscimento di DSA e BES
Astolfo sulla Luna, 11.10.2013
Per non incorrere in pericolose
trappole o facili pressapochismi, è bene iniziare questa impegnativa
riflessione dall’Articolo 24 della Convenzione ONU sui diritti delle
persone con disabilità, approvata nel dicembre 2006 e ratificata
dall’Italia il 24 febbraio 2009. In tale articolo, dedicato al diritto
all’istruzione, leggiamo:
“1. Gli Stati Parti riconoscono
il diritto all’istruzione delle persone con disabilità. Allo scopo di
realizzare tale diritto senza discriminazioni e su base di pari
opportunità, gli Stati Parti garantiscono un sistema di istruzione
inclusivo a tutti i livelli ed un apprendimento continuo lungo tutto
l’arco della vita..”
Nel caso specifico del sistema
scolastico si legge che:
“2. Nell’attuazione di tale
diritto, gli Stati Parti devono assicurare che: (a) le persone con
disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale in
ragione della disabilità e che i minori con disabilità non siano esclusi
in ragione della disabilità da una istruzione primaria gratuita libera
ed obbligatoria o dall’istruzione secondaria;..”
È almeno dal 1992, quindi ben prima
della convenzione ONU, che il nostro paese si è dotato di un’organica
legislazione per il riconoscimento dei diritti dei disabili, allora
definiti handicappati. In particolare la l. 104/92, all’art. 8 punto d)
prevede:
“provvedimenti che rendano
effettivi il diritto all'informazione e il diritto allo studio della
persona handicappata, con particolare riferimento alle dotazioni
didattiche e tecniche, ai programmi, a linguaggi specializzati, alle
prove di valutazione e alla disponibilità di personale appositamente
qualificato, docente e non docente..”
Va ribadito quindi che il nostro
paese, anche a seguito della suddetta legge, ha cercato di affrontare la
problematica delle persone affette da handicap fisici e/o psichici, con
particolare impegno e notevole intelligenza; l’impegno e l’intelligenza
emergono con chiarezza, se solo li si confronta con quelli di paesi
europei ben più ricchi, che hanno, nel caso ad esempio della Germania,
un sistema educativo in cui storicamente è ben radicata sul territorio
la presenza di “Förderschule” (Scuole speciali) dove, secondo
incontestabili dati statistici, si concentra una percentuale molto alta
di alunni con background migratorio o provenienti da contesti sociali
molto disagiati. Di più, solo a seguito dell’adesione alla Convenzione
ONU, anche la Germania sta provando, con un effetto domino su tutta
l’area mitteleuropea, la via all’inclusione scolastica dei soggetti
portatori di disabilità.
Dunque, per una volta possiamo
dirci orgogliosi di essere italiani.
Proseguendo sulla via
dell’integrazione, il nostro parlamento ha quindi licenziato la Legge 8
ottobre 2010, nº 170, con la quale si riconoscono la dislessia, la
disgrafia, la disortografia e la discalculia quali disturbi specifici di
apprendimento, denominati "DSA". Il diritto allo studio degli alunni con
DSA è garantito mediante molteplici iniziative promosse dal MIUR e
attraverso la realizzazione di percorsi individualizzati nell'ambito
scolastico.
Anche questa finalità deve essere
considerata doverosa, considerato che tali disturbi, per cause
molteplici che sarebbe qui lungo analizzare, risultano in vertiginoso
aumento (a luglio 2011, neanche un anno dalla legge, circa 70000 alunni
con diagnosi DSA).
È chiaro che l’ampliamento della
platea di soggetti tutelati da tali norme, comporta un maggior impiego
di risorse. Finché l’inserimento in una classe di alunni con disabilità
certificata dai competenti servizi sanitari è stata accompagnata dalla
presenza di insegnanti specializzati nel sostegno di tali alunni, i
risultati raggiunti in termini di inclusione sociale e migliore
apprendimento hanno permesso che il sistema italiano fosse additato come
esempio di best practice.
Sappiamo tuttavia dei tagli che
anche l’organico degli insegnanti di sostegno sta subendo grazie alle
politiche di risparmio indiscriminato del governo (abbiamo saputo di
scuole con il rapporto di 1 insegnante con 4 alunni certificati), ma
forse non tutti sanno che la legge 170 impone ai consigli di classe un
carico di lavoro aggiuntivo senza aver previsto alcun onere aggiuntivo
per le casse dello Stato.
Successivamente il Ministero
dell'Istruzione ha pubblicato la Direttiva del 27/12/2012 relativa ai
Bisogni educativi Speciali (BES) e la C.M. 8 del 6 marzo 2013,
applicativa della stessa. Con il termine BES si intendono: 1. alunni con
disabilità 2. alunni con DSA 3. alunni con svantaggio socio-economico,
linguistico, culturale.
In altre parole questo nuovo
insieme di soggetti da tutelare comprende, oltre agli alunni
certificati, gli alunni con diagnosi DSA, ossia con disturbi specifici
di apprendimento e/o disturbi evolutivi specifici, deficit del
linguaggio, delle abilità non verbali, della coordinazione motoria,
ricomprendendo – per la comune origine nell’età evolutiva – anche quelli
dell’attenzione e dell’iperattività (ADHD).
Esso comprende però anche altri
alunni con svantaggio sociale e culturale, ossia ad esempio difficoltà
derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana
perché appartenenti a culture diverse.
In particolare, la Direttiva
succitata al paragrafo 1.5 recita
"Le scuole – con determinazioni
assunte dai Consigli di classe, risultanti dall’esame della
documentazione clinica presentata dalle famiglie e sulla base di
considerazioni di carattere psicopedagogico e didattico – possono
avvalersi per tutti gli alunni con bisogni educativi speciali degli
strumenti compensativi e delle misure dispensative previste dalle
disposizioni attuative della Legge 170/2010 (DM 5669/2011), meglio
descritte nelle allegate Linee guida."
A questo punto abbiamo tutti gli
elementi per riflettere sulla questione posta nel titolo: già la lettura
della normativa che abbiamo volutamente riportare per esteso, fa intuire
come ormai l’inclusione sia diventato un problema per specialisti:
pedagogisti, psicologi, neuropsichiatri. Impensabile che un semplice
docente, per quanto abbia magari frequentato un corso di
specializzazione su queste tematiche, ovviamente pagandolo di tasca
propria, sia in grado di affrontare scientemente queste problematiche
specialistiche.
Perciò la questione degli strumenti
compensativi e delle misure dispensative da adottare in appositi Piani
Didattici Personalizzati (PDP) con delibera dei Consigli di Classe e
sottoscrizioni delle famiglie e del Dirigente Scolastico rischia di
diventare un defatigante passaggio burocratico per minimizzare la
possibilità del ricorso delle famiglie in caso di bocciatura dei figli.
E le sentenze dei TAR regionali a nemmeno 3 anni dalla legge formano
ormai un consistente repertorio, al quale gli insegnanti guardano con un
certo timore anche per la responsabilità civile individuale che ne
potrebbe sorgere.
Tale situazione è destinata a
divenire ancora più frequente con i BES, tenuto conto anche del fatto
che – abbastanza singolarmente – la relativa normativa non prevede
alcuna certificazione esterna per gli alunni con svantaggio sociale e
culturale: in altri termini, chi decide quale alunno può avere un PDP e
quale invece dovrà essere trattato come un alunno “normale”? Non è
difficile immaginare il caso di una famiglia che, volendo giustamente
tutelare il figlio che poniamo non è di madrelingua italiana, ricorre
contro la sua bocciatura perché il consiglio di classe non ha
predisposto per lui il PDP, mentre invece lo ha fatto per uno studente
di altra etnia.
Le questioni sollevate, e altre ce
ne sarebbero, rendono il panorama già abbastanza inquietante. Forse i
governi italiani, per malintesa sollecitudine nei confronti di
problematiche che richiederebbero ben altre soluzioni e una qualche
dotazione di risorse economiche, si stanno spingendo troppo in là
nell’affermare questioni di principio senza adottare i conseguenti
comportamenti: mettono così a rischio anche il diritto all’istruzione
delle persone con disabilità, faticosamente conquistato nel nostro paese
in anni di battaglie culturali e sacrifici personali da parte di coloro
che vivono sulla propria pelle tali grandi difficoltà sanitarie, umane e
sociali.
Trento, 11 ottobre 2013
Astolfo sulla Luna
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